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Trust liquidatorio e fallimento: compenso negato

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei gestori di un trust liquidatorio che chiedevano un compenso per l’attività svolta prima del fallimento della società. La Corte ha confermato la decisione di merito che riteneva il trust inesistente in quanto in contrasto con le norme imperative fallimentari, rendendo nullo qualsiasi credito derivante da esso.

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Trust liquidatorio e compenso dei gestori: la Cassazione fa chiarezza

L’utilizzo di strumenti come il trust per la gestione di patrimoni aziendali è una pratica complessa, che incontra limiti invalicabili quando si scontra con le procedure concorsuali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: un trust liquidatorio, se posto in essere in violazione delle norme imperative sul fallimento, è da considerarsi giuridicamente inesistente. Di conseguenza, nessun compenso può essere riconosciuto ai gestori per l’attività svolta.

I Fatti del Caso: Un Trust Sotto la Lente del Fallimento

La vicenda trae origine dalla richiesta di alcuni professionisti, che avevano agito in qualità di trustee e protectors di un trust istituito da una società per la gestione di un cospicuo patrimonio immobiliare. Essi avevano insinuato al passivo del fallimento della società un credito pari al 5% del valore dei beni amministrati, a titolo di compenso per l’attività svolta tra il 2011 e il 2016.

Il Tribunale di Catania aveva respinto la loro opposizione, sostenendo che il trust liquidatorio era stato creato a scapito delle forme pubblicistiche previste dalla legge fallimentare. Pertanto, il trust doveva considerarsi inesistente e privo di qualsiasi effetto giuridico, compreso il diritto al compenso per i gestori.

L’Analisi della Corte di Cassazione e il trust liquidatorio

I gestori del trust hanno impugnato la decisione del Tribunale dinanzi alla Corte di Cassazione, sollevando sei diversi motivi di ricorso, sia di natura procedurale che di merito. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato l’intero ricorso inammissibile, confermando la linea del giudice di primo grado.

Le Censure Respinte: Questioni Procedurali e di Merito

La Corte ha smontato punto per punto le doglianze dei ricorrenti:
1. Autorizzazione del curatore: Non è necessaria l’autorizzazione del giudice delegato per il curatore che si costituisce in giudizi di impugnazione dello stato passivo.
2. Difetto di legittimazione: Il motivo relativo alla presunta mancanza di legittimazione attiva di uno dei ricorrenti è stato giudicato generico, in quanto non supportato da prove concrete della sua effettiva insinuazione al passivo.
3. Violazione di legge e vizio di motivazione: La censura più importante, relativa al diritto al compenso, è stata rigettata. La Corte ha sottolineato che i ricorrenti non hanno contestato la ragione centrale della decisione del Tribunale, ovvero l’invalidità radicale del trust liquidatorio per contrasto con la disciplina concorsuale. La non riconoscibilità del trust rende improduttivo di effetti qualsiasi rapporto da esso derivante, compreso il diritto alla retribuzione.
4. Omessa pronuncia: Le questioni sulla tempestività dell’insinuazione e sulla fondatezza del credito sono state ritenute assorbite dalla valutazione preliminare di nullità del trust.

Le Motivazioni della Decisione

Il fulcro della motivazione della Cassazione risiede nella riaffermazione di un principio cardine del diritto fallimentare: la par condicio creditorum. Il trust liquidatorio, quando utilizzato per sottrarre beni alla garanzia patrimoniale generica e per gestire una liquidazione al di fuori delle regole concorsuali, è uno strumento illegittimo. La sua dichiarazione di ‘inesistenza giuridica’ o nullità radicale travolge ogni pretesa che su di esso si fonda.

La Corte ha evidenziato come i ricorrenti si siano concentrati su aspetti secondari (l’utilità della loro gestione, la presunta negligenza del curatore) senza mai affrontare il vero nodo giuridico: la contrarietà del trust alle norme imperative. Inoltre, la richiesta di applicare l’articolo 2126 c.c. (che garantisce la retribuzione per il lavoro prestato in base a un contratto nullo) è stata ritenuta inammissibile perché non era stato dimostrato, secondo il principio di autosufficienza del ricorso, che tale questione fosse stata sollevata nei precedenti gradi di giudizio.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale molto rigoroso nei confronti dei tentativi di utilizzare il trust per aggirare la disciplina del fallimento. Le implicazioni pratiche sono significative:
I professionisti che accettano incarichi come trustee* in contesti di crisi d’impresa devono essere estremamente cauti e valutare la piena compatibilità dello strumento con le norme concorsuali.
* Un trust liquidatorio che di fatto sostituisce la procedura fallimentare è destinato a essere dichiarato nullo.
* La nullità del trust impedisce il riconoscimento di qualsiasi compenso per l’attività svolta, poiché il rapporto contrattuale da cui deriverebbe tale diritto è considerato privo di effetti giuridici fin dall’origine. Il rischio, per i gestori, è quindi quello di lavorare senza alcuna tutela economica in caso di successivo fallimento della società disponente.

Perché è stato negato il compenso ai gestori del trust liquidatorio?
Il compenso è stato negato perché il Tribunale, con decisione confermata dalla Cassazione, ha ritenuto il trust giuridicamente inesistente. Essendo stato istituito per liquidare i beni di un’impresa al di fuori delle regole fallimentari, violava norme imperative. La nullità del trust ha travolto ogni effetto giuridico, incluso il diritto al compenso per i gestori.

Il curatore fallimentare necessita sempre dell’autorizzazione del giudice delegato per stare in giudizio?
No. La Corte ha chiarito che, in base alla legge fallimentare (art. 31, comma 2), l’autorizzazione del giudice delegato non è richiesta per la costituzione del curatore nei giudizi di impugnazione del decreto di esecutività dello stato passivo o in quelli relativi a dichiarazioni tardive di credito.

Cosa si intende per ‘vizio di motivazione’ in un ricorso per Cassazione?
La Corte ha specificato che, dopo la riforma dell’art. 360 c.p.c., il sindacato di legittimità sulla motivazione è limitato al ‘minimo costituzionale’. È possibile denunciare solo un’anomalia che si traduca in una violazione di legge, come la mancanza assoluta di motivi, una motivazione apparente, un contrasto irriducibile tra affermazioni o una motivazione perplessa e incomprensibile, ma non più una ‘insufficiente’ motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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