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Trattenute sindacali: sì alla cessione del credito

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 27722/2025, ha stabilito che il rifiuto di un’azienda di effettuare le trattenute sindacali richieste dai lavoratori tramite cessione del credito costituisce condotta antisindacale. Sebbene il referendum del 1995 abbia rimosso l’obbligo legale per il datore di lavoro, non ha introdotto un divieto. I lavoratori possono legittimamente utilizzare lo strumento civilistico della cessione del credito per versare le quote al proprio sindacato, e il datore di lavoro è tenuto ad adempiere, a meno che non dimostri un onere aggiuntivo e insostenibile.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Trattenute sindacali: il rifiuto del datore di lavoro è condotta antisindacale

La gestione delle trattenute sindacali è da tempo un tema delicato nei rapporti tra aziende e organizzazioni dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: il rifiuto del datore di lavoro di dare seguito alla richiesta di un dipendente di versare la quota sindacale tramite lo strumento della cessione del credito costituisce una condotta antisindacale. Questa decisione consolida un principio importante sull’autonomia privata e sulla tutela dell’attività sindacale.

I fatti del caso

Una nota azienda automobilistica si era rifiutata di operare le trattenute mensili dagli stipendi di alcuni suoi dipendenti per versarle a un’organizzazione sindacale. I lavoratori avevano formalizzato la loro volontà attraverso una comunicazione di cessione di una parte del loro credito retributivo in favore del sindacato.

Nonostante le richieste e le successive diffide, l’azienda persisteva nel suo rifiuto. Di conseguenza, il sindacato ha avviato un’azione legale per condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno dato ragione al sindacato, dichiarando illegittimo il comportamento dell’azienda e condannandola a cessare tale condotta e a versare le somme dovute, oltre a un risarcimento simbolico.

L’azienda ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandolo su diversi motivi, tra cui la presunta carenza di legittimazione del sindacato, la tardività del ricorso e, soprattutto, l’inesistenza di un obbligo di effettuare le trattenute a seguito del referendum abrogativo del 1995 sull’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulle trattenute sindacali

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, fornendo una disamina approfondita della questione. I giudici hanno chiarito la portata e gli effetti del referendum del 1995 e il ruolo dello strumento civilistico della cessione del credito.

L’effetto del Referendum del 1995

Il punto centrale della difesa aziendale si basava sull’esito del referendum abrogativo che aveva cancellato l’obbligo legale, previsto dall’art. 26 dello Statuto dei Lavoratori, per il datore di lavoro di effettuare le trattenute sindacali. La Cassazione ha ribadito, in linea con la giurisprudenza consolidata, che l’abrogazione ha eliminato un obbligo nascente dalla legge, ma non ha introdotto un divieto.

In altre parole, la materia è stata restituita all’ambito dell’autonomia privata. Le parti (lavoratore e sindacato) sono libere di utilizzare gli strumenti previsti dal codice civile per raggiungere lo stesso scopo.

Il ruolo della cessione del credito

Lo strumento scelto dai lavoratori è stato quello della cessione del credito, disciplinato dall’art. 1260 del codice civile. Si tratta di un negozio giuridico con cui il creditore (il lavoratore) trasferisce a un terzo (il sindacato) il proprio diritto di credito verso il debitore (il datore di lavoro). Per la sua validità, non è richiesto il consenso del debitore ceduto, ma solo che gli venga notificata la cessione.

La Corte ha stabilito che questo strumento è pienamente legittimo per il pagamento delle quote associative. Rifiutandosi di adempiere a una valida cessione del credito, il datore di lavoro non solo commette un inadempimento civilistico, ma realizza una condotta antisindacale. Tale rifiuto, infatti, ostacola concretamente il diritto del sindacato di ottenere i mezzi di finanziamento necessari per svolgere la propria attività e lede il diritto dei lavoratori di scegliere liberamente a quale organizzazione aderire.

L’onere della prova a carico del datore di lavoro

La Cassazione ha anche precisato che il datore di lavoro non può semplicemente rifiutare la cessione. Qualora sostenga che l’operazione comporti un onere aggiuntivo, nuovo e insostenibile per la sua organizzazione aziendale, ha l’obbligo di provarlo in modo puntuale e convincente. Nel caso di specie, l’azienda non ha fornito tale prova, rendendo il suo rifiuto ingiustificato.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza consolida un principio di fondamentale importanza:
1. Libertà di scelta: I lavoratori sono liberi di utilizzare lo strumento della cessione del credito per pagare le proprie quote sindacali.
2. Obbligo del datore di lavoro: Il datore di lavoro, una volta ricevuta la notifica della cessione, è tenuto a versare la quota al sindacato, a meno che non dimostri un onere organizzativo insostenibile.
3. Tutela antisindacale: Il rifiuto ingiustificato di adempiere costituisce condotta antisindacale, poiché priva il sindacato delle risorse necessarie e limita la libertà dei lavoratori.

In conclusione, la decisione riafferma che, pur in assenza di un obbligo di legge specifico come quello pre-referendum, gli strumenti di diritto comune offrono una via pienamente percorribile e tutelata per garantire il sostegno economico alle organizzazioni sindacali, un pilastro della democrazia nei luoghi di lavoro.

Un’azienda può rifiutarsi di effettuare le trattenute sindacali se il lavoratore le richiede tramite cessione del credito?
No, di norma non può. Secondo la Corte di Cassazione, il rifiuto ingiustificato di adempiere a una valida cessione del credito per il pagamento delle quote sindacali costituisce condotta antisindacale. L’azienda può sottrarsi solo se dimostra che l’operazione comporta un onere aggiuntivo e insostenibile per la sua organizzazione.

Il referendum del 1995 ha vietato la pratica delle trattenute sindacali in busta paga?
No. Il referendum ha abrogato l’obbligo legale per il datore di lavoro di effettuare le trattenute, ma non ha introdotto un divieto. La materia è stata semplicemente ricondotta all’autonomia privata, consentendo l’uso di strumenti civilistici come la cessione del credito.

Perché il rifiuto di effettuare la trattenuta è considerato condotta antisindacale?
Perché tale comportamento pregiudica sia il diritto individuale del lavoratore di scegliere liberamente a quale sindacato aderire, sia il diritto del sindacato di acquisire dai propri iscritti i mezzi di finanziamento necessari per svolgere la sua attività di tutela dei lavoratori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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