Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13598/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in NAPOLI INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1731/2023 depositata il 18/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
NOME COGNOME ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 1731 del 2023 confermativa della sentenza del Tribunale di Benevento con cui per quanto interessa- essa ricorrente era stata condannata, su domanda della sorella NOMECOGNOME a ripristinare il tetto a falde di un edificio in cui erano compresi appartamenti di ciascuna delle parti e dell’altra sorella NOME trasformato in terrazza e locali a servizio esclusivo dell’appartamento della ricorrente;
NOME COGNOME resiste con controricorso;
la causa perviene al Collegio su richiesta di decisione formulata dalla ricorrente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. a seguito di proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art.360, primo comma, n.5, c.p.c., che la Corte di Appello avrebbe trascurato il fatto, risultante dalla CTU di primo grado, che l’accesso al tetto era possibile solo al proprietario dell’ultimo piano ossia all’attuale ricorrente mentre l’attuale controricorrente era proprietaria di appartamenti al primo piano. Da tale fatto la ricorrente deduce che avrebbe dovuto trarsi la conseguenza che la controricorrente, non avendo ‘possibilità di accedere al tetto, non poteva (può) dolersi di nulla’;
con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione degli artt. 1102, 1127, 1067 e 2697 c.c. Si deduce che la Corte di
Appello si sarebbe discostata da quanto statuito da questa Corte di legittimità con la sentenza n. 14107 del 2012 ( ‘ Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, a condizione che sia salvaguardata, mediante opere adeguate, la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, restando così complessivamente mantenuta, per la non significativa portata della modifica, la destinazione principale del bene’) posto che, nel caso di specie, dall’espletata CTU non emergeva che l’intervento di trasformazione del tetto avesse comportato alcun sacrificio concreto per la condomina del piano inferiore né inciso sulla statica né inciso sul decoro architettonico dell’edificio;
3.i due motivi possono essere esaminati assieme perché connessi.
I motivi sono inammissibili perché si limitano a veicolare prospettazioni in fatto, contrarie a quanto accertato dalla Corte di Appello. I motivi si scontrano con il principio per cui ‘ è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (Cass. Sez. U, n.34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03).
La Corte di Appello, in primo luogo, ha richiamato la sentenza n.14107/2012; ha poi richiamato la sentenza di legittimità n.2126 del 29/01/2021 (‘Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell’edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene in rapporto alla sua estensione e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la
coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali’); ha quindi evidenziato, in coerenza con tali decisioni, che, per stabilire se l’intervento edilizio oggetto di causa rientrasse o meno tra quelli consentiti, occorreva ‘verificare concretamente in cosa’ era ‘consistito’; ha accertato, sulla base della relazione del CTU i cui passaggi significativi la Corte di Appello ha riportato a pagina 15, 16 e 18 della sentenza, che la ‘dimensione e la rilevanza dell’opera rispetto alla dimensione complessiva dell’originario elemento strutturale’ erano tali da far escludere che si trattasse di opera determinativa di modifiche non significative e che l’opera aveva recato anche un pregiudizio per il decoro architettonico dell’edificio;
3. il terzo motivo di ricorso è così rubricato: ‘violazione e falsa applicazione degli art. 324 c.p.c. e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.’. Sotto questa rubrica si deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere l’intervento edilizio de quo non consentito malgrado che al proprietario dell’ultimo piano di un edificio spetti il diritto di sopraelevare. Si deduce altresì che la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della sentenza n.148/2017 con cui il Tribunale di Benevento avrebbe deciso una causa tra le parti avente ad oggetto le tabelle millesimali del fabbricato in cui si dava conto dei volumi realizzati dalla ricorrente con la modifica del tetto.
Il motivo è, quanto alla prima deduzione, infondato.
La Corte di Appello ha ben distinto, sul richiamo a Cass. 11490/2020 (‘Le opere realizzate da un condomino su parti comuni poste all’ultimo piano di un edificio comportano l’applicazione della disciplina di cui all’art.1120 c.c., in caso di conforme delibera assembleare di approvazione, ovvero, dell’art.1102 c.c., ove tali modifiche dei beni comuni siano state eseguite di iniziativa dei singoli condomini. Costituisce, viceversa, sopraelevazione, disciplinata dall’art. 1127 c.c., la realizzazione di nuove opere,
consistenti in nuovi piani o nuove fabbriche, nonché la trasformazione di locali preesistenti mediante l’incremento di volumi e superfici nell’area sovrastante il fabbricato da parte del proprietario dell’ultimo piano’) l’ipotesi della modifiche di parti comuni dell’edificio, tra cui rientra anche il tetto (art. 1117 c.c.), dall’ipotesi di sopraelevazione. Nel caso di specie, la modifica del tetto comune, come la Corte di Appello ha affermato in modo (alla luce delle osservazioni già svolte) ineccepibile, è stata effettuata con violazione dei diritti di comproprietà della attuale controricorrente.
Il motivo è, quanto alla deduzione di violazione degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. inammissibile per varie ragioni: viene citata una sentenza del Tribunale di Benevento in tema di tabelle, recante n.148/2017 che tuttavia non è prodotta con attestazione del passaggio in giudicato; non è detto quando, nel merito, sarebbe stata prodotta la sentenza e quando sarebbe stata sollevata l’eccezione di giudicato esterno, in sprezzo del principio per cui l’eccezione di giudicato esterno riferita ad una sentenza -quale quella citata dal ricorrenteanteriore all’inizio del processo di appello e perfino alla sentenza di primo grado -(n.16/2018)- non può essere sollevata per la prima volta in sede di legittimità (v. tra molte Cass. n.5370 /2024: ‘L’eccezione di giudicato esterno non può essere dedotta per la prima volta in cassazione se il giudicato si è formato nel corso del giudizio di merito, attesa la non deducibilità, in tale sede, di questioni nuove; se, invece, il giudicato esterno si è formato dopo la conclusione del giudizio di merito -e, cioè, dopo il termine ultimo per ogni allegazione difensiva in grado di appello-, la relativa eccezione è opponibile nel giudizio di legittimità’); non viene esplicitato in modo preciso in quali termini il disposto di tale sentenza relativa alle tabelle condominiali interferirebbe con l’oggetto del presente giudizio;
6. in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
7. al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese determinate -in applicazione dei parametri generali di cui all’art. 4 d.m. 55/2014 e tenuto conto del valore indeterminato e della complessità della controversia (art. 5 d.m. 55/2014)-, nella misura di cui in dispositivo con riduzione dell’importo eccessivo richiesto dalla controricorrente con propria nota. Le spese devono essere distratte a favore del difensore della ricorrente dichiaratosi antistatario;
8. poiché la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso, e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma. La ricorrente va condannata al pagamento di una somma, equitativamente determinata in € 3500,00, in favore della controparte e di una ulteriore somma, pari ad € 3000,00, in favore della cassa delle ammende;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 3500,00 per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti, con distrazione in favore del difensore della controricorrente, dichiaratosi antistatario;
condanna la ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di € 3500,00 in favore della controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di € 3000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’8 maggio 2025.