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Trasferimento sede estero: quando resta il fallimento

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 13368/2024, ha stabilito che il trasferimento della sede all’estero, se avvenuto a ridosso della richiesta di fallimento e non reso conoscibile ai terzi, non sottrae la società alla giurisdizione italiana. La Corte ha chiarito che, in assenza di una pubblicità adeguata, il Centro degli Interessi Principali (COMI) dell’impresa rimane in Italia, legittimando la dichiarazione di fallimento da parte del tribunale italiano. La decisione sottolinea l’importanza della riconoscibilità del trasferimento sede estero da parte dei creditori.

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Trasferimento sede estero: non basta per sfuggire al fallimento in Italia

Il trasferimento sede estero di una società è una strategia lecita, ma se attuata in modo poco trasparente e a ridosso di una crisi, può non essere sufficiente a evitare la dichiarazione di fallimento in Italia. Con l’ordinanza n. 13368 del 15 maggio 2024, la Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sul concetto di Centro degli Interessi Principali (COMI) e sulla giurisdizione italiana nelle procedure di insolvenza transfrontaliera.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata italiana delibera il trasferimento della propria sede legale in Bulgaria, assumendo una nuova denominazione. La delibera avviene il 20 aprile 2017, l’iscrizione nel registro imprese bulgaro il 15 maggio 2017. Pochi giorni dopo, il 22 maggio 2017, un creditore deposita un ricorso per la dichiarazione di fallimento presso il Tribunale italiano competente. Quest’ultimo, in data 19 luglio 2017, dichiara il fallimento della società. È importante notare che la delibera di trasferimento viene iscritta nel Registro delle Imprese italiano solo il 15 settembre 2017, mesi dopo l’avvio della procedura fallimentare.

Il socio della società fallita impugna la decisione, sostenendo che, al momento della richiesta di fallimento, il COMI si era già spostato in Bulgaria, privando così il giudice italiano della giurisdizione.

La Questione Giuridica: Dove si Trova il COMI?

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’articolo 3 del Regolamento (UE) 2015/848. Tale norma stabilisce che la competenza ad aprire la procedura di insolvenza spetta ai giudici dello Stato membro in cui è situato il COMI, ovvero il “centro degli interessi principali” del debitore.

La presunzione del COMI e il trasferimento sede estero

Il Regolamento presume che il COMI coincida con la sede legale. Tuttavia, questa presunzione non si applica se la sede è stata trasferita in un altro Stato membro nei tre mesi precedenti la domanda di apertura della procedura di insolvenza. Nel caso di specie, il trasferimento era avvenuto proprio in questo lasso di tempo, facendo cadere la presunzione.

Di conseguenza, spettava alla società dimostrare che il suo COMI si fosse effettivamente e concretamente spostato in Bulgaria. La prova doveva riguardare non solo aspetti organizzativi interni, ma soprattutto un elemento fondamentale: la riconoscibilità del trasferimento da parte dei terzi, in particolare dei creditori.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la giurisdizione del tribunale italiano. Le motivazioni si basano su un’analisi rigorosa del concetto di riconoscibilità del COMI.

La Corte ha osservato che, al momento del deposito del ricorso di fallimento, il trasferimento della sede non era opponibile ai terzi secondo l’ordinamento italiano. L’iscrizione nel Registro delle Imprese italiano, che ha efficacia dichiarativa e rende l’atto conoscibile, era avvenuta solo mesi dopo. Anche l’iscrizione nel registro bulgaro, avvenuta solo una settimana prima del ricorso, non era sufficiente a rendere il trasferimento percepibile dai creditori italiani.

La normativa europea, sottolinea la Cassazione, è chiara nel proteggere i creditori. Un trasferimento di sede, per essere efficace ai fini della localizzazione del COMI, deve essere accompagnato da adeguate forme di pubblicità. I creditori devono essere messi in condizione di sapere dove l’impresa gestisce abitualmente i propri interessi.

In questo caso, la brevità del periodo tra l’iscrizione in Bulgaria e il ricorso, unita alla mancanza di pubblicità in Italia, ha portato i giudici a concludere che il trasferimento non era riconoscibile. Mancavano i requisiti di “abitualità e riconoscibilità” richiesti dal Regolamento UE. Pertanto, il COMI della società, dal punto di vista dei creditori, era ancora saldamente radicato in Italia.

La Corte ha inoltre dichiarato infondati gli altri motivi di ricorso, confermando la piena validità della notifica del ricorso di fallimento tramite Posta Elettronica Certificata (PEC) all’indirizzo risultante dal Registro Imprese italiano, obbligatorio per l’impresa fino alla formale cancellazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: il trasferimento sede estero non può essere utilizzato come uno strumento per eludere strumentalmente la giurisdizione del tribunale del Paese d’origine, specialmente in una situazione di imminente insolvenza. La trasparenza e la conoscibilità delle operazioni societarie verso i terzi sono requisiti imprescindibili. Per spostare efficacemente il COMI, non basta un atto formale, ma è necessario che il nuovo centro operativo sia oggettivo, verificabile e, soprattutto, riconoscibile dai creditori. Le imprese che pianificano un trasferimento transfrontaliero devono quindi prestare massima attenzione agli adempimenti pubblicitari, per evitare che la giurisdizione per un’eventuale procedura di insolvenza rimanga ancorata allo Stato di partenza.

Quando un tribunale italiano ha giurisdizione per dichiarare il fallimento di una società che ha trasferito la sede all’estero?
Un tribunale italiano mantiene la giurisdizione se il trasferimento della sede all’estero non è riconoscibile dai terzi (in particolare i creditori). Se il trasferimento avviene nei tre mesi antecedenti la richiesta di fallimento, la presunzione che il Centro degli Interessi Principali (COMI) coincida con la nuova sede legale non si applica, e spetta alla società dimostrare che il COMI si sia effettivamente spostato in un modo percepibile dall’esterno.

La notifica del ricorso di fallimento via PEC è valida se la società ha già trasferito la sede all’estero?
Sì, la notifica via PEC all’indirizzo risultante dal Registro delle Imprese italiano è pienamente valida. Fino a quando l’iter di trasferimento non è completato con la cancellazione formale dal registro italiano, l’impresa ha l’onere di mantenere attivo e funzionante il proprio indirizzo PEC, che rimane il domicilio digitale per tutte le comunicazioni legali.

Chi deve provare l’effettivo trasferimento del Centro degli Interessi Principali (COMI)?
L’onere della prova grava sul debitore, ovvero sulla società (o sui suoi rappresentanti, come il socio ricorrente in questo caso). Non è sufficiente dimostrare atti interni di riorganizzazione (affitto di uffici, apertura di conti correnti), ma è necessario provare che il nuovo centro operativo è diventato abituale e, soprattutto, riconoscibile dai terzi, attraverso adeguate forme di pubblicità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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