Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3166 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 3166  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
Oggetto
IMPRESA
FAMILIARE
–
CONFERIMENTO
IN SOCIETA’
–
CREDITO
COLLABORATRICE
– PROVA
ORDINANZA
R.G.N. 2983/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 15/11/2023
CC
sul ricorso 2983-2019 proposto da: RAGIONE_SOCIALE, (già  RAGIONE_SOCIALE), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la  rappresenta  e  difende  unitamente  all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in  ROMA,  INDIRIZZO,  presso  lo
studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchŁ contro
NOME COGNOME;
– intimato –
avverso la sentenza n. 922/2018 della CORTE D’APPELLO  di  CATANIA,  depositata  il  09/11/2018 R.G.N. 171/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/11/2023 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
l a Corte d’Appello di Catania, in riforma di sentenza del Tribunale di Siracusa, confermava il decreto ingiuntivo n. 297/2007 ottenuto da NOME COGNOME nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE per € 333.000, oltre accessori, a titolo di spettanze per la partecipazione all’impresa familiare costituita il 30.12.1998 dalla stessa e dall’ex -coniuge dott. COGNOME, cessata in data 6.6.2007, e conferita dal dott. COGNOME in pari data in s.n.c.;
il  Tribunale, per quanto qui rileva, aveva revocato il decreto  ingiuntivo  osservando,  in  particolare,  che  nella fattispecie  concreta    (gestione  di  farmacia  in  Pachino passata da impresa familiare a società di persone) non era configurabile  un  accollo  od  una  ricognizione  dei  debiti
dell’impresa familiare cessata da parte della RAGIONE_SOCIALE, e che, trattandosi di un’operazione di trasferimento di azienda commerciale ai sensi dell’art. 2560 c.c., la nuova azienda non rispondeva dei debiti dell’impresa cessata non risultando, questi ultimi, dai libri contabili obbligatori;
l a Corte d’Appello, invece, affermava che:
-la fattispecie era da inquadrare nell’ambito dell’accollo di cui all’art. 1273 c.c. tra l’impresa familiare cessata e la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per la gestione della farmacia in questione, avendo l’atto costitutivo di quest’ultima previsto il conferimento della prima nello stato patrimoniale in cui si trovava  al  31.3.2007,  ricomprendendo,  quindi,  anche  il debito  a  favore  della  collaborazione  lavorativa  prestata dall’originaria ricorrente in monitorio;
-l’adesione di questa,  in quanto  parte  creditrice, rendeva irrevocabile l’accollo;
-in  mancanza  di  un’espressa  liberazione  dell’impresa familiare  cessata,  in  quanto  parte  debitrice  originaria, quest’ultima rimaneva obbligata, ma in posizione degradata rispetto  alla  posizione  di  debitore  principale  dell’azienda RAGIONE_SOCIALE;
-l’accollo del debito  in favore  della collaboratrice nell’impresa familiare rappresentava un’ipotesi più specifica rispetto a quella prevista dall’art. 2560 c.c., e, pertanto, il requisito dell’annotazione del debito ceduto nei libri contabili obbligatori risultava non dirimente;
avverso la sentenza d’appello ricorre la società RAGIONE_SOCIALE ,  (già RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ) con 8 motivi; resiste NOME COGNOME con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato
memorie; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 112, 115, 342, 346 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente  riformato  il  capo  della  sentenza  di  primo grado, che escludeva la sussistenza dell’accollo tra l’impresa familiare e la RAGIONE_SOCIALE azienda, passato in giudicato in quanto non impugnato dalla lavoratrice in appello;
2. con il secondo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 230 bis, 1272, 1273, 2697 c.c., 112, 115, 116, 131 c.p.c., perché la Corte, dopo aver riconosciuto agli atti sottoscritti dalle parti la natura di negozio di accollo, non ha accertato l’esistenza del credito azionato, pur essendo stata la stessa contestata  dalla  società  resistente  in  entrambi  i  gradi  di giudizio;
3. con il terzo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 230 bis, 1988, 2697 c.c., 112, 115, 116, 131 c.p.c., per avere la  Corte  territoriale  erroneamente  riconosciuto  valore  di ricognizione di debito ad atti non direttamente rivolti alla collaboratrice;
4. con il quarto motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 230 bis, 1988, 2697 c.c., 112, 115, 116, 131 c.p.c. ed omessa pronuncia sulla prova contraria fornita dalla società sull’inesistenza del deb ito nei confronti della collaboratrice;
5. con il quinto motivo, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.)  violazione  e  falsa  applicazione  degli  artt.  1362  ss.
c.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la sussistenza di un accollo tra l’impresa familiare cessata e l’azienda RAGIONE_SOCIALE in conseguenza dell’indicazione dello stesso  tra  le  passività  dell’azienda  all’interno  dello  stato patrimoniale allegato all’atto costitutivo della società;
6. con il sesto motivo, la società deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1273, 2560 c.c., per avere la Corte territoriale riconosciuto la sussistenza  di  un  accollo  di  debito  pur  in  assenza  dei requisiti previsti dalla legge;
con il settimo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5, c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 1273 c.c.,  112,  115,  116,  131  c.p.c.,  per  avere  la  Corte erroneamente ritenuto che tra l’impresa familiare e l’azienda RAGIONE_SOCIALE sussis tesse un accollo esterno invece che  un  accollo  interno  che,  come  tale,  non  producendo effetti  verso  il  creditore,  non  consente  a  quest’ultimo  di agire in giudizio per il soddisfacimento del credito;
i suddetti motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché tutti attinenti all’inquadramento giuridico della vicenda oggetto di causa ed alla prova del credito della collaboratrice nell’impresa familiare nei confronti della società in cui l’azienda gestita da tale impresa è stata conferita, non sono fondati, in quanto il dispositivo della sentenza impugnata risulta conforme a diritto; pertanto, a norma dell’art. 384, comma 4, c.p.c., la sentenza non è soggetta a cassazione, salva correzione della motivazione per quanto di ragione;
osserva il Collegio, in primo luogo, ai fini del rigetto dell’eccezione  di  giudicato, che  i  giudici  del  merito  (cui compete l’interpretazione degli atti di parte) hanno ritenuto che  il tenore  della  censura  fosse  tale  da  investire  la statuizione, avendo il ricorrente contestato la ricostruzione
del giudice di primo grado e, in particolare, la statuizione con cui  il  primo  giudice  aveva  escluso  che  il  rogito  notarile contenesse un riconoscimento del debito (poi qualificato in sentenza come accollo).
Quanto alle altre censure, va ricordato che la giurisprudenza costante di questa Corte ha avuto modo di chiarire che l’attività sussuntiva, consistente nell’inquadramento della fattispecie concreta in una determinata fattispecie astratta, spetta al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità per vizio cd. di sussunzione, riconducibile al paradigma di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. (da ultimo Cass. n. 6459/2023), non essendo però sufficiente, per chi ricorre per cassazione, limitarsi a contrapporre una ricostruzione e valutazione dei fatti diversa rispetto a quella posta a base della decisione impugnata (cfr. Cass. n. 12789/2022); è stato altresì precisato che, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, così come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice, rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (cfr. Cass. n. 513/2019);
è opportuno, altresì, richiamare la giurisprudenza di questa Corte in tema di correzione della motivazione  delle  sentenze  con  dispositivo  conforme  a diritto, con cui si è precisato che, nel caso in cui si discuta
della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato soltanto alla plausibilità della giustificazione; come desumibile dall’art. 384, comma 4, c.p.c., il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato, perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione, ma solo a correzione, quando il dispositivo sia conforme al diritto (Cass. n. 26042/2023, Cass. n. 20719/2018; cfr. anche, sulla natura officiosa del potere di correzione della motivazione della sentenza, Cass. n. 22283/2009 e successive conformi);
12. nel caso di specie, la Corte di Catania ha qualificato la fattispecie concreta oggetto di questo giudizio in termini di accollo e, ritenendo quest’ultima fattispecie più specifica rispetto a quella prevista dell’art. 2560 c.c., ha giudicato superfluo il requisito dell’iscrizione nei libri contabili obbligatori dei debiti dell’impresa familiare, richiesto dal secondo comma di detta disposizione, ai fini della responsabilità in capo all’azienda cessionaria per i debiti dell’impresa ceduta;
13. ora, al di là della riconducibilità della fattispecie ad un negozio di accollo, la vicenda oggetto di causa è collegata a conferimento di impresa familiare in società in nome collettivo; si tratta, quindi, di una trasformazione di azienda eterogenea (da impresa familiare a società di persone), la quale integra un fenomeno successorio a titolo particolare nella gestione della farmacia e che determina il trasferimento, la circolazione della situazione creditoria e debitoria dell’impresa; in altri termini, l o stesso soggetto imprenditore dall’impresa familiare ha fatto confluire nel soggetto imprenditore societario la gestione dell’impresa, assumendo una nuova veste giuridica e nuovi soci, con il
corollario che non si tratta di debito altrui, di terzi, ma di debito del medesimo soggetto, fotografato, per così dire, all’atto  del  mutamento  di  veste  giuridica  per  la  gestione dell’azienda  (la  farmacia),  come  espresso  chiaramente,  e sottoscritto da tutti i soci, nell’atto costitutivo della società, con il quale il soggetto conferente l’azienda ha  indicato il patrimonio, e indicato le passività;
14. dall’atto costituivo della sRAGIONE_SOCIALE emerge che , in sede di costituzione della nuova società tra la dott.ssa NOME e il dott. COGNOME, quest’ultimo conferiva l’azienda gestita dal l’impresa familiare sulla base dei dati e dei valori risultanti dalla situazione patrimoniale al 31.3.2007; l’allegato A all’atto notarile di costituzione della nuova società contiene un estratto dello stato patrimoniale sottoscritto dai soci della società RAGIONE_SOCIALE, dal quale risulta, tra le voci passive, un ‘ debito verso collaboratorefamiliare ‘ di € 333.000, ossia la cifra per la quale è stata richiesta l’emissione di decreto ingiuntivo;
15. occorre, pertanto, dare conto, da un lato, dei principi civilistici che inducono ad interpretare gli obblighi di tenuta dei libri e delle scritture obbligatorie alla luce della natura e delle dimensioni dell’impresa; dall’altro, della giurisprudenza di questa Corte che interpreta, in via principale, i principi generali di cui all’art. 2560 c.c., in punto di responsabilità solidale fra cedente e cessionario, nel senso che la regola sancita dall’art. 2560, comma 2, c.c. è di carattere eccezionale, in quanto assegna preminente rilievo probatorio alle scritture contabili, derogando alla regola generale prevista dagli artt. 2697 c.c. ( quanto alla ripartizione degli oneri probatori) e 2727 e 2729 c.c. (quanto alla rilevanza delle presunzioni), e deve essere declinata in funzione della effettiva ratio di protezione
contenuta  nella  norma,  che  non  può  prescindere  dalle complessive emergenze processuali;
16. come chiarito da Cass. n. 32134/2019, in tema di cessione di azienda, il principio di solidarietà fra cedente e cessionario – fissato dall’art. 2560, comma 2, c.c. con riferimento ai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento e condizionato a che i debiti risultino dai libri contabili obbligatori – deve essere applicato considerando la finalità di protezione della disposizione, la quale permette di far comunque prevalere il principio generale di responsabilità solidale del cessionario qualora risulti, da un lato, un utilizzo della norma volto a perseguire fini diversi rispetto a quelli per i quali essa è stata introdotta e, dall’altro, un quadro probatorio che, ricondotto alle regole generali fondate anche sul valore delle presunzioni, consenta di assicurare tutela effettiva al creditore;
17. dunque,  l’obbligo  di  attenersi  a  fini  probatori  della solidarietà debitoria tra trasferente e acquirente di azienda alle  scritture  contabili  obbligatorie  deve  essere  modulato alla natura del credito e al complessivo quadro probatorio;
18. va, inoltre, rammentato che, in materia di impresa familiare, il reddito percepito dal titolare costituisce un reddito d’impresa, mentre le quote spettanti ai collaboratori, che non sono contitolari dell’impresa familiare, costituiscono redditi di puro lavoro, non assimilabili a quello di impresa (cfr. Cass. n. 34222/2019); e che la precipua finalità della norma di cui all’art. 2560, comma 2, c.c., è quella consentire al cessionario di acquisire adeguata e specifica cognizione dei debiti assunti (cfr. Cass. n. 23881/2021);
19. alla luce di tali principi -successione a titolo particolare  nell’azienda,  natura  di  credito  di  lavoro  del credito della collaboratrice nell’impresa familiare conferita
nella s.n.c., evidenza del debito dell’impresa familiare e sua piena conoscenza  da  parte dei soci desumibile dalla sottoscrizione della situazione patrimoniale allegata all’att o costitutivo -deve  confermarsi  la  responsabilità  solidale della società acquirente per il debito a titolo di spettanze per collaborazione nell’impresa familiare azionato in monitorio;
20. con l’ottavo motivo, la società deduce (art. 360, n. 3 e n. 5 c.p.c.) violazione e falsa applicazione degli artt. 51, n. 8, e n. 12, 47, ult. comma legge n. 89/1913, 1325 c.c., 112, 115, 116, 131 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che il documento allegato a un contratto notarile avesse natura di autonomo contratto di accollo e fosse espressione della volontà della costituenda società di obbligarsi al pagamento di debito verso la collaboratrice familiare, non essendone stata data lettura dal notaio e non avendo i requisiti essenziali del contratto;
21. il motivo risulta assorbito (da quanto espresso con riferimento ai precedenti motivi) relativamente alle doglianze su lla prova del credito dell’odierna controricorrente e inammissibile relativamente alle doglianze sull’attività notarile, atteso che dall’atto risulta che ‘ l’azienda viene conferita sulla base dei dati e dei valori risultanti dalla situazione patrimoniale al 31 marzo 2007, situazione patrimoniale che, composta di un foglio, si allega al presente atto contrassegnata di lettera ‘A’, omessane io AVV_NOTAIO la lettura per dispensa avutane dai comparenti ‘, e non consta querela di falso;
22. alla  stregua  delle  argomentazioni  esposte  il  ricorso deve essere respinto nel suo complesso;
23. le  spese  del  presente  giudizio,  liquidate  come  da dispositivo, seguono la soccombenza;
24. parte ricorrente è, inoltre, tenuta al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna  parte  ricorrente  alla  rifusione  delle  spese  del presente giudizio, che liquida in € 8.500 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per  il  versamento,  da  parte  della  ricorrente,  dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  Adunanza  camerale  del  15