Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 20453 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 20453 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Oggetto: proprietà – beni pubblici – trasferimento
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19303/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO PESCARA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del medesimo
-ricorrente –
contro
COMUNE DI PESCARA, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo indirizzo PEC
-controricorrente – nonché contro
PROVINCIA DI PESCARA, in persona del Vice Presidente p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura dell’Ente nelle persone degli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC delle medesime
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 775/2021, resa dalla Corte d’Appello di L’Aquila, pubblicata il 19/05/2021, notificata il 3/6/2021. udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9
luglio 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con ricorso ex art. 702 bis cod. proc. civ., depositato presso il Tribunale di Pescara, l’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Pescara chiese che venisse accertato e dichiarato, nei confronti del Comune e della Provincia di Pescara, il proprio diritto di proprietà sulla struttura denominata ‘RAGIONE_SOCIALE‘, adiacente all’ospedale ‘INDIRIZZO di Pescara’, in INDIRIZZO e sul terreno sottostante, in catasto fabbricati al Fg. 19, part. 3405, per averla acquistata ope legis ai sensi degli artt. 45 e 49 della L.R. 23 aprile 1996, n. 146, dalla data del 28/12/1996 di entrata in vigore della stessa, esponendo che il terreno, acquistato dalla Provincia con atto del 1941 e dell’estensione di mq. 7980, in catasto al Fg. 19, part. 517, era adiacente al nuovo ospedale ‘Spirito Santo’; che su di esso era stata realizzata una struttura costituita da superfici coperte e scoperte destinate all’atterraggio di eliambulanze nella parte superiore della terrazza, con relativa rampa di accesso, dal parcheggio di autovetture nei due piani sottostanti, da due locali tecnici, dal locale ufficio, dalle scale di collegamento ai piani superiori e dall’area pertinenziale adiacente alla struttura principale; che il Provveditorato regionale alle Opere pubbliche aveva approvato, con decreto n. 6593 del 20/3/1972, il progetto per la realizzazione del nuovo ospedale regionale di Pescara, inserendo detto immobile nell’elenco riassuntivo dei terreni da occupare permanentemente e nel piano particellare di esproprio e, con successivo decreto del 27/1/1973, ne aveva disposto l’occupazione temporanea e immediata; che l’Ente ospedaliero
‘Ospedale Civile Spirito Santo’ aveva occupato il terreno il 9/4/1973; che il Prefetto, in data 22/5/1976, aveva decretato l’esecutività del piano lavori e che la Provincia, con deliberazione della Giunta del 26/9/1978, n. 1241, aveva accettato l’indennità di esproprio e autorizzato il Presidente a compiere gli atti di trasferimento della proprietà; e che alla procedura di esproprio era subentrata la Regione Abruzzo, non essendo la Provincia più competente ai sensi dell’art. 17 del d.l. n. 376 del 1975, conv., con modif., dalla legge n. 492 del 1975, la quale non l’aveva portata a termine.
Il Comune e la Provincia di Pescara si costituirono in giudizio, chiedendo il rigetto della domanda e, quanto al Comune, sollevando eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, spettando questa al giudice amministrativo.
Il Tribunale, con ordinanza del 04/07/2018, rigettò il ricorso con compensazione delle spese.
Il giudizio di gravame, interposto dall’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Pescara, si concluse, nella resistenza del Comune di Pescara e della Provincia, con la sentenza n. 775/2021, con la quale la Corte d’Appello di L’Aquila rigettò l’appello, condannando la ASL n. 3 di Pescara alle spese di lite.
Per quanto qui rileva, i giudici di merito ritennero che il trasferimento alle unità sanitarie locali e alle aziende ospedaliere dei beni mobili e immobili e delle attrezzature facenti parte del patrimonio comunale e provinciale con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali ivi compresi i beni di cui all’art. 65, primo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833, come sostituito dall’art. 21 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, conv., con modif., dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 , previsto dall’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 502 del 1992, non avvenisse automaticamente, ma, in virtù del secondo comma della medesima
disposizione, mediante provvedimento regionale destinato a regolare nel caso concreto ogni singolo trasferimento e a costituire titolo per la trascrizione, così come sancito dall’art. 45 della legge Regione Abruzzo n. 146 del 1996, provvedimento che, pur non discrezionale se non con riferimento alla gradualità del trasferimento, non era stato emesso nella specie.
Ad avviso dei giudici di merito, tale considerazione era ulteriormente avvalorata dalla scrittura privata del 26/5/2000, con la quale il Comune di Pescara aveva concesso alla Asl di Pescara la superficie coperta e scoperta destinata a eliporto con annesso parcheggio a pagamento con custodia, con la precisazione che detta struttura era di proprietà del Comune di Pescara e che era esclusa dalla concessione la superficie di mq. 1000, già concessi dal Comune a titolo di comodato gratuito, con la conseguenza che tale accordo escludeva la titolarità del diritto reale vantato dall’Azienda Sanitaria Locale n. 3.
L’Azienda Sanitaria Locale n. 3 di Pescara propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune e la Provincia di Pescara resistono con controricorso.
Considerato che :
Con il primo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5, commi 1 e 3, del d.lgs. n. 502/1992, così come modificato dall’art. 5 del d.lgs. n. 229 del 1999, dell’art. 45 della L.R. Abruzzo n. 146 del 1996, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito rigettato la domanda sulla base di due autonome rationes decidendi contrastanti con le disposizioni di legge sopra citate. Analizzando la prima di esse, la ricorrente ha evidenziato che l’effetto traslativo della proprietà andava ricondotto all’art. 5 del d.lgs. n. 502 del
1992 e non ai provvedimenti amministrativi da emanarsi a cura della Regione Abruzzo, siccome meramente esecutivi e dichiarativi, tant’è che, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 229 del 1999, era stato espunto dal ridetto art. 5 il riferimento al decreto di trasferimento del Presidente della Giunta ed era stato ampliato il novero dei beni appartenente alla USL, essendo stati inseriti anche quelli da trasferire.
Posto, dunque, che il diritto si trasferisce per legge e che i decreti rappresentano un mero passaggio formale ed esecutivo con funzione dichiarativa, così come confermato dalla disciplina regionale, il giudice d’appello aveva errato nel ricondurre ai predetti provvedimenti amministrativi l’effetto traslativo della proprietà e ad attribuire, in tal modo, all’esercizio della potestà amministrativa l’effetto costitutivo della titolarità del diritto reale, come del resto affermato dalla Corte di legittimità con la sentenza n. 4206 del 2007.
Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’illogicità manifesta e la contraddittorietà della motivazione, desumibile in via diretta dal testo della sentenza per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che, in virtù delle disposizioni sopra richiamate, per il trasferimento dei beni era necessario emettere i decreti del Presidente della Giunta regionale, richiamati dall’art. 45, comma 1, legge regionale n. 46 del 1996, e, contestualmente, che, alla stregua di quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 4206/2007, esisteva un diritto soggettivo in capo all’Azienda Sanitaria che escludeva qualsiasi discrezionalità della pubblica amministrazione e che però imponeva l’emissione dell’atto amministrativo destinato a regolare il trasferimento nel caso concreto. Così argomentando, i giudici avevano reso una motivazione contraddittoria, data dal riconoscimento di un diritto
soggettivo al trasferimento e dall’assenza di discrezionalità e, contestualmente, dalla necessità dell’emissione di decreti attuativi e meramente dichiarativi.
Il secondo motivo, da trattare con priorità per motivi logici, è infondato.
Infatti, dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez . 3, 12/10/2017, n. 23940).
Nella specie, non è ravvisabile il suddetto vizio, in quanto in giudici di merito hanno ampiamente argomentato sulle ragioni del rigetto dell’appello, sostenendo che gli artt. 5 del d.lgs. n. 502 del 1992, 45 della Legge regionale n. 146 del 1996 e 5 d.lgs. n. 229 del 1999, attribuissero all’Azienda Sanitaria il diritto al trasferimento dei beni, mobili e immobili, facenti parte del patrimonio dei comuni e delle province con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali e che detto diritto soggettivo postulasse l’emissione dei decreti del Presidente della Giunta regionale, nella specie non intervenuti, senza che possa ravvisarsi alcuna manifesta e irriducibile palese contraddittorietà, come sostenuto nella censura, non essendovi alcun automatismo tra il riconoscimento di un diritto soggettivo al trasferimento e il trasferimento stesso o la limitata discrezionalità attribuita all’amministrazione e la superfluità del provvedimento da emettere.
Il primo motivo è altrettanto infondato.
L’art. 5 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, in tema di ‘Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421’, prevedeva, nella versione originaria, che ‘ Nel rispetto della normativa regionale vigente, tutti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito, e le attrezzature che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, fanno parte del patrimonio dei comuni con vincolo di destinazione alle unità sanitarie locali, sono trasferiti al patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere; sono parimenti trasferiti al patrimonio delle unità sanitarie locali i beni di cui all’articolo 65, primo comma come sostituito dall’art. 21 del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638 -della legge 23 dicembre 1978, n. 833 ‘ (comma 1) e che ‘ I trasferimenti di cui al presente articolo sono effettuati con decreto del Presidente della Giunta regionale.
Tale decreto costituisce titolo per l’apposita trascrizione dei beni, che dovrà avvenire con esenzione per gli enti interessati di ogni onere relativo a imposte e tasse ‘ (comma 2).
L’art. 5 del d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, ha sostituito il ridetto art. 5 del d.lgs. n. 502 del 1992, stabilendo che ‘ Nel rispetto della normativa regionale vigente, il patrimonio delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere è costituito da tutti i beni mobili ed immobili ad esse appartenenti, ivi compresi quelli da trasferire o trasferiti loro dallo Stato o da altri enti pubblici, in virtù di leggi o di provvedimenti amministrativi, nonché da tutti i beni comunque acquisiti nell’esercizio della propria attività o a seguito di atti di liberalità ‘ (comma 1), che ‘ Le unità sanitarie locali e le aziende ospedaliere hanno disponibilità del patrimonio secondo il regime della proprietà privata, ferme restando le disposizioni di cui all’articolo 830, secondo comma, del codice civile. Gli atti di trasferimento a terzi di diritti reali su immobili sono assoggettati a previa autorizzazione della regione. I beni mobili e immobili che le unità sanitarie locali, le aziende ospedaliere e gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico utilizzano per il perseguimento dei loro fini istituzionali costituiscono patrimonio indisponibile degli stessi, soggetti alla disciplina dell’articolo 828, secondo comma, del codice civile ‘ (comma 2), e che ‘ Le leggi ed i provvedimenti di cui al comma 1 costituiscono titolo per la trascrizione, la quale è esente da ogni onere relativo a imposte e tasse ‘ (comma 3).
Come già più volte affermato da questa Corte, sia pure in materia tributaria con riferimento all’art. 26 T.U.I.R. (art. 23 vecchia formulazione e, in precedenza, d.P.R. n. 597 del 1973, art. 32), secondo cui i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto, o altro diritto, la disposizione di cui all’art. 5 del d.lgs. 30 dicembre
1992, n. 502, sostanzialmente riprodotta nei suoi contenuti essenziali dalla Legge regionale sopra citata, ha evidente natura programmatica e determina per il futuro il patrimonio delle Aziende sanitarie, includendo nello stesso anche gli immobili trasferiti o da trasferire. La stessa non solo ‘non prevede espressamente l’automatico trasferimento dei beni, ma, al contrario, ne disciplina il definitivo trasferimento attraverso future leggi o provvedimenti amministrativi, i quali, solo, costituiranno titolo per la trascrizione; in altre parole, come risulta dallo stesso tenore letterale della norma, per potersi ritenere perfezionato il trasferimento, è necessario l’intervento di una successiva legge o provvedimento amministrativo e solo successivamente si può procedere, per i conseguenti effetti, a trascrizione” (in questi termini, Cass., Sez. 5, 22/7/2024, n. 20178; Cass., Sez. 6-5, 31/3/2022, n. 10384; Cass., Sez. 5, 6/8/2014, n. 17641; Cass., Sez. 5, 16/4/2014, n. 8821, tutte non massimate; si veda anche Cass., Sez. 2, 27/2/2024, n. 5116, pure non massimata, che implicitamente considera dirimente l’esame del decreto del Presidente della Regione Sicilia), provvedimento questo che è pacifico, nella specie, non sia stato emesso.
Né può giungersi a diversa conclusione analizzando l’art. 45 della Legge regionale Abruzzo del 24 dicembre 1996, n. 146, in tema di ‘ Norme in materia di programmazione, contabilità, gestione e controllo delle Aziende del Servizio sanitario regionale, in attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, così come modificato dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 ‘, il quale, nello stabilire che, ‘ ai sensi dell’art. 5 commi 1 e 2 del D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni ed integrazioni, sono trasferiti alle Aziende, a determinarne il Fondo di dotazione iniziale da iscrivere nel patrimonio netto delle Aziende stesse: a) tutti i beni mobili, immobili, ivi compresi quelli da reddito, e le
attrezzature che alla data della costituzione delle Aziende facevano parte del patrimonio dei Comuni e delle Province con vincolo di destinazione alle preesistenti Unita’ sanitarie locali e ospedali; b) le posizioni attive e passive originatesi dalla data di costituzione delle Aziende e non rientranti nelle gestioni liquidatorie come previste dall’art. 2 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 ‘ (comma 1) e che ‘ Entro 60 giorni dalla pubblicazione della presente legge la Giunta regionale emana direttive per la rilevazione e la valutazione delle poste attive e passive del patrimonio delle Aziende ‘ (comma 2), non si discosta in alcun modo dalla previsione di cui al ridetto art. 5, limitandosi a descrivere la tipologia di beni da trasferire, senza specificarne le modalità.
Ciò comporta che correttamente i giudici di merito hanno escluso che i beni contesi fossero già stati trasferiti alla Asl in assenza del decreto del Presidente della Giunta Regionale.
5.1 Con il terzo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 66 della Legge n. 833 del 1978 e degli artt. 1, 3 e 56 della L.R. Abruzzo n. 53 del 1980, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto che la scrittura privata del 26/5/2000, con la quale il Comune di Pescara aveva concesso alla ASL di Pescara i medesimi immobili, dando conto della titolarità, in capo ad esso, della proprietà degli stessi, escludesse la titolarità del diritto reale e l’esercizio del possesso dedotto dalla Asl. La ricorrente ha, sul punto, evidenziato che la concessione non poteva escludere un diritto concesso dalla legge; che una siffatta interpretazione postulava una implicita funzione abdicativa della proprietà per effetto di un comportamento amministrativo considerato preminente rispetto alla disposizione di legge; che il richiamo al possesso evocava i presupposti della differente azione di usucapione e non di quella esercitata, avente ad oggetto a
dichiarazione dell’avvenuto trasferimento del diritto di proprietà già costituito dalla legge; che a tale scrittura non poteva attribuirsi il significato di una recondita volontà della Asl di dismettere il proprio bene in assenza dell’articolato iter amministrativo previsto dalla legge n. 833 del 1978 e dalla legge Abruzzo n. 35 del 7 luglio 1982 per lo svincolo di destinazione di un bene destinato ad attività della Asl.
5.2 Il terzo motivo è inammissibile.
La questione afferente alla scrittura privata del 2000 costituisce, infatti, una delle due rationes decidendi alle quali i giudici di merito hanno affidato la decisione di infondatezza della censura, con la conseguenza che il giudizio di correttezza della prima, come affermato nel precedente punto 4, determina il venir meno dell’interesse all’esame della seconda.
6.1 Con il quarto motivo, si lamenta, infine, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., perché la Corte d’Appello aveva omesso di pronunciarsi sul motivo col quale la Asl si era doluta del fatto che il giudice di primo grado, violando l’art. 115 cod. proc. civ., avesse rigettato la domanda proposta dalla Asl anche nei confronti della convenuta Provincia di Pescara, nonostante questa non avesse contestato la pretesa e ne avesse anzi riconosciuto la fondatezza. La Provincia si era, infatti, difesa in primo grado sostenendo che fosse singolare la richiesta di accertamento della proprietà in capo alla Asl, posto che il bene che ne era oggetto le era stato espropriato dalla stessa Asl, alla quale era stato trasferito con cessione bonaria, previa accettazione, da parte della Provincia, della relativa indennità.
6.2 Il quarto motivo è inammissibile.
Si osserva innanzitutto che l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o
istanza ritualmente introdotta in giudizio -risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, allorché la domanda sia ovviamente ammissibile, non conseguendo in tal caso l’obbligo del giudice di pronunciarsi nel merito (Cass., Sez. 5, 16/7/2021, n. 20363), integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n.4, cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello (Cass., Sez. L, 13/10/2022, n. 29952; Cass., Sez. 5, 31/7/2024, n. 21444).
Orbene, la censura è fondata sulla sostanziale non contestazione, da parte della provincia, dell’acquisto della proprietà del bene in capo alla ricorrente, la quale però, oltre a rappresentare una circostanza di fatto e non giuridica, non è stata neppure articolata adeguatamente, posto che il motivo di ricorso per cassazione con il quale si intenda denunciare, come nella specie, l’omessa considerazione, nella sentenza impugnata, della prova derivante dall’assenza di contestazioni della controparte su una determinata circostanza, deve, in definitiva, riprodurre tanto il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio, con la puntuale allegazione dei fatti di causa ivi esposta dall’attore (sostanziale), quanto il contenuto dell’atto contenente la risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi, con la prospettata mancanza o genericità di contestazione in ordine agli stessi (Cass. Sez. 6-2, 17/6/2022, n. 19581), onde consentire a questa Corte di verificare direttamente la fondatezza della censura, incombenti questi non adempiuti nella specie.
In conclusione, dichiarata l’infondatezza della prima e della seconda censura e l’inammissibilità della terza, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
Considerato il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 24.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 9 luglio 2025.