Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24409 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24409 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
Oggetto Responsabilità civile generale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20844/2023 R.G. proposto da NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME , Curia Arcivescovile di Messina, Arcidiocesi di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina, n. 617/2023, pubblicata in data 10 luglio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 luglio 2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
rilevato che:
NOME COGNOME convenne in giudizio, nel 2011, davanti al Tribunale di Messina il sacerdote NOME COGNOME, la Curia Arcivescovile di Messina e NOME COGNOME chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patrimoniali e non, subiti in conseguenza della mancata trascrizione del matrimonio concordatario contratto con il COGNOME in data 19 marzo 2009, presso la Parrocchia di S. Maria di Montalto in Messina;
espose a fondamento che:
-nel 2010 ella e il COGNOME avevano deciso di separarsi, ma scoprirono che il matrimonio non era stato trascritto, per avere il parroco omesso di chiedere la trascrizione;
-richiesto di provvedere congiuntamente alla trascrizione tardiva dell’atto di matrimonio , onde poi procedere alla separazione giudiziale, il COGNOME aveva negato il proprio consenso con lettera datata 8 giugno 2010;
-in previsione del matrimonio aveva sostenuto spese (mobilio, cerimonia, viaggio nuziale, ecc.), per affrontare le quali aveva richiesto due finanziamenti per l’importo complessivo lordo di Euro 66.150,00;
con sentenza n. 526 del 2019 l’adito Tribunale rigettò la domanda rilevando che la COGNOME non aveva dato corso ad alcuna procedura (ad esempio, il procedimento camerale ai sensi degli artt. 95 e 96 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396) affinché si procedesse, su sua sola richiesta, alla trascrizione tardiva e che, comunque, il rifiuto del COGNOME , formalizzato con la comunicazione dell’ 8 giugno 2010, non appariva condotta illecita fonte di responsabilità;
con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Messina ha rigettato il gravame interposto dalla NOMECOGNOME compensando per un quarto le spese del grado d’appello e condanna ndo l’appellante al pagamento dei restanti tre quarti in favore dell’unico appellato costituito, NOME
Campagna;
in piena adesione alla motivazione del primo giudice ha rilevato che la decisione del COGNOME di opporsi alla trascrizione tardiva « non appare riconducibile ad una condotta non jure quale fonte di responsabilità, non gravando sul DCOGNOME alcun obbligo giuridico semmai soltanto morale – di prestare il proprio consenso alla trascrizione tardiva; sul punto, infatti, occorre appena ribadire l’autonomia e la differenza ontologica tra i due momenti cui è ispirata la normativa neoconcordataria, costituiti, il primo, dall’espressione della volontà dei coniugi di contrarre matrimonio, e, il secondo, dalla scelta di attribuire rilevanza civile al matrimonio religioso; pertanto, trascorso un lasso temporale dalla celebrazione di quest’ultimo che non consenta ormai di presumere detta volontà, deve ammettersi il sopravvenuto ripensamento del coniuge, in aderenza al diritto fondamentale di autodeterminarsi in condizioni di piena libertà nel compimento di un atto personalissimo qual è la scelta di far scaturire effetti civili dal matrimonio religioso che, in linea di principio, non scalfisce la volontà di mantenerlo in vita »;
ha altresì escluso sussistesse prova del dedotto riconoscimento di debito rilevando che « la missiva datata 28 luglio 2010, a firma dell’avv. NOME COGNOME rimanda gli accordi economici tra le parti a una successiva e contestuale stipula di scrittura privata, non prodotta agli atti del giudizio »;
nell’escludere la sussistenza della dedotta corresponsabilità del parroco ha inoltre rilevato che la COGNOME non aveva dato prova dei danni asseritamente patiti, « non potendosi considerare tali le richieste di finanziamento agli atti del giudizio, di cui una intestata a soggetto diverso dall’odierna appellante » e che « l’omessa trascrizione non impedisce autonoma e diversa azione nei confronti del COGNOME per la restituzione degli arredi e, comunque, non è causa immediata e diretta di danno insito né dell’acquisto degli arredi, né della restituzione
degli stessi »;
avverso tale decisione NOME COGNOME propone ricorso per cassazione articolando due motivi;
nessuno degli intimati svolge difese in questa sede;
l a trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero; la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che:
è nulla la notifica del ricorso nei confronti dell’ Arcidiocesi di Messina, Lipari e S. Lucia del Mela, rimasta contumace nel giudizio di appello, in quanto effettuata presso il procuratore costituito per essa in primo grado, non risultando che con la procura in allora conferita il difensore fosse stato espressamente indicato quale domiciliatario eletto per tutti i gradi del giudizio (v. Cass. n. 16952 del 25/07/2006, Rv. 594001; Cass. Sez. U. n. 10817 del 29/04/2008, Rv. 603086; Cass. n. 11485 del 11/05/2018, Rv. 648022; v. anche, da ultimo, Cass. n. 16663 del 14/06/2024, in motivazione);
tuttavia, trattandosi di litisconsorte facoltativa ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all’ordine di rinnovazione della notifica, essendo ormai l’impugnazione per essa preclusa;
con il primo motivo la ricorrente denuncia, con riferimento all’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione degli artt. 79, 80 e 81 c.c., dell’art. 8 comma sesto l. n. 121 del 19 85 e dell’art. 2043 c.c. », lamentando che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto che il rifiuto del COGNOME di prestare il consenso alla trascrizione tardiva del matrimonio concordatario non configurasse una condotta illecita, per non gravare su di lui alcun obbligo giuridico, ma solo morale;
sostiene, di contro, che con le pubblicazioni e le dichiarazioni rese
al celebrante, i nubendi si erano impegnati a contrarre un matrimonio con effetti civili e che l a trasmissione e la trascrizione dell’atto di matrimonio celebrato secondo il rito concordatario sono adempimenti necessari e dovuti, indipendentemente dalla volontà successiva delle parti;
rileva inoltre che erroneamente la Corte peloritana ha attribuito rilevanza al mancato ricorso al procedimento camerale di cui agli artt. 95 e 96 d.P.R. n. 396 del 2000, atteso che a tale rimedio non poteva utilmente farsi ricorso essendo per esso, comunque, necessario il consenso del COGNOME;
con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., « violazione o falsa applicazione dell’art. 1334 c.c. » in relazione alla ritenuta mancanza di prova del riconoscimento di debito da parte del COGNOME ;
rileva che, diversamente da quanto opinato dalla Corte di merito, la raccomandata del 28/7/2010 -nella quale il legale del COGNOME aveva dichiarato che il suo cliente era disponibile a versare alla COGNOME la metà dell’importo già corrisposto alla finanziaria per sostenere le spese del matrimonio e l’acquisto del mobilio, oltre a impegnarsi a versare la metà delle rate future -costituiva riconoscimento di debito a ciò non ostando la mancata redazione di successiva scrittura privata, che atteneva solo alle modalità di esecuzione della transazione;
il primo motivo è inammissibile e, comunque, infondato;
nessuno degli argomenti di critica che con esso sono svolti attinge invero l’autonoma ratio decidendi rappresentata dal rilievo della mancanza di prova del danno, di per sé idonea da sola a giustificare il diniego della configurabilità di un danno suscettibile di fondare la pretesa risarcitoria o indennitaria alternativamente fondata sugli artt. 2043 e 81 cod. civ.;
di tale aggiuntiva ratio decidendi la ricorrente non si fa carico, il che rende inammissibile il motivo;
è appena il caso di rammentare al riguardo che, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi , ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro alcuna di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (v. ex multis Cass. n. 2174 del 24/01/2023; n. 13880 del 6/07/2020; n. 14740 del 13/07/2005);
di tali censure può co munque anche rilevarsi l’infondatezza; correttamente la Corte peloritana ha invero escluso che al rifiuto del COGNOME di acconsentire alla trascrizione tardiva del matrimonio contratto con rito religioso possa attribuirsi connotato di antigiuridicità tale da giustificare la pretesa risarcitoria ex lege Aquilia ;
tale assunto è frontalmente contrastato in ricorso facendosi leva, in particolare, sul precedente di Cass., Sez. 1, 8/02/1977, n. 555, Rv. 384110 -01, secondo la cui massima « la trasmissione all’ufficiale dello stato civile e la trascrizione dell’atto di matrimonio, celebrato davanti a ministro di culto cattolico secondo le norme del rito concordatario, costituiscono adempimenti necessari e dovuti, rispetto ai quali rimane irrilevante qualsiasi manifestazione di volontà delle parti, successiva al matrimonio medesimo. Pertanto, il comportamento di un coniuge, che impedisca quella trascrizione, non configura una mera inadempienza a promessa di matrimonio, o violazione di semplice aspettativa, ma costituisce un fatto illecito lesivo del diritto dell’altro coniuge al completamento di una fattispecie intrinsecamente già realizzata (nella specie, un parroco aveva consentito a celebrare matrimonio concordatario, senza l’atto di nascita del promesso marito, dietro l’impegno di entrambi i nubendi di consegnare detto documento non appena ne fossero venuti in possesso. La trascrizione di tale
matrimonio era stata poi resa impossibile dal comportamento doloso del marito, il quale aveva trattenuto il proprio atto di nascita, utilizzandolo per contrarre matrimonio civile con altra donna. La SC, enunciando il principio di cui sopra, ha ritenuto correttamente affermata dai giudici del merito, ai sensi dell’art 2043 cod civ, la responsabilità del marito per i danni subiti dalla moglie in conseguenza dei mancati effetti civili del matrimonio religioso) »;
tale precedente non è però pertinente in quanto evidentemente reso con riferimento alla ben diversa disciplina previgente, dettata dalla legge 27 maggio 1929, n. 847 ( Disposizioni per l’applicazione del Concordato dell’11 febbraio 1929 fra la S. Sede e l’Italia, nella parte relativa al matrimonio );
la sostanziale differenza di tale regime rispetto a quello applicabile nella specie si ricava dal raffronto tra l’art. 14, primo comma, della legge n. 847 del 1929 (a mente del quale « La trascrizione dell’atto di matrimonio che per qualsiasi causa sia stata omessa può essere richiesta in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, quando le condizioni stabilite dalla legge sussistevano al momento della celebrazione del matrimonio e non siano venute meno successivamente » ) e l’art. 8, comma 1, sottocomma sesto, legge n. 121 del 1985 (secondo il quale « La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi »);
se ne trae che, effettivamente, come correttamente rimarcato dei giudici a quibus , con le modifiche al Concordato del 1984 la possibilità di una successiva trascrizione sia stata subordinata al consenso di entrambi i nubendi, ciò a differenza della disciplina previgente che da tale consenso invece evidentemente prescindeva (v. in tal senso Cass.
Sez. 1 n. 2929 del 5/02/2025, Rv. 673946; Cass. Sez. 1 n. 2929 del 5/02/2025, Rv. 673946);
non appare, dunque, più sostenibile che il rifiuto del consenso, ora previsto come condizione della successiva trascrizione, possa considerarsi atto contra jus ;
resta il diverso problema se però la fattispecie possa essere ricondotta, sia pure in via estensiva o analogica, alla previsione di cui all’art. 81 cod. civ. (promessa di matrimonio);
il precedente del 1977 lo escludeva, ma ciò faceva sul rilievo, fondato sulla precedente disciplina, che il matrimonio concordatario, lungi dal potersi considerare alla stregua di mera promessa di matrimonio, costituiva atto già di per sé idoneo a fondare il « diritto dell’altro coniuge al completamento di una fattispecie intrinsecamente già realizzata » e ciò proprio in quanto, una volta celebrato il matrimonio, « rimane irrilevante qualsiasi manifestazione di volontà delle parti, successiva al matrimonio medesimo »;
ciò nondimeno, anche rispetto alla diversa disciplina ora vigente, non è possibile una interpretazione estensiva o analogica della norma codicistica che ne consenta l’applicazione al caso qui considerato;
ed infatti, anche con la celebrazione del matrimonio nelle forme neoconcordatarie i nubendi non si scambiano promesse di future nozze ma compiono un atto idoneo, da un lato, a concludere un matrimonio religioso e, dall’altro, anche di per sé idoneo a produrre effetti civili a condizione, però, che la richiesta di trascrizione sia fatta, « per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione » (art. 8, comma 1, sottocomma quarto, l. n. 121 del 1985);
ove ciò non accada -e nella specie non è accaduto per circostanze estranee alla volontà e comunque alla sfera di intervento di alcuno dei nubendi (quantomeno al riguardo manca qualsiasi allegazione e prova) -la norma consente bensì una trascrizione tardiva anche su richiesta
di uno solo dei contraenti, ma rivive a tal fine la necessità del consenso dell’altro, non più presunt o, dato il tempo trascorso, sulla base del solo consenso all’atto ;
con ciò evidentemente si ammette -come fondatamente nota il Collegio peloritano -« il sopravvenuto ripensamento del coniuge, in aderenza al diritto fondamentale di autodeterminarsi in condizioni di piena libertà nel compimento di un atto personalissimo qual è la scelta di far scaturire effetti civili dal matrimonio religioso che, in linea di principio, non scalfisce la volontà di mantenerlo in vita »;
il tempo trascorso, dunque, comporta una cesura anche sul piano logico e giuridico tra i due momenti che non consente di ricavare dall’atto in sé nemmeno il significato e il valore di una promessa, almeno sul piano giuridico, assimilabile a quella considerata dall’art. 81 cod. civ.;
il secondo motivo è inammissibile;
si prospetta con esso, in termini meramente oppositivi rispetto alla valutazione svolta dalla Corte di merito, una questione di interpretazione di dichiarazione unilaterale senza dedurre la violazione dei canoni legali di ermeneutica negoziale;
non si ricava, comunque, dalla motivazione della sentenza alcuna affermazione che si ponga in contrasto con tali criteri;
piuttosto la censura si risolve nella prospettazione di questioni di merito, comunque eccedenti dai limiti in cui al riguardo ne è consentita la deduzione: in ultima analisi nella mera assertiva contrapposizione di un esito diverso dell’attività esegetica riservata al giudice del merito e legittimamente nella specie compiuta;
mette conto comunque soggiungere che:
-la dichiarazione in questione proviene non dalla parte ma dal suo legale e non risulta nemmeno dedotto che gliene fosse stato conferito il potere;
-in ogni caso, dal testo di tale dichiarazione, quale trascritto in
ricorso, non si ricava affatto una incondizionata ricognizione di debito essendo la riferita disponibilità dell’assistito a partecipare alle spese espressamente condizionata alla « previa esibizione … della documentazione inerente al finanziamento a suo tempo ottenuto per sostenere le spese del matrimonio e al l’acquisto del mobilio »;
per le considerazioni che precedono il ricorso deve essere in definitiva dichiarato inammissibile;
non avendo gli intimati svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza