Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25103 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25103 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8619/2020 R.G. proposto da:
COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME -domicili digitali PEC: EMAIL e EMAIL–
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME, già rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME -domicilio digitale PEC: EMAIL–
-controricorrenti- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 1231/2019 depositata il 25/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni scritte rassegnate dal Pubblico Ministero;
FATTI DI CAUSA
In data 4.1.1984 RAGIONE_SOCIALE quale promittente venditrice, e NOME COGNOME e NOME COGNOME quali promissari acquirenti, avevano stipulato un contratto preliminare di compravendita immobiliare avente ad oggetto un immobile sito in San Benedetto del TrontoINDIRIZZO INDIRIZZO
Con atto di citazione notificato il 15.12.1986 i promissari acquirenti avevano proposto avanti al Tribunale di Ascoli Piceno domanda ex art.2932 c.c., curandone la trascrizione eseguita in pari data; la società convenuta si era tempestivamente costituita opponendosi per vari profili all’accoglimento della domanda; all’udienza del 10.3.1994, era stato espletato il giuramento decisorio, deferito dalla società convenuta e ammesso in ordine all’effettivo e già intervenuto pagamento integrale del prezzo pattuito; successivamente, nel 1997, RAGIONE_SOCIALE era stata dichiarata fallita, con interruzione del processo dichiarata nel giugno dello stesso anno.
Riassunto il giudizio con ricorso tempestivamente depositato, gli attori non avevano provveduto alla sua notificazione nel termine inizialmente indicato dal Tribunale di Ascoli Piceno ma lo avevano fatto nel termine successivamente concesso loro, dopo che il precedente era già scaduto. Il curatore del Fallimento si era costituito eccependo l’intervenuta estinzione del giudizio e facendo comunque presente che intendeva esercitare i poteri conferiti dall’art.72 L.F.
Il Tribunale di Ascoli Piceno aveva dichiarato estinto il giudizio per intempestiva riassunzione.
I promissari acquirenti avevano proposto impugnazione avanti alla Corte d’Appello di Ancona: il giudizio di secondo grado, dopo l’intervento ex art.111 c.p.c. di NOME COGNOME in qualità di assuntore del concordato fallimentare nel frattempo proposto e omologato, aveva subito un’ulteriore interruzione per il decesso del difensore dei promissari acquirenti; il giudizio di appello era stato quindi riassunto nei confronti della società nel frattempo ritornata in bonis per la dichiarata chiusura del fallimento, e dell’assuntore intervenuto; la società e NOME COGNOME si erano costituiti assieme contestando, tra l’altro sia il mancato rilievo della cessazione della procedura concorsuale ad opera dell’unico soggetto ritenuto legittimato a farlo, identificato nel difensore della stessa, sia la sussistenza di legittimazione passiva in capo alla società. La Corte d’Appello di Ancona aveva respinto l’appello, confermando l’estinzione .
Proposto ricorso per cassazione dagli originari attori COGNOME e COGNOME, questa Corte con ordinanza n. 646/2017 ha cassato la sentenza impugnata rinviando alla Corte d’Appello di Ancona per lo svolgimento del giudizio di impugnazione , in accoglimento del primo motivo.
Il giudizio di rinvio è stato quindi riassunto da NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno insistito nella domanda ex art.2932 c.c. Si sono costituiti con unica comparsa NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE, ritornata in bonis , chiedendo: la declaratoria di carenza di legittimazione passiva della società; la declaratoria di estinzione del processo, sul presupposto che nella sentenza rescindente la Corte di Cassazione non si sarebbe pronunciata in ordine al fatto che il nuovo termine per
notificare la riassunzione era stato richiesto e concesso quando il precedente termine era già scaduto; nel merito, il rigetto delle domande dei promissari acquirenti.
La Corte d’Appello, quale giudice del rinvio, ha accolto la domanda ex art.2932 c.c. e respinto tutte le eccezioni e difese dei convenuti in riassunzione, in base alle seguenti considerazioni:
-deve essere applicato il principio affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui la tempestività della riassunzione deve essere vagliata tenendo conto della data di deposito del ricorso ex art.305 c.p.c., e, tenuto presente che il ricorso è stato depositato nel termine di sei mesi, mentre la notificazione di esso con il decreto di fissazione di udienza è stata comunque effettuata, essendo scaduto il termine originariamente concesso a tal fine, nel nuovo termine accordato, l’eccezione di estinzione del giudizio deve essere respinta;
-nel merito, deve essere accolta la domanda ex art.2932 c.c. perché: il giuramento decisorio è stato reso prima della dichiarazione di fallimento della società promittente venditrice e dell’interruzione del giudizio ed ha permesso di accertare l’intervenuto pagamento integrale del prezzo concordato da parte dei promissari acquirenti;
essendo stata trascritta la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto preliminare prima della dichiarazione di fallimento, non era possibile lo scioglimento del contratto ex art.72 LF da parte della curatela fallimentare;
–RAGIONE_SOCIALE è tornata in bonis dopo l’adempimento del concordato fallimentare e la questione della sussistenza o meno della sua legittimazione passiva va verificata nell’ambito della domanda ex art.2932 c.c.;
-con il ricorso ex art.129 LF gli assuntori avevano previsto che con il decreto di omologazione dovessero essere trasferiti in favore dell’assuntore tutti i beni in attivo della procedura; in particolare si stabiliva che l’immobile in San Benedetto del Tronto oggetto della domanda, con la connessa azione ex art.2932 c.c. promossa dai promissari acquirenti e ancora sub iudice, fosse trasferito a NOME COGNOME; questi, appunto quale assuntore, è subentrato alla curatela fallimentare nella stessa posizione, ex art.111 c.p.c. e, trattandosi di una ipotesi di successione a titolo particolare nel rapporto controverso, sussiste la legittimazione passiva di RAGIONE_SOCIALE quale dante causa, essendo inoltre la domanda ex art.2932 c.c., trascritta, richiamata nel ricorso e nel successivo decreto di omologazione ex art.129 LF.
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Ancona hanno proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME affidandolo a quattro motivi.
Resistono con controricorso COGNOME e COGNOME.
Il PG ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Deve essere preliminarmente rilevata l’inammissibilità della costituzione in giudizio del nuovo difensore di NOME COGNOME ai sensi del disposto dell’art.83 co 2 e 3 c.p.c. – nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con la legge n.69/2009, applicabile al caso di specie (relativo ad un giudizio ante 2009)-: la procura speciale è stata infatti rilasciata con autenticazione dello stesso difensore, mentre avrebbe dovuto essere conferita in forma di atto pubblico scrittura privata autenticata da notaio riportante chiaramente i riferimenti agli elementi essenziali del giudizio -cfr. al riguardo, Cass. n.18132/200, Cass. a SSUU n.14212/2005,, Cass. n.23778/2014, secondo la quale ‘ Nel giudizio di cassazione la procura speciale deve essere rilasciata a margine o in calce al ricorso o al controricorso, atteso il tassativo disposto dell’art. 83, comma 3, c.p.c., che implica necessariamente l’inutilizzabilità di atti diversi da quelli suindicati; se la procura non è rilasciata contestualmente a tali atti, è necessario il suo conferimento nella forma prevista dal secondo comma del citato art. 83 e, quindi, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata contenenti il riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e della sentenza impugnata; ne consegue che, in caso di inosservanza delle forme prescritte, il ricorso deve ritenersi inammissibile. (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha ritenuto inammissibile il controricorso che non era munito di procura speciale e si limitava a rinviare, nell’intestazione, ad una procura generale alle liti, nonostante la successiva sostituzione del difensore, avvenuta con memoria anch’essa non contenente una procura speciale)’ -.
Si farà riferimento, pertanto, alle sole difese svolte nell’interesse della COGNOME nel controricorso ritualmente depositato.
Ciò chiarito e passando all’esame dei motivi, col primo di essi si denunzia ‘violazione o falsa applicazione degli art t. 291, 305 e 307 c.p.c. in rapporto all’art.394 c.p.c., error in iudicando , rilevante ex art.360 n.3 c.p.c.’.
Secondo la tesi dei ricorrenti, la precedente pronuncia della Corte di Cassazione non avrebbe considerato che, nel caso di specie, la notifica dell’atto di riassunzione nel primo termine concesso era stata omessa e farebbe riferimento alla sola, diversa, ipotesi di notifica nulla: perciò la diversa situazione della totale omissione di notifica nel termine inizialmente concesso e di assenza di richiesta di rinotifica prima della sua scadenza avrebbe dovuto essere valutata in sede di rinvio, comportando comunque, per un motivo non esaminato dal Giudice di legittimità, l’estinzione del giudizio
Con il secondo motivo i ricorrenti denunziano, ex art.360 co 1 n.4 c.p.c., la ‘nullità della sentenza e del procedimento. Error in procedendo e motivazione inficiata da violazione di legge costituzionalmente rilevante (art.111 Cost. 132 punto 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., 12 preleggi c.c.)’.
Vi sarebbe stato -a loro dire – un vizio logico, un errore di giudizio, commesso dalla Corte di merito in conseguenza dell’errore stigmatizzato al punto precedente e consistente in un ‘ errore materiale commesso dal giudice nel ragionamento logico esplicitato nella motivazione che lo ha portato ad una errata qualificazione giuridica della questione sollevata dagli odierni ricorrenti in punto estinzione, ma anche un error in procedendo con la conseguenza di rendere nulla la sentenza ed il procedimento’ -così il ricorso, a pag.30-. la Corte non avrebbe attribuito il necessario rilievo al profilo della ‘ mancata notifica nel termine originariamente concesso ‘ e della sua effettuazione dopo un’istanza di nuovo termine a scadenza del primo già avvenuta.
I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente perchè valorizzano sotto diversi profili la stessa questione di diritto, e cioè il rilievo da riconoscere, in sede di rinvio e in assenza di indicazioni specifiche enucleabili dal provvedimento rescindente, al fatto che la notificazione del ricorso in riassunzione fu omessa nel termine originariamente concesso a tal fine e fu poi effettuata nel termine successivamente indicato dal Giudice, sulla base di un’istanza formulata dopo che il primo termine era già scaduto.
Entrambe le censure sono prive di fondamento.
Appare opportuno prendere le mosse dall’individuazione del principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza rescindente n.646/2017, che è esposto come segue: ‘ Come da consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. Un. 14854/2006 e successive conformi), verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicché, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della in ius vocatio ‘. La Corte continua evidenziando l’irrilevanza dei vizi di nullità della notificazione comportanti solo la rinnovazione della notificazione stessa, purchè sia stato tempestivamente depositato il ricorso in riassunzione: non vi sono riferimenti espliciti al fatto che, in concreto, la prima notifica era stata omessa e la richiesta della sua rinnovazione era stata effettuata a termine originario scaduto, pur trattandosi di questione di rito chiaramente emergente dagli atti e quindi da considerare nota.
Alla luce delle indicazioni enucleabili dall’ordinanza rescindente, non poteva più essere valorizzata in sede di rinvio la questione delle modalità della notificazione del ricorso e della sua rilevanza sulla rituale ricostituzione del contraddittorio ai fini della prosecuzione del giudizio.
A fronte dell’indicazione della Corte sul fatto che ai fini della tempestività della riassunzione si dovesse fare riferimento esclusivamente al deposito del ricorso nel termine ex art.305 c.p.c., una rivalutazione in sede di rinvio del rilievo da attribuire alle modalità della notificazione sarebbe entrata infatti in conflitto con il principio di diritto come sopra enunciato, sulla cui base era stato disposto l’annullamento, e questo rende corretta la valutazione della Corte di merito, a prescindere da ogni ulteriore approfondimento sul punto e quindi a prescindere dal fatto che la notificazione omessa, con richiesta di nuovo termine dopo la scadenza del primo, potesse essere effettivamente assimilata all’ipotesi di nullità della notificazione o -come vorrebbero i ricorrentidovesse comportare l’estinzione del giudizio, pur in presenza di riassunzione tempestiva si richiamano peraltro, a contrastare l’assunto dei ricorrenti: la funzione della riassunzione dopo un evento interruttivo, quella della notificazione e il rilievo nel contesto indicato della costituzione in giudizio, pur conseguente ad una notificazione omessa o viziata; le considerazioni puntuali del PG sulla questione e il richiamo effettuato al ‘ consolidato indirizzo giurisprudenziale, anche di recente ribadito, secondo cui, pure in caso di omessa notifica (oltre che nel caso di notifica viziata o comunque non correttamente compiuta per erronea o incerta individuazione del soggetto che deve costituirsi) del ricorso in riassunzione e del pedissequo decreto di fissazione dell’udienza, nel termine in questo concesso, il giudice è tenuto ad assegnare un nuovo termine, perentorio, per la notifica del ricorso e del decreto ( Cfr Cass. civ. n° 21869/13, n° 2174/16, n° 6921/19, n° 30802/23) ‘ -.
Si deve infatti considerare che ‘ Nelle ipotesi di rinvio cosiddetto improprio o restitutorio da parte della Corte di cassazione, che ricorre quando, per qualsiasi ragione di carattere processuale, il giudizio “a quo” si sia concluso senza una pronuncia nel merito della controversia, il giudice di rinvio può esaminare tutte le questioni ritualmente proposte che non incidono sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato e sugli effetti che questo ha sulla decisione della causa ‘ -cfr. la massima di Cass. n.4290/2015-, principio che, nel caso di specie, è di tenere conto per la valutazione della tempestività della riassunzione della data di deposito del ricorso ex art.305 c.p.c., non giocando più alcun ruolo il rispetto del termine previsto dalla norma dopo detto deposito e quindi non potendo esso in alcun modo rilevare rispetto alle modalità e ai tempi della notificazione. Il principio giuridico di riferimento è quello, consolidato, secondo cui ‘ nel giudizio di rinvio devono ritenersi precluse tutte le questioni, di fatto e di diritto, costituenti il
presupposto logico ed inderogabile della pronuncia della Corte, sia nel caso in cui siano state dedotte nelle precedenti fasi di merito, sia quando avrebbero potuto essere prospettate dalle parti in sede di legittimità o quando la Corte avrebbe dovuto rilevarle d’ufficio
(v. Cass.n. 7656/11, 11939/06, 12479/04, 5018/04, 18328/03, 9278/03, 14075/02, 71 76/01, 1437/00) opera quale corollario del carattere vincolante del principio di diritto enunciato dalla C.S. con la sentenza di annullamento con rinvio c.d. proprio, in quanto l’esame di tali questioni potrebbe vanificare o comunque limitare gli effetti della sentenza di cassazione, che enuncia il principio di diritto in funzione non solo astrattamente nomofilattica ma anche concretamente decisiva della singola controversia ‘ -Così, ancora, Cass. n.4290/2015, in motivazione; cfr. anche, nello stesso senso, Cass. n.23314/2018-.
Le considerazioni svolte sopra escludono anche l’ipotizzabilità del vizio di motivazione, pure prospettato nel corpo del motivo in esame come violazione dell’art.132 n.4 c.p.c. dai ricorrenti per il preteso ‘ contrasto irriducibile tra le affermazioni contenute in motivazione ‘ e per la pretesa mancanza di coerenza, ancora una volta identificate nel fatto che la Corte ‘ riteneva erroneamente sovrapponibili la causa estintiva esaminata dalla Corte romana e quella dedotta ex novo dai resistenti e che pur rilevando il fatto della mancata notifica non ha tratto le giuste conseguenze, ritenendo applicabile l’art.291 c.p.c. ‘ (così il ricorso, a pag.34/35).
Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art.360 n.3 c.p.c., la ‘violazione o falsa applicazione dell’art.81 c.p.c. in rapporto agli art.111 Cost. e 136 LF’.
RAGIONE_SOCIALE non sarebbe legittimata passiva e detta carenza sarebbe rilevabile anche in sede di legittimità ove non si sia formato al riguardo il giudicato interno e ove l’eccezione sia fondata su fatti legittimamente prospettati nel ricorso per cassazione. La società ricorrente rileva che già aveva sottolineato nella comparsa di costituzione in appello che l’unico soggetto legittimato rispetto alla domanda ex art.2932 c.c. sarebbe NOME COGNOME, già intervenuto nel giudizio ex art.111 c.p.c., perché egli sarebbe subentrato nell’azione già di pertinenza della massa del Fallimento di cui era assuntore in base al concordato omologato; la stessa eccezione era stata ribadita in sede di rinvio. Al contrario di quanto ritenuto dalla Corte di merito, il subentro ex art.111 c.p.c. si verificherebbe tra assuntore e Fallimento, non tra assuntore e società in bonis , perchè l’assuntore succederebbe a titolo particolare solo alla curatela fallimentare e non anche alla società ritornata in bonis .
La doglianza è in parte infondata e in parte inammissibile.
In linea generale, si osserva che: -il fallimento determina(va), secondo la legge n.267/1942 applicabile nel caso di specie, la sostituzione della curatela fallimentare
all’impresa fallita, assimilabile alla successione mortis causa rientrante nell’ambito di operatività dell’art.110 c.p.c., con riferimento ai rapporti patrimoniali; -quando la sottoposizione a procedura concorsuale interviene in corso di causa il Fallimento, in persona del curatore, subentra generalmente nella stessa posizione processuale del soggetto fallito, salvo che si tratti di rapporti patrimoniali da valutare nell’ambito della verifica del passivo della procedura concorsuale (in tal caso il fallimento intervenuto in primo grado comporterà come conseguenza la declaratoria di improcedibilità del giudizio) o di rapporti in cui la posizione del curatore, di tutela nei confronti della massa dei creditori, ne comporti la sostituzione ad altro soggetto processuale (si pensi alla revocatoria ordinaria, che il curatore può coltivare sostituendosi al creditore che ha agito ex art.2901 c.c.), oppure di rapporti riguardanti diritti personali che rimangono in capo al fallito (quando questi è una persona fisica); -nell’ipotesi di concordato fallimentare con assunzione, occorre verificare quale sia il contenuto della proposta poi approvata e omologata ma, in linea generale, l’assuntore succede alla curatela fallimentare a titolo particolare nei rapporti e nelle azioni (che possono essere anche azioni revocatorie ove ciò sia espressamente concordato: cfr. Cass. n.17339/2015) assunte, con la conseguenza che, ai sensi degli art.110 e 111 c.p.c., il processo che riguarda rapporti e/o azioni assunti prosegue nei confronti del curatore, con possibilità (non necessità) di partecipazione ad esso dell’assuntore in quanto, appunto, successore a titolo particolare nel diritto controverso (in tal caso la procedura concorsuale, in persona del curatore, potrà essere estromessa, come prevede appunto l’art.111 c.p.c. ma, salva detta eventualità, essa continua ad essere contraddittore necessario rispetto alle domande proposte originariamente); -nel caso in cui intervenga la chiusura del fallimento in corso di giudizio con ritorno in bonis dell’impresa fallita, occorre fare riferimento al tipo di controversia rispetto alla quale l’assuntore è successore a titolo particolare della procedura concorsuale e allo stato del concordato omologato: se si tratti di rapporto/azione di titolarità della procedura concorsuale di cui è intervenuta la chiusura e il concordato omologato sia ancora in corso di adempimento rimane ferma la legittimazione della curatela fallimentare fino alla sua completa esecuzione, ex art.136 LF (si pensi all’ipotesi in cui nel concordato fallimentare sia prevista la cessione di azioni revocatorie: cfr. Cass. n.15793/2018), quale contraddittore necessario, con possibilità di intervento dell’assuntore ex art.111 c.p.c.; se si tratti invece di rapporto/azione che già faceva capo all’impresa poi fallita e che mantenga rilievo giuridico autonomo a prescindere dalla procedura concorsuale e dalla sua chiusura, si deve ritenere che, ove l’originaria parte negoziale fallita ritorni in bonis all’esito della chiusura del fallimento, vi sia una ‘restituzione’ del rapporto dalla curatela alla parte originaria, attraverso il perfezionarsi di un’ipotesi successoria assimilabile a quella regolata dall’art.110 c.p.c.; ciò a prescindere dall’essere stato trasmesso quello specifico rapporto/azione all’assuntore, il quale
rimarrà sempre, rispetto ad esso, successore a titolo particolare (della procedura concorsuale subentrata all’impresa già fallita che, a seguito della chiusura del fallimento, riprende la titolarità del rapporto) e quindi legittimato, anche in questo caso, ad intervenire nel giudizio ex art.111 c.p.c.
Esaminando il caso di specie alla luce delle indicazioni che precedono, si osserva che parte originaria del contratto preliminare del quale i promissari acquirenti hanno chiesto l’esecuzione in forma specifica, ex art.2932 c.c., era RAGIONE_SOCIALE, fallita nel corso del giudizio di primo grado; il contrasto alla domanda ex art.2932 c.c. era stato quindi effettuato, nel processo, dalla curatela fallimentare, che nell’ambito del concordato fallimentare poi omologato aveva ceduto espressamente all’assuntore NOME COGNOME l’immobile già promesso in vendita a COGNOME e COGNOME, assieme alla posizione della promittente venditrice rispetto al relativo contratto preliminare e al contenzioso in essere -al quale vi è riferimento espresso-; la chiusura del fallimento con il ritorno in bonis di RAGIONE_SOCIALE ha nuovamente riportato quest’ultima ad essere parte del processo originariamente intentato nei suoi confronti, determinando una situazione inversa rispetto a quella conseguita alla dichiarazione di fallimento comunque rientrante nell’ambito di operatività dell’art.110 c.p.c.; rimane ferma la possibilità di NOME COGNOME di partecipazione al processo, sempre e solo ai sensi dell’art.111 c.p.c. essendo stato indicato nel concordato fallimentare omologato quale successore a titolo particolare, in quanto subentrato nella proprietà dell’immobile già promesso in vendita ai controricorrenti, nel rapporto controverso, tenuto quindi a rispettare, alla luce degli impegni assunti e del richiamo espresso all’azione proposta ex art.2932 c.c., l’eventuale pronuncia sostitutiva dell’obbligo a contrarre della parte promittente venditrice (non è stata del resto mai messa in discussione la legittimità dell’intervento di COGNOME ex art.111 c.p.c. nel processo di appello, e poi nel giudizio di cassazione e in sede di rinvio).
I ricorrenti assumono anche l’intervenuta violazione del disposto dell’art.300 c.p.c. perché dopo l’interruzione del giudizio di appello per l’intervenuto decesso del difensore dei promissari acquirenti, la riassunzione era stata effettuata nei confronti della società in bonis , nonostante non vi fosse stata alcuna dichiarazione della parte costituita in ordine all’evento interruttivo costituito dalla chiusura della procedura fallimentare.
La questione della riassunzione del processo direttamente nei confronti della società tornata in bonis , invece che del Fallimento, non è propriamente attinente -come vorrebbero i ricorrenti- al profilo della legittimazione passiva/titolarità del rapporto controverso -per il quale si richiamano le considerazioni già svolte- ma riguarda un profilo processuale e cioè la possibilità di tenere conto delle conseguenze sostanziali di un evento interruttivo non dichiarato ritualmente nell’identificare, in sede di riassunzione del processo interrotto per altro evento, il soggetto che, a seguito di
detto evento interruttivo, si individua come reale destinatario della domanda proposta.
Non appare sussistere l’interesse dei ricorrenti a dolersi del fatto che il processo non è proseguito nei confronti del Fallimento, pur pacificamente chiuso, invece che nei confronti della società già fallita, pacificamente tornata in bonis , nonostante non sia stato ritualmente rilevato nel giudizio di appello l’evento interruttivo costituito dall’intervenuta chiusura del fallimento. ‘ Secondo principio risalente ma incontrastato della giurisprudenza di legittimità, cui va data continuità, le norme sull’interruzione del processo sono rivolte a tutelare la parte nei cui confronti si sia verificato l’evento interruttivo e, pertanto, soltanto la parte, che dall’evento può essere pregiudicata, può far valere l’irregolare prosecuzione del giudizio, non le altre parti, le quali nessun pregiudizio risentono dall’omessa interruzione del processo e, quindi, non possono dedurre la detta omissione come motivo di nullità della sentenza che, ciononostante, sia stata pronunciata (Cass. n. 1860 del 19/03/1984; n. 3945 del 23/08/1978; n. 609 del 11/02/1977; n. 984 del 05/04/1971; v. anche in motivazione Cass. n. 4274 del 04/05/1994)’ -cfr., in tal senso, Cass. n.18804/2021, in motivazione. Se si applica l’orientamento interpretativo esposto, consolidato, in ordine alla ratio dell’interruzione del processo al caso di specie, si deve infatti rilevare che: ove l’evento interruttivo fosse stato dichiarato, ne sarebbe conseguita la necessità di riassumere il processo nei confronti non del Fallimento chiuso ma della società in bonis (che, costituendosi, avrebbe potuto coltivare le questioni relative alla sussistenza o meno della propria legittimazione passiva, come in concreto è avvenuto); nonostante l’omessa dichiarazione dello specifico evento interruttivo che aveva riguardato il suo Fallimento RAGIONE_SOCIALE in bonis, ritornata legittimata passiva/titolare del rapporto giuridico fatto valere dai promissari acquirenti con l’azione ex art.2932 c.c., è stata messa in condizioni di partecipare al processo, e lo ha fatto concretamente costituendosi e svolgendo le proprie difese, non correndo così il rischio di trovarsi vincolata dalla pronuncia di definizione della controversia senza aver potuto svolgere difese appropriate; la società non può quindi dolersi dell’omessa dichiarazione dell’evento interruttivo in discussione, perché da tale omissione non ha subito alcuna conseguenza negativa, essendo stata messa comunque in condizioni di contraddire nel processo -cfr., per trarre argomenti di riflessione sul profilo in esame, anche Cass. n.29385/2011, in motivazione, e le pronunce richiamate, pur in fattispecie non sovrapponibili; cfr. anche Cass. n.6369/2023-.
Si aggiunge -ed è determinante- che RAGIONE_SOCIALE in bonis , aveva partecipato al precedente giudizio di cassazione senza che risultino essere state sollevate questioni riguardo alla sua posizione processuale ed è stata quindi necessariamente coinvolta
nel giudizio di rinvio, costituente la fase rescissoria del precedente giudizio rescindente di legittimità.
Il motivo di ricorso in esame deve essere pertanto disatteso sotto entrambi i profili di critica esaminati.
Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti si dolgono della ‘Violazione e falsa applicazione, rilevante ex art.360 n.3 c.p.c., degli art.115 c.p.c., comma 1 prima parte, e 2697 c.c. in rapporto agli art. 58 e 63 l. 18.6.2009 e art.2668 c.c.
Il Fallimento, poi l’assuntore e quindi RAGIONE_SOCIALE tornata in bonis avevano evidenziato che il curatore aveva sciolto il contratto preliminare ex art.72 LF, e ciò avrebbe reso irrilevante l’intervenuta trascrizione della domanda ex art.2932 c.c. e il pagamento dell’intero corrispettivo. In ogni caso, secondo i ricorrenti, la trascrizione avrebbe conservato i suoi effetti solo per vent’anni, se non rinnovata prima della scadenza ed entro dodici mesi dall’entrata in vigore della l. 18.6.2009 e quindi entro il 3.7.2010; questa prova di tempestivo rinnovo non sarebbe stata offerta dai promissari acquirenti e, di conseguenza la trascrizione avrebbe perso efficacia fin dall’origine, con piena operatività dello scioglimento operato dal curatore.
Il motivo è in parte infondato, in parte inammissibile.
Sotto il primo profilo, va osservato che la trascrizione della domanda ex art.2932 c.c. era pacificamente intervenuta anteriormente alla dichiarazione di fallimento, e rendeva opponibile alla procedura concorsuale la richiesta di adempimento coattivo dell’obbligo a contrarre -anche a fronte dell’intervenuto integrale pagamento del prezzo, emergente dall’esito del giuramento decisorio assunto nel corso del giudizio anni prima dell’intervento del fallimento di RAGIONE_SOCIALE, pur rilevante in relazione al contratto definitivo di compravendita di cui si chiedeva la conclusione coattiva e al compiersi dell’effetto traslativo ad esso correlato -. Si richiama al riguardo il principio interpretativo ormai consolidato espresso, al fine di comporre il preesistente contrasto, da Cass. S.U., n. 18131 del 2015 che, anche alla luce della modifica dell’art. 72 I.fall. a seguito del d.lgs. n. 5 del 2006, ha evidenziato in motivazione come « Il curatore in ipotesi di domanda di esecuzione in forma specifica proposta anteriormente alla dichiarazione di fallimento del promittente venditore e riassunta nei confronti del curatore – parte del giudizio ex art. 43 I.f., ma terzo in relazione al rapporto controverso – mantiene senza dubbio la titolarità del potere di scioglimento dal contratto sulla base di quanto gli riconosce l’art. 72 I.f. Ma – ed è ciò che rileva ai fini che qui interessano – se la domanda sia stata trascritta prima del fallimento, l’esercizio del diritto di scioglimento da parte del curatore non è opponibile nei confronti di quell’attore promissario acquirente a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c. Ciò che vuol dire che la domanda ex art. 2932 c.c. trascritta prima della iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nel registro delle imprese – non impedisce al curatore di recedere dal contratto preliminare: gli
impedisce, piuttosto, di recedere con effetti nei confronti del promissario acquirente che una tale domanda ha proposto. Tutto ciò, naturalmente, se la sentenza è accolta ed è trascritta a sua volta. E ciò si coniuga con l’effetto prenotativo che attua la trascrizione della domanda ex art. 2652, n. 2 c.c. il cui meccanismo pubblicitario si articola in due momenti: quello iniziale, costituito dalla trascrizione della domanda giudiziale e quello finale, rappresentato dalla trascrizione della sentenza di accoglimento. Il giudice, pertanto, può senz’altro accogliere la domanda pur a fronte della scelta del curatore di recedere dal contratto: con una sentenza che, a norma dell’art. 2652, n. 2, c.c., se trascritta, retroagisce alla trascrizione della domanda stessa e sottrae, in modo opponibile al curatore, il bene dalla massa attiva del fallimento. Diversamente, se la domanda trascritta non viene accolta, l’effetto prenotativo della trascrizione della domanda cessa, con la conseguente opponibilità all’attore della sentenza dichiarativa di fallimento rendendo, in tal modo, efficace, nei suoi confronti, la scelta del curatore di sciogliersi dal rapporto. Ciò consente di mantenere inalterata la facoltà di scelta del curatore, quale espressione di un potere sostanziale che l’ordinamento con l’art. 72 1.f. gli riconosce, ma che, nella concorrenza di determinati evenienze, non è opponibile – in caso di accoglimento della domanda in forma specifica – al promissario acquirente che abbia trascritto tale domanda anteriormente alla iscrizione della sentenza dichiarativa di fallimento del promittente venditore nel registro delle imprese. Viene tutelato il promissario acquirente di buona fede, ma nei confronti di comportamenti opportunistici compiuti in frode rimane ovviamente integra la possibilità di azioni dall’indubbia efficacia dissuasiva, come l’azione revocatoria » -cfr. per una stessa valutazione, ancora di recente, Cass. n. 37365/22-.
Sotto il secondo profilo, la questione relativa alla pretesa perdita di effetto prenotativo della trascrizione della domanda per preteso mancato rinnovo nel termine di legge è questione non trattata dalla sentenza ed i ricorrenti non hanno specificato in quale fase ed atto del processo di merito l’avrebbero sollevata. Si richiama in proposito l’insegnamento di questa Corte di Cassazione, secondo il quale ‘La questione della sopravvenuta inefficacia, nei confronti della curatela del fallimento che la volontà di cui all’art. 72 L.fall. abbia espresso nel processo, della trascrizione della domanda in questione per non essere stato tale atto, esterno al processo, rinnovato entro il termine prescritto dall’art. 2668-bis cod. civ. può essere proposta nel giudizio di cassazione contro la sentenza di conferma della decisione giudiziale che tiene luogo del contratto non concluso per inadempimento della parte poi fallita solo quando essa abbia, quanto meno, formato oggetto di specifica deduzione nel giudizio definito con tale sentenza (e ciò non è nella specie avvenuto), pena la violazione della regola principale che governa il processo relativo a diritti soggettivi: quella del contraddittorio ‘ ( cfr Cass. civ. n° 37365/22; cfr., per una
trattazione più generale del tema, Cass. n.20518/2008, Cass. n. 15430/2018, Cass. n. 2038/2019). La questione deve dunque ritenersi nuova.
In conclusione, il ricorso va respinto con inevitabile addebito di spese per la parte soccombente.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in complessivi € 5.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 4.4.2025.