Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22853 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22853 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 22539 del ruolo generale dell’anno 2020 , proposto da
RAGIONE_SOCIALE – RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA, appartenente al Gruppo RAGIONE_SOCIALE con P.IVA P_IVA con sede in Milano, INDIRIZZO, in persona del presidente e legale rappresentante pro tempore Rag. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’ Avv. NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, posta elettronica certificata EMAIL fax: NUMERO_TELEFONO) ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO (fax n. 06-94534874), in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
Ricorrente
contro
ASL n. 1 Avezzano – Sulmona – L’Aquila , con sede a L’Aquila, INDIRIZZO INDIRIZZO p. iva e c.f. P_IVA, in persona del Direttore Generale pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME del foro di L’Aquila (c.f. CODICE_FISCALE – numero telefax NUMERO_TELEFONO – indirizzo di posta elettronica certificata EMAIL), e con questi elettivamente domiciliata presso lo Studio dell’Avv. NOME COGNOME,
sito a Roma, INDIRIZZO giusta procura rilasciata su foglio separato conforme all’originale analogico, rilasciata in esecuzione della deliberazione di incarico n. 1553 del 14.9.2020.
Controricorrente
nonché contro
Regione Abruzzo (CF: 80003170661), in persona del Presidente p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato (C.F. P_IVA, per il ricevimento degli atti P.E.C. EMAIL, e presso la stessa domiciliato in Roma, INDIRIZZO
Controricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE (P. IVA P_IVA, in persona del legale rappresentante pro-tempore, Dott. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, ed elettivamente domiciliata presso il suo studio sito in Roma, INDIRIZZO (Studio RAGIONE_SOCIALE, in virtù di mandato rilasciato su foglio separato e in calce al controricorso, il quale dichiara ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2 del DPR n. 68 dell’11.2.2005 di voler ricevere le comunicazioni e/o notificazioni ai seguenti recapiti: p.e.c. EMAIL e telefax NUMERO_TELEFONO
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello dell’Aquila n° 1391 depositata il 4 settembre 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- RAGIONE_SOCIALEpremesso di essere cessionaria del credito di euro 103.539,89 vantato dalla RAGIONE_SOCIALE per prestazioni sanitarie rese nel dicembre 2004 e nel periodo agostodicembre 2005 -otteneva dal Tribunale dell’Aquila un decreto in-
giuntivo contro l’Asl n° 1 Avezzano-Sulmona per l’importo predetto, oltre interessi ex d.lgs. n° 231/2002.
L’Asl opponeva il monitum , eccependo preliminarmente di non essere passivamente legittimata, facendo capo l’obbligazione di pagamento alla Regione Abruzzo.
Nel merito contestava la pretesa creditoria, fondata su un contratto del 18 novembre 1999, scaduto e non rinnovato, neanche tacitamente, stante il divieto dell’art. 6, secondo comma, della legge n° 537/1993.
Costituendosi, RAGIONE_SOCIALE depositava un successivo contratto tra INI Canistro ed Asl datato 23 marzo 2005.
Quindi, RAGIONE_SOCIALE, avuta autorizzazione, chiamava in causa la Regione Abruzzo e la Finanziaria Regione Abruzzo (Fira) s.p.a., le quali si costituivano in giudizio eccependo, a loro volta, la propria carenza di legittimazione passiva.
2 .- Il Tribunale osservava, anzitutto, che il credito azionato era stato parzialmente pagato in corso di lite; giudicava, quindi, inammissibile la produzione del secondo contratto nella fase di opposizione; nel merito accoglieva le eccezioni di difetto di legittimazione passiva di Fira e Regione, sul rilievo che nella fattispecie mancasse del tutto l’accreditamento della struttura privata; infine, rigettava la domanda di condanna dell’Asl, osservando che il contratto del 18 novembre 1999 era scaduto e non poteva nemmeno considerarsi rinnovato in ragione del divieto dell’art. 6 della legge n° 537/1993.
3 .- Proponeva appello RAGIONE_SOCIALE in base a quattro motivi (così riassunti a pagina 4 della sentenza): (i) erroneità della sentenza del Tribunale nella parte in cui aveva ritenuto non integrabile la domanda formulata in sede monitoria e conseguentemente inammissibili i documenti prodotti a corredo di tale integrazione; (ii) erroneità della sentenza predetta nella parte in cui dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Regione, risultando i contratti con quest’ultima conclusi pienamente validi e vincolanti; (iii) erroneità
della decisione nella parte in cui dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Fira, che risultava invece vincolata in solido per tutti i debiti della Asl; (iv) erroneità dell’esclusione degli interessi commerciali ex d.lgs. n° 231/2001.
4 .- L’appello veniva respinto dalla Corte d’appello aquilana, che -per quello che qui ancora rileva -osservava quanto segue.
Il motivo col quale Ubi aveva dedotto l’erroneità della prima sentenza, nella parte in cui non aveva considerato che la struttura privata era stata inserita, con delibera n° 265/2000, nell’elenco delle imprese in accreditamento provvisorio e che, pertanto, l’originario contratto del 1999 doveva considerarsi prorogato sino a quello siglato il 23 marzo 2005, dopo l’accreditamento definitivo, era inammissibile, non cogliendo l’esatta ratio decidendi della prima sentenza.
Il primo giudice, infatti, aveva disatteso la domanda di RAGIONE_SOCIALE non solo affermando la tardiva produzione del contratto 23 marzo 2005, ma anche rilevando come il contratto del 18 novembre 1999 non potesse intendersi prorogato in ragione del divieto ex art. 6 della legge n° 537/1993.
Neppure era stata colta l’ulteriore ratio , secondo la quale la possibilità di rivendicare il pagamento di prestazioni sanitarie da Regione e Fira presupponeva il rispetto dell’ iter normativo previsto dall’art. 8quinques del d.lgs. n° 502/1992 e, dunque, l’accreditamento definitivo della struttura, che, per contro, non era stato provato.
Pertanto, anche a ritenere fondata l’unica censura svolta da Ubi, concernente l’ammissibilità della modificazione della domanda (formulata in sede monitoria sul contratto del 18 novembre 1999, successivamente prorogato, e poi, invece, sulla allegazione di un nuovo titolo contrattuale, quello del 23 marzo 2005), il rigetto della domanda nel merito continuava a fondarsi sulle restanti ragioni esposte dal primo giudice, sopra esaminate.
Ad ogni buon conto, era anche utile chiarire, secondo la Corte, che la produzione del nuovo titolo contrattuale era inammissibile, non potendo il ricorrente in monitorio avanzare, in sede di opposizione, domande diverse da quelle formulate nel ricorso.
Restava assorbita la questione dell’erronea pronuncia sulla carenza di legittimazione passiva della Fira: pur dovendosi ritenere che quest’ultima fosse in effetti legittimata passivamente (come già ritenuto dalla Corte aquilana in precedenti decisioni, sulla scorta dell’art. 38 della legge reg. Abruzzo n° 146/1996 e dell’art. 1, decimo comma, della d.l. n° 324/1993), la carenza di un contratto rendeva irrilevante la decisione sul punto.
Nonostante l’infondatezza della domanda di pagamento, rimaneva pur sempre da decidere, secondo la Corte, la questione del saggio degli interessi, in considerazione del parziale pagamento intervenuto in corso di causa.
La richiesta di interessi ex d.lgs. n° 231/2002 era infondata, in quanto, pur trattandosi di un’obbligazione di valuta (generante interessi legali), il rapporto non poteva essere qualificato come transazione commerciale, trattandosi di attività sanitaria socioassistenziale di natura pubblicistica, sottratta alla disciplina propria dei rapporti di commercio.
5 .- Ricorre per cassazione Ubi, affidando l’impugnazione a tre mezzi.
Resistono la Regione Abruzzo, la Fira e l’Asl, che concludono per la reiezione del gravame.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380bis cod. proc. civ.
Hanno depositato memoria RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
6 .-Preliminarmente va disattesa l’eccezione, sollevata dalla Regione (con adesione dell’Asl), di nullità della notifica del ricorso presso la Regione, in base all’art. 11, secondo comma, r.d. n°
1611/1933, il quale prescrive che la notifica degli atti relativi a cause dinanzi ad Uffici giudiziari della sede di Roma vanno effettuate presso l’Avvocatura Generale dello Stato.
È vero che la notifica alla Regione è stata effettuata da Ubi alla sede della Regione stessa e presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato.
Ma è anche vero che il ricorso al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, previsto in via ordinaria dall’art. 30 dello Statuto della Regione Abruzzo, approvato con legge 22 luglio 1971, n° 480 (non modificato dall’art. 1 della legge regionale 14 febbraio 2000, n° 9, istitutiva dell’Avvocatura regionale), al pari dell’esercizio della facoltà accordata in via generale alle regioni dall’art. 10 della legge 3 aprile 1979, n° 103, comportando l’applicabilità dell’intero regime processuale speciale previsto dal r.d. n° 1611 del 1933, consente di estendere anche al presente caso il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità in riferimento alle Amministrazioni dello Stato, secondo cui la nullità della notificazione del ricorso per cassazione, eseguita presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché presso quella generale, resta sanata, con effetto ex tunc , non solo dalla rinnovazione della notificazione presso l’Avvocatura generale, ma anche dalla costituzione in giudizio di quest’ultima in rappresentanza dell’ente, ancorché intervenuta successivamente al decorso del termine di cui all’art. 370 cod. proc. civ. (per tutte: Cass. sez. I, 2 marzo 2023, n° 6300).
Sicché la costituzione della Regione nel presente giudizio a mezzo dell’Avvocatura generale comporta la sanatoria della nullità predetta.
7 .- Nel merito.
Col primo motivo -rubricato ‘ Violazione di legge per contrasto all’art. 12 delle Preleggi, agli artt. 645, comma Il, 345, 112, 115e116 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma I, n. 3 c. p.c., nonché omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di di-
scussione tra le parti in relazione all’art. 360, comma I, n. 5 c.p.c. per l’avere la Corte ritenuto inammissibile il primo motivo di appello poiché a suo dire avente ad oggetto una domanda nuova e non proponibile dal convenuto opposto in opposizione a decreto ingiuntivo, allorquando invece si tratta di domanda connessa a quella inizialmente formulata ed involgente la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio ‘ -Ubi sostiene, a fronte delle eccezioni sollevate dall’Asl con la citazione in opposizione a decreto ingiuntivo (difetto di legittimazione passiva e inesistenza del titolo della pretesa creditoria in quanto il contratto del 18 novembre 1999 non era stato rinnovato), di avere legittimamente controeccepito che il titolo su cui si fondava la pretesa creditoria andava identificato col contratto del 23 marzo 2025 stipulato con la Regione Abruzzo e che il precedente contratto del 1999 era posto a base dell’iniziale accreditamento provvisorio della Casa di cura.
Sicché la Corte di Appello avrebbe del tutto erroneamente ritenuto tale documentazione tardiva, in quanto modificativa della domanda, senza considerare che in corso di causa la fattura azionata in sede monitoria era stata parzialmente onorata.
Col secondo mezzo -intitolato ‘ Violazione di legge per contrasto all’art. 100, agli artt. 12 Preleggi e 1360 c.c., all’art. 1, comma 10, D.L. 324/1993 poi convertito in Legge 423/1993, all’art. 13 del D. Lgs. 502/92, nonché ancora all’art. 1 comma 180 della Legge 311/2004, in relazione all’art. 360, comma I, n. 3 c.p.c., per l’avere la Corte ritenuto assorbita la censura inerente l’erroneità della pronuncia in merito al difetto di legittimazione passiva della sola RAGIONE_SOCIALE.p.a., allorquando la stessa si ricava direttamente sia dal provato accreditamento provvisorio della Casa RAGIONE_SOCIALE, sia dai contratti sottoscritti, che dalla stretta applicazione delle citate disposizioni normative e dei connessi atti amministrativi ‘ -Ubi fa preliminarmente osservare che la Corte avrebbe dapprima ritenuto assorbita la questione della legittimazione passiva della Fira, senza nulla ac-
certare in ordine alla legittimazione passiva della Regione, e poi avrebbe ribadito il difetto di legittimazione passiva di Fira, sull’erroneo rilievo che le prestazioni non rientrassero nel periodo di vigenza contrattuale.
Per contro, le precedenti fatture e l’importo di euro 50.734,07 (quest’ultimo pagato in corso di causa) sarebbero stati onorati in base all’art. 10 del contratto tra Regione e Casa di cura cedente RAGIONE_SOCIALE Canistro.
La Regione Abruzzo sarebbe invece tenuta al pagamento dei crediti azionati in virtù dell’art. 13 del D. Lgs. 502/92 e del piano di rientro approvato dalla medesima, oggetto di intervenuto accordo con il Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 febbraio 2007, sottoscritto ai sensi dell’art. 1, comma 180, della Legge 311/2004, ove sarebbe stato imposto alla Regione di accentrare su di essa tutti i pagamenti dovuti alle case di cura creditrici delle singole Asl e maturati alla data del 31 dicembre 2007.
8 .- Il secondo motivo è inammissibile, non cogliendo la ratio della decisione impugnata, e determina il rigetto del primo per mancanza di decisività.
La Corte aquilana, infatti, da un lato ha escluso che il credito ceduto ad Ubi, ove fondato sul contratto 18 novembre 1999, fosse sussistente in ragione del divieto di rinnovo tacito dei contratti con la PA introdotto dall’art. 6, secondo comma, della legge 24 dicembre 1993 n° 537 (‘ E’ vietato il rinnovo tacito dei contratti delle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, ivi compresi quelli affidati in concessione a soggetti iscritti in appositi albi. I contratti stipulati in violazione del predetto divieto sono nulli ‘); dall’altro, ha ritenuto che, a prescindere dalla questione della tardiva allegazione e produzione del contratto 23 marzo 2005, mancasse la prova dell’accreditamento definitivo della società cedente (RAGIONE_SOCIALE
Tale accreditamento -stando alla costante giurisprudenza di questa Corte -costituisce un elemento imprescindibile, in assenza del quale non può essere posto a carico delle Regioni alcun onere di erogazione di prestazioni sanitarie (per tutte: Cass., sez. I, 2 marzo 2023, n° 6300, in fattispecie sovrapponibile alla presente).
Ora, la ricorrente, dopo aver rilevato un’incoerenza (peraltro non condivisibile) della motivazione della sentenza, insiste nel predicare la sussistenza del credito invocando l’art. 10 del contratto tra Regione e Casa di cura, ma senza aggredire il passaggio motivazionale della sentenza nel quale viene esclusa la validità di tale contratto in ragione della mancanza di prova dell’accreditamento definitivo della struttura e, quanto alla Regione, introducendo un fatto nuovo e non risultante dalla sentenza impugnata, ossia il piano di rientro approvato dalla Regione stessa ed oggetto di accordo col Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 febbraio 2007, sottoscritto ai sensi dell’art. 1, comma 180, della Legge 311/2004.
Per vero, l’unico passaggio in cui la ricorrente censura la statuizione della Corte che ha ritenuto mancante l’accreditamento è contenuto nel penultimo paragrafo del secondo motivo, dove Ubi assume che sarebbe stato ‘ provato l’ accreditamento della INI Canistro (…) come già diffusamente argomentato nel precedente motivo ‘.
Tale allegazione non può valere come impugnazione dello snodo motivazionale della sentenza nel quale viene negato l’accreditamento, in quanto essa consiste in una mera contrapposizione della tesi di Ubi a quella della Corte territoriale, senza una controargomentazione.
Se poi si va a controllare il primo motivo, nel quale -a dire della ricorrente, si dovrebbe trovare la diffusa argomentazione circa la sussistenza di tale requisito -si può notare che esso viene fatto derivare dal contratto 23 marzo 2005: tesi, però, espressamente esclusa dalla sentenza impugnata.
Col che è evidente che la negazione dell’accreditamento, predicata dalla Corte, non ha ricevuto alcuna critica per il tramite dei due motivi ora in esame.
L’infondatezza del secondo motivo rende superfluo l’esame del primo, in quanto -anche se risolto in favore della ricorrente -sarebbe manifestamente privo di decisività.
9 .- Col terzo mezzo (‘ Violazione di legge per contrasto agli artt. 1, 2 e 5 del D.Lgs. n. 231/2002, nonché agli artt. 1326 e 1360 e ss c.c. in relazione all’art. 360, comma I, n. 3 c.p.c., per l’avere la Corte erroneamente ritenuto non applicabili alla fattispecie gli interessi al tasso di mora previsti per le transazioni commerciali, nonostante la diretta applicabilità della norma alla fattispecie in esame ‘) Ubi censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso la debenza di interessi al tasso previsto dal d.lgs. n° 231/2002, nonostante le prestazioni rese avessero natura commerciale.
10 .- Il mezzo è fondato.
Benché la Corte abbia escluso la validità dei due contratti (in quanto l’uno era scaduto e non rinnovabile e l’altro concluso senza accreditamento) ha poi ritenuto di dover decidere la questione degli interessi sul ritardato pagamento della somma corrisposta in corso di causa, a parziale saldo del dovuto.
La contraddittorietà di tale snodo logico (che, da un lato, nega la sussistenza di un credito e dall’altro riconosce gli accessori sull’indebito pagamento parziale del credito predetto) non è stata censurata da alcuna delle parti in causa, con la conseguenza che è ormai passata in giudicato la questione della debenza dell’accessorio (interessi), nonostante l’insussistenza del credito capitale.
Tanto premesso, osserva la Corte che in tema di prestazioni sanitarie erogate da strutture private in favore degli assistiti dal Servizio Sanitario Nazionale, questa Corte ha avuto modo di affermare ripetutamente che il contratto concluso tra la struttura e l’ente pubblico competente, con cui quest’ultimo abbia assunto l’obbligo di retri-
buire, alle condizioni e nei limiti ivi indicati, determinate prestazioni di cura rese in regime di accreditamento, è riconducibile alla nozione di transazione commerciale risultante dall’art. 2, comma primo, lett. a), del d.lgs. n. 231 del 2002, e comporta pertanto, in caso di ritardo nell’adempimento, l’obbligo di corrispondere gl’interessi moratori nella misura prevista dall’art. 5 del medesimo decreto.
Non può condividersi, in contrario, il richiamo della sentenza impugnata al diverso orientamento sviluppatosi in riferimento ai crediti dei farmacisti derivanti dall’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl, essendo stato chiarito che, a differenza di quelli in esame, questi ultimi non trovano fondamento in una transazione commerciale, ma in un’attività di natura pubblicistica, svolta in esecuzione del rapporto concessorio con il Servizio Sanitario Nazionale, e intesa a realizzare l’interesse collettivo alla tutela della salute, nell’esercizio della quale il farmacista opera come componente del Servizio Sanitario Nazionale, con la conseguenza che non è qualificabile come imprenditore o come soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione, ai sensi dello art. 2, comma primo, lett. c), del d.lgs. n. 231 del 2002 ( ex multis : Cass., sez. I, 2 marzo 2023, n° 6300, con menzione di altri precedenti).
11 .- La sentenza impugnata va pertanto cassata in accoglimento del solo terzo motivo, con rinvio alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente giudizio.
p.q.m.
la Corte rigetta il primo ed il secondo motivo e, in accoglimento del terzo, cassa e rinvia alla Corte d’appello dell’Aquila, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2025, nella camera di consiglio della prima sezione.
Il presidente
NOME COGNOME