Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10701 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10701 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso R.G. n. 28821/2020
promosso da
ERAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentat o e difeso dall’avv. prof. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– ricorrente in via principale – contro
Regione del Veneto , in persona del Presidente pro tempore , rappresentata e difesa all’ avv. NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente e ricorrente in via incidentale-
nei confronti di
ERAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentat o e difeso dall’avv. prof. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 2214/2020 della Corte d’ appello di Venezia, pubblicata il 07/09/2020, notificata il 10/09/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Regione del Veneto (di seguito, Regione) ha impugnato davanti alla Corte territoriale di Venezia la sentenza n.2751/2015, con la quale il Tribunale della stessa città aveva respinto l’opposizione proposta dalla Regione contro il decreto ingiuntivo n. 2360/2012, emesso in favore dell’E.RAGIONE_SOCIALE (di seguito , RAGIONE_SOCIALE, per il pagamento dell’importo di € 359.022,12, oltre interessi legali dal deposito del ricorso al saldo, a titolo di interessi di mora ex artt. 4 e 5 d.lgs. n. 231/2002 per la ritardata corresponsione delle somme erogate dalla Regione a titolo di acconto sui contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di istruzione e formazione professionale del secondo e terzo anno del ‘Piano Area Giovani Corso 2010/2011’, i cui progett i erano stati approvati rispettivamente con le determinazioni D.G.R. n. 804/2010 e D.G.R. n. 805/2010, poi seguite dall’atto di adesione dell’ENAIP .
Ritenuta la riconducibilità del rapporto tra l ‘ ente pubblico territoriale e l’ENAIP alla categoria delle ‘ transazioni commerciali ‘ , il Tribunale ne aveva affermato l’assoggettamento, quanto ai comprovati ritardi nei pagamenti dei suddetti acconti, alla disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002.
Col gravame, la Regione ha sollecitato la riforma della sentenza di primo grado sulla base di due motivi di censura:
1) erronea applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, per avere il Tribunale impropriamente riconosciuto nell ‘ENAIP la caratteristica di imprenditore commerciale, sussumendo il rapporto negoziale tra l’appellato e la Regione nello schema della transazione commerciale, sebbene i pagamenti avessero natura di pubbliche sovvenzioni;
2) contraddittorietà della motivazione ed erronea applicazione dell’art. 1282 c.c., per avere il Tribunale, a prescindere dalla applicabilità del d.lgs. n.231 del 2002, illegittimamente equiparato ai crediti liquidi ed esigibili le somme erogate dalla Regione per acconti ed anticipi, senza che fosse intervenuta la rendicontazione finale del progetto.
L’appellato si è costituito, chiedendo il rigetto dell’impugnazione.
La Corte territoriale, con la sentenza indicata in epigrafe ha accolto l’impugnazione, revocando il decreto ingiuntivo opposto e compensando tra le parti le spese di lite.
La menzionata Corte ha, in particolare, ritenuto che l ‘ ENAIP fosse un imprenditore commerciale, ma che non era applicabile il disposto dell’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002, perché l’erogazione di denaro in questione non assumeva natura di contropartita per la prestazione di un servizio, ma si inseriva in contesto di delega di funzioni riservate alla competenza statale o a quella regionale, effettuata per rendere effettivo l’obbligo scolastico .
Avverso tale provvedimento l ‘ENAIP ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi di censura.
La Regione del Veneto si è difesa con controricorso, formulando anche ricorso incidentale, condizionato all’accoglimento del ricorso principale, affidato ad un solo motivo.
Il ricorrente si è difeso con controricorso al ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso principale è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto -e in particolare dell’art. 12 l. 7 agosto 1990, n. 241, degli artt. 1 e 2 d.lgs. 9 ottobre 2002 n. 231, dei considerando nn. 7 e 22 e degli artt. 1 e 2 della Direttiva n. 2000/35/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, nonché degli artt. 2, 3, 20, 21, 65, 68, 225 e dell’allegato IIB del d.lgs. n. 163 del 2006, degli artt. 1, comma 1, lett. d)
e 9 e dell’allegato IB della Direttiva n. 92/50/CE del Consiglio e degli artt. 1, comma 1, lett. d) e 21 e dell’allegato 118 della Direttiva n. 2004/18/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, oltre che dell’art. 33 Cost. – con riferimento al capo della sentenza impugnata che ha escluso ‘i servizi di istruzione e formazione professionale per l’adempimento dell’obbligo scolastico’ dall’ambito di applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, non sussistendo alcuna ragione per differenziare tali prestazioni dagli altri servizi pubblici pacificamente soggetti all’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002, trattandosi di servizi disciplinati in modo espresso dal Codice degli appalti, che la Regione Veneto, in base alla normativa nazionale e regionale, ha scelto di far svolgere al privato dietro corrispettivo, anziché erogare direttamente, non diversamente da quanto accade per i servizi sanitari affidati ai privati, per i quali la giurisprudenza non dubita dell’assoggettamento alla disciplina di cui al d.lgs. n. 231 del 2002.
Secondo il ricorrente, la Regione ha operato come committente dei servizi di istruzione e formazione professionale, da erogare a favore di terzi, per i quali ha previsto un corrispettivo, calcolato tenendo conto del numero delle ore, del numero degli allievi e del tipo di corso, nonché dei costi indiretti calcolati forfettariamente, ove l’ente erogatore, si è obbligato nei confronti della Regione a ll’esecuzione .
In tale ottica, non assume rilievo, per il ricorrente, il fatto che si tratti di servizio prestato nell’interesse generale, tenuto conto che le disposizioni nazionali devono essere interpretate in senso conforme alla Direttiva 2000/35/CE, alla successiva Direttiva 2011/7/UE e alla Risoluzione 17/01/2019, ove si è precisato che è proprio nei confronti degli enti pubblici che deve essere prestata particolare attenzione al fine di evitare i ritardi nei pagamenti (punto 21 della Risoluzione del Parlamento europeo del 17/01/2019).
Ad opinione della stessa parte, neppure la qualificazione del rapporto in termini concessori porterebbe a conclusioni diverse, poiché anche in questo caso vi è la conclusione di un contratto tra Amministrazione e impresa, che comporta in via esclusiva o prevalente la prestazione di servizi, come previsto dall’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002 , tenuto conto che una diversa interpretazione si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha confermato l’applicazione del d.lgs. n. 231 del 2002 ai servizi sanitari svolti dai privati accreditati in base a convenzioni stipulate con la PA.
Con il secondo motivo (subordinato) di ricorso principale, è dedotto il vizio di omessa pronunzia e, quindi, di violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., nella parte in cui la Corte territoriale non ha esaminato la domanda riconvenzionale subordinata proposta da ENAIP in primo grado, ritenendola erroneamente non riproposta in appello.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, subordinato all’accoglimento di quello principale, la Regione ha dedotto la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 l. n. 241 del 1990, espressamente richiamato nella D.G.R. n. 805/2010, per avere la Corte d’appello negato rilevanza a tale disposizione, mentre, invece, quando vengono erogati finanziamenti -peraltro per l’esecuzione di progetti rientranti nel Fondo Sociale Europeo -con un procedimento avviato a norma dell’art. 12 l. n. 241 del 1990 , ci si trova difronte all ‘ erogazione di somme aventi valore tipicamente sovventorio, che non assumono la natura di corrispettivo, tant’è che l ‘Erario esclude anche l’assoggettamento al regime dell’IVA , come pure risultava dalle fatture emesse dalla ricorrente , che recano la dicitura ‘Importo IVA Esente art. 10 n. 20 DPR 633/72 ‘ .
Secondo la controricorrente, in sintesi, l’erogazione dei contributi pubblici per la formazione professionale, avvenuta in base all’art. 12 l. n. 241 del 1990, consiste nella concessione di benefici economici a fondo perduto, subordinata alla predeterminazione dei criteri e delle modalità cui
l’Amministrazione e i beneficiari devono attenersi, che non assume il carattere di corrispettivo, poiché il rapporto tra le parti non è di natura sinallagmatica bensì pubblicistico-potestativa.
Il primo motivo di ricorso deve essere respinto, ma la motivazione deve essere corretta nei termini di seguito evidenziati.
2.1. Com’è noto, il d.lgs. n. 231 del 2002 ha recepito la Direttiva 2000/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29/06/, relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali (poi modificata dalla Direttiva 2011/7/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 2011, recepita dal d.lgs. n. 192 del 2012, non applicabile alla fattispecie ratione temporis ).
L’art. 1 d.lgs. n. 231 del 2002, nel testo applicabile ratione temporis , previgente alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 192 del 2013, «si applicano ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale» (art. 1 d.lgs. cit.).
Ai sensi dell’art. 2. d.lgs. cit. costituiscono transazioni commerciali «i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo»
Lo stesso articolo definisce, poi, la nozione di pubblica amministrazione e di imprenditore, individuando in quest’ultimo ogni soggetto esercente un’attività economica organizzata o una libera professione.
2.2. Ai fini della decisione assume rilievo decisivo definire la nozione di transazione commerciale.
In primo luogo, come sopra evidenziato, il d.lgs. ha precisato che deve trattarsi di un contratto, il quale deve poi connotarsi per due caratteristiche: 1) la previsione della consegna di merci o della prestazione di servizi in via
esclusiva o anche solo prevalente; 2) il pagamento di un prezzo a titolo di corrispettivo.
Com’è noto, la corrispettività delle prestazioni contrattuali sta a significare che la prestazione di una parte trova remunerazione nella prestazione dell’altra.
I contratti a prestazioni corrispettive sono anche detti sinallagmatici, in quanto connotati da un nesso di reciprocità, comprendendo principalmente i contratti di scambio, quelli di concessione in godimento e di servizi a titolo oneroso, ove la prestazione di una parte è compensata dalla controprestazione dell’altra.
2.3. In tale quadro, la giurisprudenza di legittimità ha affermato l’applicabilità degli interessi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2002 ai crediti derivanti dall’erogazione di prestazioni sanitarie da parte di strutture pr ivate accreditate col SSN, sia pure in presenza di determinati presupposti.
In particolare, le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente ritenuto che l’erogazione di tali prestazioni rientra nella nozione di transazione commerciale, ai sensi dell’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002, quando siano prestate in base a un contratto – accessivo all’accreditamento – concluso in forma scritta con la PA, dopo l’entrata in vigore del d.lgs. cit., avendo tale contratto la natura di contratto a favore di terzi ad esecuzione continuata, contenente la previsione dell’obbligo di pagamento di un corrispettivo, la cui ritardata esecuzione comporta il riconoscimento degli interessi moratori ex art. 5 d.lgs. cit. (Cass., Sez. U, Sentenza n. 35092 del 14/12/2023).
Le Sezioni Unite hanno precisato che, mediante l’accreditamento, le strutture autorizzate acquisiscono lo status di soggetto idoneo a erogare prestazioni e servizi sanitari per conto del SSN, ma poi l’abilitazione a fornire, in concreto, prestazioni a carico del SSN deriva loro dalla stipula di accordi contrattuali che, ai sensi dell’art. 8 quinquies d.lgs. n. 502 del 1992,
definiscono i programmi di attività, con indicazione dei volumi e delle tipologie di prestazioni erogabili.
Il rapporto tra la PA e il privato erogatore dei servizi non si arresta a livello provvedimentale, ma percorre una sequenza gestionale in cui dall’esercizio dello ius imperii si passa all’esercizio dello i us privatorum , con la stipula di un apposito negozio con il soggetto, cui è stata conferita la concessione, per regolamentare, su un piano ora tendenzialmente paritario, la gestione della concessione stessa.
La sequenza delle cosiddette 3 A – autorizzazione, accreditamento, accordo -termina con la stipulazione di quello che, se l’accreditato è un soggetto privato, si qualifica e assume la forma di un contratto, da redigere per iscritto, nel quale, tenendo conto della programmazione regionale e delle relative delibere della Giunta regionale, quelle che sono così diventate le parti di un negozio bilaterale determinano il contenuto degli obblighi che l’accreditato assume a favore degli utenti del Servizio sanitario, nonché il conseguente corrispettivo che l’ente pubblico a sua volta si obbliga a corrispondere.
2.4. Per verificare la sussistenza, nella fattispecie, di una transazione commerciale occorre tenere conto della disciplina che governa il sistema regionale di istruzione e formazione professionale, verificando come nella specie si siano articolati i rapporti giuridici tra le parti.
2.5. Com’è noto, l’obbligo di istruzione e l’obbligo di formazione sono stati unificati, con la l. n. 53 del 2003 e con i successivi decreti attuativi, nel diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età.
Ai sensi dell’art. 1, d.lgs. n. 226 del 2005, recante norme generali e livelli essenziali delle prestazioni relativi al secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e formazione, l’obbligo di istruzione, che si completa
con l’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, può essere assolto:
-nel sistema scolastico di durata quinquennale (licei, istituti tecnici, istituti professionali) finalizzato al conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore che consente l’accesso all’istruzione superiore;
-nel sistema regionale di istruzione e formazione professionale di cui al d.lgs. n. 226 del 2005, di durata triennale o quadriennale (IeFP).
L’istruzione e formazione professionale si articola in percorsi di durata triennale finalizzati al conseguimento di una qualifica professionale (livello EQF 3) o di durata quadriennale (livello EQF 4), finalizzati al conseguimento di un diploma professionale.
Successivamente al conseguimento del diploma professionale è possibile frequentare un anno integrativo finalizzato al conseguimento della maturità professionale, anche ai fini dell’accesso all’istruzione superiore.
L’ assolvimento del diritto-dovere e il conseguimento dei relativi titoli di studio si realizza anche attraverso periodi di alternanza scuola-lavoro e, a partire dal quindicesimo anno di età, può essere svolto attraverso un contratto di apprendistato, ai sensi del d.lgs. n. 81 del 2015.
Il d.lgs. n. 226 del 2005 è uno dei decreti attuativi della l. n 53 del 2003, il quale, disciplinando i percorsi di istruzione e formazione professionale, all’art. 15 , ha stabilito che, nell’esercizio delle competenze legislative esclusive in materia di istruzione e formazione professionale e nella organizzazione del relativo servizio, le Regioni assicurano i livelli essenziali delle prestazioni, poi descritti negli articoli successivi. La menzionata norma precisa anche che i livelli essenziali costituiscono i requisiti per l’accreditamento da parte delle Regioni (e delle Province autonome) delle istituzioni che realizzano i percorsi di istruzione e formazione professionale.
Con legge regionale n. 19 del 2002, la Regione Veneto ha istituito l’elenco regionale degli organismi di formazione professionale accreditati.
In particolare, l’art. 1, comma 1, l.r. cit., ha previsto quanto segue: «1. Al fine di garantire standard di qualità dei soggetti attuatori nel sistema di formazione professionale, è istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale degli organismi di formazione accreditati.»
Particolare rilievo assume quanto stabilito al successivo comma 2 dello stesso articolo, ove si legge che «L’iscrizione nell’elenco regionale di cui al comma 1 comporta l’accreditamento dei soggetti iscritti che possono realizzare interventi di formazione e di orientamento finanziati con risorse pubbliche, ovvero interventi di formazione riconosciuti ai sensi dell’articolo 19 della legge regionale 30 gennaio 1990, n. 10 ‘ Ordinamento del sistema di formazione professionale e organizzazione delle politiche regionali del lavoro ‘ , e successive modificazioni e integrazioni, nel rispetto degli obiettivi della programmazione regionale.»
Con l’ art. 19 l.r. n. 10 del 1990, appena richiamato, la Regione Veneto ha disciplinato le attività libere di formazione professionale, stabilendo che la Giunta regionale, verificati determinati requisiti e condizioni, opera, su richiesta, il riconoscimento dei corsi e delle iniziative formative svolte da enti, istituzioni, associazioni, imprese o privati, operanti in ambito regionale, precisando che il riconoscimento non comporta l’erogazione di alcun contributo da parte della Regione.
In sintesi, i l sistema dell’istruzione e formazione professionale gestito dalla Regione Veneto prevede il necessario accreditamento per tutti i soggetti che erogano servizi di formazione professionale, i quali, poi, si distinguono tra coloro che realizzano interventi di formazione o orientamento finanziati da risorse pubbliche e coloro che organizzano interventi formativi che, pur riconosciuti, non fruiscono di alcun finanziamento pubblico.
2.6. La controversia oggetto di giudizio riguarda interventi di istruzione e formazione professionale organizzati dalla Regione Veneto, finanziato con
fondi pubblici. Si tratta, in particolare, degli interventi di secondo e terzo anno del ‘Piano Annuale di Formazione Iniziale 2010/2011’.
Lo svolgimento dell’ iter procedimentale non è controverso ed è stato descritto da entrambe le parti.
La Regione, con DGR n. 804/2010 e DGR n. 805/2010 ha approvato due bandi per la presentazione di progetti formativi relativi ai menzionati percorsi di formazione, disciplinando la presentazione delle domande di finanziamento da parte degli enti accreditati o in corso di accreditamento (doc. 1 e doc. 3 del fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
A ciascuna delle menzionate delibere risultano allegate, oltre al bando (all. A), una Direttiva per la presentazione dei progetti formativi (all. B) e le indicazioni relative alla gestione e alla rendicontazione delle attività (all. C).
Dall’esame di quest’ultimo allegato, si evince chiaramente che, come dedotto dalla controricorrente, il finanziamento è determinato in base ai costi, diretti e indiretti, della realizzazione del progetto formativo (doc. 1 e doc. 3 del fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
Presentati i progetti, all’esito dell’istruttoria, la Regione ha individuato i progetti ammessi e finanziati, tra cui quelli del ricorrente (doc. 2 e doc. 4 del fascicoletto depositato con il ricorso per cassazione).
Il legale rappresentante dell’ ente ha, quindi, sottoscritto un atto unilaterale, per ciascun progetto, con il quale si è impegnato a realizzare le attività in conformità al progetto approvato, oltre che a conformarsi quanto stabilito dalle normative, nazionali e regionali, dichiarando di essere consapevole che, in caso di violazioni, il finanziamento poteva essere revocato (doc. 5 e doc. 7 del fascicoletto allegato al ricorso per cassazione).
2.7. Il ricorrente ha dedotto l’applicabilità della disciplina prevista dal d.lgs. n. 231 del 2002, affermando che la Regione ha operato come committente di un servizio reperibile nel mercato e che l’ENAIP si è
obbligato ad eseguire tale servizio, garantendo dei livelli qualitativi e quantitativi predeterminati nelle delibere della Giunta Regionale, ottenendo in cambio la corresponsione dalla Regione di un importo calcolato tenendo conto delle ore, del numero degli allievi e del tipo di corso, nonché dei costi indiretti calcolati forfettariamente, così facendo emergere quel nesso di corrispettività proprio delle transazioni commerciali, confermato anche dal fatto che la Regione ha previsto la risoluzione del rapporto in caso di inadempimento.
2.8. Tale prospettazione non può essere condivisa.
Come sopra evidenziato, per ritenere che si tratta di una transazione commerciale, agli effetti del d.lgs. n. 231 del 2002, occorre accertare l’esistenza di un contratto intercorso tra le parti, ove le parti contraenti hanno previsto che l ‘esecuzione d i determinate ha come corrispettivo il pagamento di un prezzo.
Il ricorrente ha prospettato l’esistenza di un ‘rapporto’ contrattuale , avente le caratteristiche della transazione commerciale, come definita dall’art. 2 d.lgs. n. 231 del 2002, ma non ha neppure dedotto l’esistenza di un contratto sottoscritto dalle parti che potesse essere valutato a tal fine.
Dalle stesse allegazioni di parte, emerge l’avvio di una procedura pubblica per il finanziamento di progetti formativi, in relazione al quale il ricorrente ha presentato la domanda, che è stata accolta, seguita dalla sottoscrizione di un atto unilaterale, e non di un contratto, da parte del ricorrente.
Quest’ultimo, nel menzionato atto unilaterale, si è impegnato a dare attuazione al progetto approvato, nel rispetto delle norme generali e delle previsioni del bando, nella dichiarata consapevolezza che le violazioni potrebbero comportare la revoca del finanziamento (doc. 5 e doc. 7 del fascicoletto allegato al ricorso per cassazione).
Correttamente il giudice di merito ha escluso che la somma attribuita al ricorrente fosse il corrispettivo pattuito per la prestazione di un servizio, la formazione professionale, non risultando alcun accordo in tal senso, emergendo, anzi, dagli atti sopra descritti che si è trattato di una procedura amministrativa per l’erogazione di un contributo pubblico, erogato al soggetto che si è offerto di svolgere l’ attività di formazione e che all’esito di detta procedura è risultato avere i requisiti richiesti.
Come sopra evidenziato, la Regione è portatrice, per legge, dell’interesse pubblico alla realizzazione dei corsi di formazione professionale in questione, indirizzati ai giovani soggetti ad obbligo scolastico, ed è per questo che, come previsto dalla l.r. n. 19 del 2002, procede al finanziamento a fondo perduto dei progetti formativi che rispettino i livelli essenziali delle prestazioni richiesti dalla legge e dal bando, conservando poteri di vigilanza e di controllo sull’attività che viene svolta, oltre che di revoca del beneficio concesso in caso di violazioni del privato.
Il finanziamento non è un corrispettivo pattuito in condizioni di parità tra privato e PA, ma una sovvenzione che l’Amministrazione eroga per coprire i costi del beneficiario, all’esito di un procedimento amministrativo, in cui vengono verificati tutti i r equisiti per l’approvazione del progetto .
La fattispecie è del tutto diversa da quella esaminata dalla giurisprudenza, riguardante l’erogazione di prestazioni sanitarie in regime di accreditamento, ove, come sopra evidenziato, la spettanza degli interessi ex d.lgs. n. 231 del 2002 è subordinata alla stipula di un contratto scritto avente ad oggetto la determinazione del prezzo per le prestazioni eseguite e del tetto massimo di spesa.
Il secondo motivo di ricorso principale è inammissibile.
3.1. Il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di esaminare la domanda riconvenzionale subordinata, proposta in primo grado dall’ENAIP , volta ad ottenere almeno
il pagamento degli interessi legali ex art. 1282 c.c., ritenendo che tale domanda non fosse stata riproposta, mentre, invece, tale domanda era stata riproposta nella comparsa di costituzione in appello, ad anche nella comparsa conclusionale, ed, inoltre, le difese in appello erano incompatibili con la rinuncia a detta domanda.
3.1. Occorre subito evidenziare che dalle stesse deduzioni del ricorrente si evince chiaramente non è prospettata una vera e propria omessa pronuncia del Giudice del gravame sulla originaria domanda riconvenzionale di attribuzione degli interessi legali, poiché la stessa parte ha dedotto che la statuizione vi è stata, avendo la Corte d’appello ritenuto che tale domanda non fosse stata riproposta in appello.
Il Giudice di secondo grado risulta, infatti, avere statuito come segue: «L’accoglimento del primo motivo di appello e la mancata riproposizione in questo grado da parte di RAGIONE_SOCIALE della domanda di attribuzione degli interessi legali sulle somme incamerate dall’appellato a titolo di acconti, rende ultronea la disamina del secondo motivo di gravame.»
3.2. Anche la censura riferita alla dedotta violazione dell’art. 346 c.p.c. , per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la domanda riconvenzionale subordinata non fosse stata ripresentata, è inammissibile.
Nella sentenza della Corte d’appello sono riportate le conclusioni definitive rassegnate da ll’ attuale ricorrente e in esse si legge che quest’ultimo ha chiesto, nel merito, solo il rigetto dell’impugnazione ( p. 2 e 4 della sentenza impugnata).
L ‘ENAIP non ha dedotto alcunché in proposito, ma ha riportato stralci della comparsa di costituzione e di quella conclusionale, del tutto avulse dal tenore degli atti che li contengono, rinviando poi alle difese svolte in tali atti, ritenute incompatibili con la rinuncia a tale domanda, senza, però, riportare il contenuto delle stesse (p. 18-20 del ricorso per cassazione).
La parte avrebbe dovuto fornire elementi in grado di ricostruire il complessivo tenore delle difese, in modo tale da consentire a questa Corte di ritenere che, nonostante il tenore delle conclusioni definitive, la effettiva volontà era quella di ottenere una pronuncia di condanna nei confronti della Regione, mentre invece gli stralci della comparsa di costituzione in appello e della comparsa conclusionale di secondo grado, peraltro non contestualizzati nel complesso svolgimento delle difese, come pure il generico rinvio a queste ultime, senza menzionare il loro contenuto, non consentono di ritenere che la parte abbia adempiuto all’onere di speci ficità e di au tosufficienza imposti dall’art. 366, comma 1, nn. 4 e 6, c.p.c.
Il mancato accoglimento del ricorso principale rende superfluo l’esame del ricorso incidentale condizionato, che deve ritenersi assorbito (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3223 del 07/02/2017).
In conclusione, il ricorso principale deve essere respinto e il ricorso incidentale condizionato deve essere dichiarato assorbito.
Tenuto conto della novità delle questioni affrontate con il primo motivo di ricorso principale, sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti.
In applicazione dell’art. 13, co mma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M. La Corte
rigetta il ricorso principale; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; compensa tra le parti le spese di lite;
dà atto, i n applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per l’impugnazione proposta, se dovuto .
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile