Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15159 Anno 2024
RAGIONE_SOCIALE Ord. Sez. 1 Num. 15159 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 30/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21110/2017 R.G. proposto da:
REGIONE RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) e rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE per procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente principale-
contro
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE – UFFICIO DEL COMMISSARIO DELEGATO PER L’EMERGENZA AMBIENTALE DEL TERRITORIO REGIONE RAGIONE_SOCIALE, domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVAP_IVA che li
-controricorrenti-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, in proprio e quale capogruppo mandataria dell’A.T.I. costituita con l’RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale in calce al controricorso – controricorrente e ricorrente incidentale-
nonché contro
A.T.O. -AUTORITA’ DELL’AMBITO TERRITORIALE OTTIMALE RAGIONE_SOCIALE 1
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANZARO n. 185/2017 depositata il 08/02/2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio, con citazione notificata il 20 -5 -2005, la Regione RAGIONE_SOCIALE, l’RAGIONE_SOCIALE (per brevità di seguito ATO) e l’ Ufficio del RAGIONE_SOCIALE delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione RAGIONE_SOCIALE chiedendo: a) dichiararsi risolto l’accordo transattivo sottoscritto il 28.4.2003 per fatto e colpa esclusivi dei convenuti; b) dichiarare scaduto il 31.12.2003 -o, in subordine, risolto per fatto e colpa esclusivi dei convenuti -il contratto
d’appalto sottoscritto in data 28.9.2000 avente ad oggetto il servizio integrato di conduzione, manutenzione, controllo e custodia degli impianti di depurazione e degli impianti di sollevamento delle reti fognarie nel territorio della Regione RAGIONE_SOCIALE (lotto n. 1 ambito RAGIONE_SOCIALE sub regionale denominato RAGIONE_SOCIALE Uno RAGIONE_SOCIALE); c) condannare i convenuti al pagamento, in solido tra loro, dell’importo di € 5.524.782,54 (oltre IVA, rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto al soddisfo), maturato in relazione alla produzione già effettuata al 28.2.2005, dell’importo di € 20.332.970,29 (oltre IVA, rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto al soddisfo), a titolo di riserve iscritte in contabilità, nonché della somma di euro 33.000.000,00 a titolo di risarcimento danni; d) emettere ordinanza ex art. 186 bis e/o ter c.p.c., con conseguente ingiunzione ai convenuti al pagamento, in solido tra loro ed in favore dell’attrice, della somma di € 5.524.782,54, oltre IVA, rivalutazione monetaria ed interessi dal dovuto al soddisfo; e) condannare le controparti al pagamento delle spese di lite.
2. Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza pubblicata in data 21 febbraio 2013, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del RAGIONE_SOCIALE delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione RAGIONE_SOCIALE; nel merito, il Tribunale accoglieva, per quanto di ragione, la domanda della RAGIONE_SOCIALE (di seguito per brevità RAGIONE_SOCIALE) e, per l’effetto, condannava l’RAGIONE_SOCIALE (di seguito per brevità ATO), in persona del legale rappresentante pro tempore , e la Regione RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , in solido tra loro, al pagamento in favore della società attrice della complessiva somma di Euro 5.345.981,57 (ossia l’importo residuo non pagato delle rate terza e quarta, come da pattuizioni della transazione del maggio 2003), oltre interessi ex D. lgs. 231/2002 dal 28.5.2003 al soddisfo, ed Iva come per legge; 3) condannava l’RAGIONE_SOCIALE e la Regione RAGIONE_SOCIALE, in
solido fra loro, alla rifusione in favore della controparte delle spese di giudizio, rimborso delle spese contrattuali, nonché di quelle effettivamente sostenute e documentate.
3. Con sentenza n. 185/2017, pubblicata l’8 -2 -2017, pronunciata in contumacia di ATO, del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’Emergenza Ambientale e della RAGIONE_SOCIALE, la Corte di appello di Catanzaro dichiarava inammissibile l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE e rigettava gli appelli principali proposti dalla Regione RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, confermando la sentenza impugnata e compensando tra le parti le spese di lite. In particolare la Corte di merito, per quanto ancora di interesse, affermava che: a) non sussisteva la legittimazione passiva del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per l’Emergenza Ambientale, come correttamente ritenuto dal Tribunale in aderenza al contenuto dell’accordo e del contratto di transazione, perché dal complesso delle pattuizioni inter partes emergeva il sub ingresso di ATO all’ufficio del RAGIONE_SOCIALE (dal 31.12.2012 la struttura commissariale aveva cessato di esistere ex art. 3 D.L. 59/12), con rimodulazione dei rapporti pregressi con RAGIONE_SOCIALE, secondo gli accordi assunti con l’accordo bonario e la transazione, e la cessazione di ogni pendenza di RAGIONE_SOCIALE con l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE, per mezzo dei pagamenti come pattuiti in transazione da parte dell’RAGIONE_SOCIALE subentrato e rinuncia alle riserve, essendo stato il subingresso di ATO accettato dalla RAGIONE_SOCIALE con liberazione dell’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE delegato ed essendo completamente azzerati i motivi di contenzioso o contrasto pregressi, per effetto della transazione medesima; b) l’ATO aveva personalità giuridica, come risultava dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento (legge istitutiva degli ATO n. 36/1994 – a cui aveva dato attuazione la Regione RAGIONE_SOCIALE con la L.R n. 10 del 3 ottobre 1997 -e decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che definiva l’Autorità d’ambito -art. 148 -come ‘una struttura dotata di personalità giuridica costituita in ciascun ambito RAGIONE_SOCIALE
ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale è trasferito l’esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia digestione delle risorse idriche, ivi compresa la programmazione delle infrastrutture idriche di cui all’articolo 143, comma 1.2.); pertanto l’ATO era soggetto avente personalità giuridica, rappresentato dall’ AVV_NOTAIO. NOME COGNOME quale Dirigente AVV_NOTAIO, autorizzato alla stipula del contratto in virtù di regolamento di funzionamento della STO (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), come da regolamento ATO; RAGIONE_SOCIALE per contratto e non solo in virtù di delibera Commissariale 2466/2003 era subentrata all’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE e successivamente, in forza del disposto di cui all’art. 47 della L. R. 34/2010, le funzioni dell’ATO di cui all’art. 148 D.Lvo 152/2006 previste dagli artt. 41,42 e 43 della LR 10/1997, a decorrere dal l° luglio 2011 erano state esercitate senza necessità di atti amministrativi di conferimento della regione RAGIONE_SOCIALE, che era subentrata nei rapporti attivi e passivi individuati con deliberazione della Giunta regionale sulla base della situazione economica e finanziaria della attuali Autorità RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE; la disposizione relativa alla successione della Regione all’AT,O così normativamente prevista, era conseguenza della soppressione degli ATO fissata dalla L. 191/2009, decorso un anno dall’entrata in vigore della legge stessa e, quindi, da fine dicembre 2010; contrariamente a quanto dedotto dalla Regione, non rilevava l’assenza di delibera di Giunta, in quanto, a fronte della dichiarata soppressione degli ATO, ogni rapporto giuridico facente capo agli ATO stessi non avrebbe potuto rimanere indefinitivamente sospeso, mentre l’intero impianto normativo riconduceva in ambito regionale le cessate funzioni di detti enti; c) la transazione inter partes correttamente era da qualificarsi novativa; in particolare dalla lettura congiunta dell’accordo bonario del 29 aprile 2003 e la transazione del 28 maggio 2003, stipulata in adempimento del
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primo atto, emergeva che le parti andavano a sostituire il contratto d’appalto tra due soggetti – l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE e COGNOME con il successivo accordo a tre soggetti, divenendo fulcro dell’operazione atta ad assegnare nuova regolamentazione agli interessi delle parti proprio il sub ingresso di RAGIONE_SOCIALE all’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE; le parti, infatti, dopo aver considerato l’intero stato dei rapporti economici tra RAGIONE_SOCIALE e l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE, dopo aver puntualizzato l’andamento del contratto di appalto e chiarito quanta parte di detto appalto per esse parti stipulanti fosse stata adempiuta, andavano a prevedere la proroga dell’originario contratto (in scadenza il 30 aprile 2003 ) sino a tutto il 31 dicembre 2003, con sub ingresso di RAGIONE_SOCIALE all’ufficio del RAGIONE_SOCIALE sin dal 1 maggio 2003, data in cui le parti, con il detto accordo trilaterale, prevedevano che avessero inizio le procedure di consegna degli impianti all’RAGIONE_SOCIALE e che venissero consegnati lo stato di consistenza dei lavori eseguiti e da eseguire, le schede tecniche degli impianti ecc. ( cfr. art. 3 accordo bonario ); contestualmente a dette operazioni di consegna le parti, con l’accordo trilaterale, avevano pattuito il subentro con decorrenza 1 maggio 2003 di RAGIONE_SOCIALE all’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE delegato, non solo con la non opposizione di COGNOME, ma con la rinuncia da parte di quest’ultima a tutte le riserve iscritte nel registro di contabilità, tranne quanto definito nelle schede riepilogative allegate all’atto; dall’esame dettagliato dell’accordo bonario e della transazione era dato evincere che vi era una incompatibilità strutturale della nuova regolamentazione di interessi con il precedente contratto, in quanto alla res sicuramente dubia e potenzialmente litigiosa rappresentata dalle numerose e milionarie riserve iscritte, in uno con l’inadempimento dell’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE, nei pagamenti veniva, con l’accordo transattivo, completamente abbandonato il vecchio contratto d’appalto per il quale era prevista la cessazione formale al 31.12.2003; con il
vecchio soggetto, e con l’innesto di ATO il saldo di gestione era puntualmente fissato per volontà concorde delle parti, atteso che era stato individuato con esattezza l’importo da corrispondere a tacitazione di ogni pretesa, presente e futura, di RAGIONE_SOCIALE per quell’appalto a quella data, ma non già per somma contabile, quanto per effetto delle reciproche concessioni; ne conseguiva, ex art 1976 cod. civ. l’inapplicabilità della disciplina della risoluzione per inadempimento, restando assorbite le richieste relative alla declaratoria di reviviscenza degli accordi precedenti ovvero dell’originario contratto d’appalto, nonché precluso l’esame delle riserve originariamente iscritte, per avere RAGIONE_SOCIALE espressamente rinunciato alle stesse con l’accordo transattivo; d) il documento della Provincia di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE -del 30 giugno 2009 correttamente non era stato acquisito in quanto tardivamente prodotto rispetto alla sua formazione; in particolare, sebbene detto documento risultasse essersi materialmente formato dopo che nel giudizio di primo grado, introdotto nel 2005, risultavano già essere maturate le preclusioni ex art. 184 cod. proc. civ., tuttavia la parte ben avrebbe potuto chiedere la rimessione in termini, ma in un momento immediatamente successivo al venire in essere del documento, senza aspettare che venissero tenute due udienze nelle quali, anziché effettuare la produzione suddetta, la parte aveva precisato le conclusioni dimostrando, reiteratamente, che la fase istruttoria risultava conclusa; di conseguenza, era tardiva la produzione documentale suddetta, avvenuta all’udienza del 22 novembre 2012, dopo che la parte interessata, che disponeva del documento dal 30 giugno 2009, aveva precisato le conclusioni alle udienze del 3 giugno e 16 dicembre 2010, in tal senso dovendosi correggere e integrare la motivazione della sentenza del Tribunale, sicché restava assorbita la disamina del motivo di gravame volto ad argomentare la richiesta di riconoscimento del credito di €
5.524.782,54, in forza del riconoscimento di debito contenuto in quel documento; e) quel riconoscimento di debito si riferiva al credito per la nuova produzione effettuata dall’1.5.2003 al 28.5.2005, e per la quale RAGIONE_SOCIALE sosteneva di aver maturato un ulteriore credito di € 5.582.822,99 ( attestata da n. 6 SAL l’ultimo dei quali -il n. 6 -al 28.2.2005), al netto dei pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE (parzialmente sia rispetto all’accordo transattivo che alla successiva produzione), ma il Tribunale aveva ritenuto il credito non provato, in base ai SAL – il primo non sottoscritto -, e d’altronde in appello la stessa RAGIONE_SOCIALE ancorava la rinnovata richiesta di pagamento di detto importo all’efficacia probatoria della ricognizione di debito di ATO 1 del 30 giugno 2009, assumendo in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE che i Sal presentavano mere irregolarità che non inficiavano il valore probatorio dei documenti, stante il dedotto riconoscimento del debito con il documento 30 giugno 2009; f) non rivestiva rilevanza probatoria il documento nuovo, prodotto in appello ritualmente, di data 14 novembre 2014 emesso dalla Commissione tecnica di supporto al tavolo istituito presso l’Ufficio di presidenza della regione RAGIONE_SOCIALE per la vertenza RAGIONE_SOCIALE, poiché detta Commissione aveva mera natura consultiva di supporto tecnico, costituita ai fini della possibilità di componimento bonario, previa puntuale «valutazione e quantificazione economica degli aspetti riservistici riproposti in appello»; g) non era dovuta la rivalutazione monetaria sul credito riconosciuto come dovuto dal Tribunale, in quanto si trattava di un debito di valuta e il creditore COGNOME, a cui il Tribunale aveva riconosciuto gli interessi moratori ex D. lgs. 231/2002 dal 28 maggio 2003 al soddisfo, oltre all’Iva come per legge, non aveva provato i danni da ritardato pagamento ex art.1224 cod. civ., ma si era limitato a rimarcare la propria posizione di imprenditore commerciale, prospettando la pretesa come danno conseguente all’inadempimento da ritardo, ossia chiedendo solo la rivalutazione, non il maggior danno ex art.1224
citato, assumendo implicitamente che il debito fosse di valore, sicché la rivalutazione correttamente non era stata riconosciuta dal Tribunale, come da giurisprudenza di questa Corte richiamata (Cass. S.U. 5743/2015 ); h) corretta era anche la statuizione del Tribunale di rigetto della domanda di RAGIONE_SOCIALE di risarcimento dei danni per il ritardo nei pagamenti; in particolare, il giudizio era circoscritto all’appalto dal 2000 al 30 aprile 2003, in relazione al quale il capitale non versato, le riserve iscritte e tutte le altre voci di danno, in esse comprese i ritardi accumulati nei . pagamenti, avevano trovato composizione nell’accordo bonario trasfuso nell’atto transattivo, con il quale COGNOME aveva rinunciato alle riserve iscritte e ad ogni altra pretesa, con limitate eccezioni tra cui non figurava la voce in questione; per le restanti produzioni successive al 30 aprile 2003 e fino al 28 febbraio 2005 il Tribunale aveva rigettato la domanda di pagamento per difetto di prova in relazione ai sei SAL, sicché mancava lo stesso presupposto del chiesto risarcimento, considerato, altresì, che la situazione di diritto risultava non perfettamente chiarita in atti, con riguardo alla tipologia stessa delle prestazioni pretese, in quanto, oltre alla proroga del contratto con l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sino al 31.12.2003, non era dato comprendere quale fosse il contratto con ATO1 a cui era subentrata la Regione, non potendo avere rilevanza prestazioni di fatto.
4. Avverso questa sentenza la Regione RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e dell’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE delegato per l’emergenza ambientale nel territorio della Regione RAGIONE_SOCIALE -Dipartimento RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE, che resistono con controricorso, nonché nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, che ha resistito con controricorso e ha proposto ricorso incidentale affidato a nove motivi, a sua volta resistito con controricorso della Regione RAGIONE_SOCIALE.
Con ordinanza interlocutoria depositata il 5 -8 -2023, questa Corte, rilevata la nullità della notifica all’ATO, parte costituita in primo grado e rimasta contumace nel giudizio d’appello, del controricorso con ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE, ha rinviato la causa a nuovo ruolo, disponendo la rinnovazione della notifica del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE all’RAGIONE_SOCIALE, nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza.
Il ricorso è stato nuovamente fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. La Procura AVV_NOTAIO, nella persona del AVV_NOTAIO Procuratore AVV_NOTAIO, ha depositato conclusioni scritte chiedendo rigettarsi il ricorso principale e accogliersi il terzo motivo del ricorso incidentale. La Regione RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
La Regione RAGIONE_SOCIALE denuncia: i) con il primo motivo la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, n 4 cod. proc. civ., deducendo di avere evidenziato nel giudizio d’appello che gli A.T.O. erano in liquidazione, e pertanto nessuna successione a titolo particolare ex art. 111 cod. proc. civ. si era verificata, ma la Corte di merito non si era pronunciata sulla questione, di evidente rilevanza; ii) con il secondo motivo la violazione degli artt. 2, c. 186 bis l. 191/09, 1 d.l. 225/10; 1, comma 1, dpcm 253.11; 13, comma 2, d. l. 216/11, 47 l. r. 34/10 e 56 l. r . 47/11, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente affermato, in violazione delle citate norme, che si era verificato il subentro indiscriminato della Regione nei rapporti attivi e passivi di ATO, e invece il subentro era stato previsto dal Legislatore regionale solo come limitato da un “filtro” assicurato da un atto amministrativo, ossia da una Delibera di individuazione di detti rapporti, che, nel caso di
specie pacificamente non esisteva, così avendo in buona sostanza la Corte d’appello disapplicato la legge regionale suddetta, mentre la correttezza di detta interpretazione si evincerebbe anche dalla successiva disciplina, introdotta dalla l. r. 18/17; iii) con il terzo motivo la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ.; 2697, 2699, 2700, 2701, 2702, 2719 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la Corte di merito ritenuto che l’A.T .O. avesse personalità giuridica e legittimazione a stipulare contratti e transazioni, e che l’Ing. COGNOME, il quale aveva sottoscritto il verbale di accordo bonario del 29 -4 -2003 e l’atto di transazione del 28 -5 -2003, fosse autorizzato alla stipula, nella qualità di “Dirigente AVV_NOTAIO“, in virtù del Regolamento della S.T.O. approvato con Delibera n. 91/02, mentre non era in atti alcuna prova che il responsabile della S.T.O. avesse la rappresentanza dell’ATO di RAGIONE_SOCIALE; la Corte d’appello era incorsa in un travisamento della prova, perché l’accertamento che l’ing. COGNOME fosse organo rappresentativo dell’ATO era contraddetto da specifici atti processuali; iv) con il quarto motivo la violazione degli artt. 115 cod. proc. civ.; 2697, 2699, 2700, 2701, 2702, 2719 cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. , per avere la Corte d’appello ritenuto che l’RAGIONE_SOCIALE. avesse personalità giuridica e legittimazione a stipulare contratti e transazioni, mentre erano state prodotte in giudizio sia la Delibera G.P. n. 91/02 – con allegato l’approvato Regolamento per il funzionamento della S.T.O. -, sia la Convenzione per la costituzione dell’RAGIONE_SOCIALE, da cui risulterebbe che gli Enti convenzionati avevano optato per la forma della convenzione ex art. 24 L. 142/90, a fronte della diversa possibilità, prevista dall’art. 41, c.2, lett. b), L.R. 10/97, di costituire un Consorzio, e che le uniche attività “contrattuali” previste per tale modulo organizzativo erano quelle finalizzate all’affidamento al gestore del servizio idrico, non alla gestione degli impianti di depurazione, a cui si riferivano
l’accordo bonario e la transazione, sicché la Corte d’appello era incorsa in un travisamento della prova, perché l’accertamento secondo cui l’A.RAGIONE_SOCIALE.O. avesse personalità giuridica autonoma e soprattutto in materia di gestione di impianti di depurazione era contraddetto da specifici atti processuali; v) con il quinto motivo la violazione artt. 11 preleggi, 148 d. lgs. 152/06, 24 l. 142/90, 30 d. lgs. 267/00 in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per essersi la Corte d’appello limitata puramente e semplicemente a richiamare l’art. 148 citato quale “fonte” della ritenuta personalità giuridica dell’A.T.O. n. 1, ritenendo tale norma, pertanto, applicabile -nella parte in cui dotava in termini innovativi di personalità giuridica -anche agli AA.TT.00. già costituti, come l’ARAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE. n. RAGIONE_SOCIALE, alla data di entrata in vigore della stessa norma, così violando l’art. 11 Preleggi e attribuendo all’art. 148 un’efficacia nel tempo che tale norma non ha; rimarca, in ogni caso, nuovamente la Regione che il Dirigente della S.T.O. non rappresenta l’A.T.O. neanche sotto il profilo negoziale, in base a quanto previsto nell’atto costitutivo dell’A.T.O. e del successivo regolamento.
2. La RAGIONE_SOCIALE, con il ricorso incidentale, denuncia: i) con il primo motivo la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1273, 1408, 1362, 1363 e 1364 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., poiché l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE per RAGIONE_SOCIALE‘Emergenza Ambientale nella Regione RAGIONE_SOCIALE non era stato liberato dalle sue obbligazioni e pertanto continuava a rispondere in solido ed era legittimato passivo rispetto alle domande di RAGIONE_SOCIALE, dovendosi applicare l’art.1273 citato, stante la struttura trilaterale dell’accordo bonario del 29 aprile 2003 e dell’atto di transazione del 28 -5 -2003 e poiché mancava una dichiarazione di liberazione espressa del debitore, che non poteva ritenersi implicita nell’accettazione del subentro da parte di RAGIONE_SOCIALE; in subordine lamenta la violazione del’art.1408 cod. civ., assumendo che la liberazione per effetto della cessione del contratto avrebbe al più
potuto avere effetto ex nunc , restando fermo ogni obbligo per le obbligazioni sorte sino alla data della transazione del 28 -5 -2003;deduce ulteriormente che, poiché l’ufficio del RAGIONE_SOCIALE era stato soppresso nelle more del giudizio di primo grado, allo stesso era subentrata la Regione RAGIONE_SOCIALE ex O.P.C.M. n.57/2013 o in subordine la RAGIONE_SOCIALE che lo aveva istituito, non essendo concepibile la soppressione di un Ufficio senza un successore dei relativi rapporti attivi e passivi; ii) con il secondo motivo la violazione e falsa applicazione degli art. 1230, comma 1 e comma 2, 1231, 1976, 1362, 1363, e ss. cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto novativa, e quindi non suscettibile di risoluzione per inadempimento, la transazione intervenuta tra RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e l’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE, in violazione degli artt.1230 e 1231 cod. civ., avendo la Corte d’appello valutato il contenuto delle due scritture – accordo bonario e transazione -adottando una prospettiva di valutazione diversa da quella imposta dal codice civile, giungendo ad una attribuzione di natura novativa che invece non sarebbe stata sorta se l’accordo bonario e la transazione fossero state giudicate col criterio corretto, previsto dagli artt. 1230 e 1231 cod. civ., come da giurisprudenza di questa Corte che richiama (Cass. 23064/2016), dal momento che non era stata espressa in modo non equivoco la volontà di estinguere l’obbligazione precedente; ad avviso di RAGIONE_SOCIALE, con la transazione non si attuava una novazione, ma anzi espressamente si stabiliva una mera ridefinizione contabile, mentre RAGIONE_SOCIALE rinunciava alle riserve, ma senza vi fosse una novazione, in quanto le stesse venivano semplicemente – di nuovo con una ridefinizione della quantificazione -‘ ridotte di importo’ (per cui da un ammontare di Euro 7.850.412,82 iscritto nei registri di contabilità la somma scendeva ad Euro 774.617,64 oltre IVA -art. 4 della transazione) e inoltre si prevedeva l’impegno di RAGIONE_SOCIALE di accettare
la gestione “alle medesime condizioni” ( art. 8) di ulteriori impianti che “nel periodo di vigenza del contratto dovessero rendersi per qualsiasi titolo disponibili “; deduce che la Corte d’appello, senza cercare la reale volontà delle parti ex artt.1362 e 1363 citati valutando il complesso delle previsioni contrattuali, era giunta erroneamente a qualificare novativa la transazione, mentre non lo era, e di conseguenza la Corte di merito avrebbe dovuto esaminare le domande di risoluzione e declaratoria di reviviscenza degli accordi precedenti o dell’originario contratto, non precluse dalla transazione ; iii) con il terzo motivo la nullità della sentenza e del procedimento, violazione degli artt. 183, 184, 184 -bis e 153 (nuovo testo), 101, 345 (nel testo anteriore alla riforma del 2012), 359 cod. proc. civ., del d.l. n. 83/2012 (nel testo convertito con legge dalla L. 7 agosto 2012, n. 134) art. 54, commi I e II, 1988, 2700, 2702 e 2735 cod. civ., nonché del diritto alla prova di RAGIONE_SOCIALE ex art. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360, n. 4 cod. proc. civ., per non avere la Corte d’appello consentito l’acquisizione del documento di riconoscimento del debito del 30 -6 -2009 (pag.92 ricorso) da parte di RAGIONE_SOCIALE, pur riconoscendo trattarsi di documento formatosi dopo le preclusioni istruttorie; rimarca che l’acquisizione di un documento formatosi successivamente è possibile addirittura per la prima volta nel grado successivo, ma in ogni caso rileva che la produzione avvenga -come in effetti avvenuto -mediante produzione e deposito in cancelleria o all’udienza prima che la causa venga trattenuta in decisione, non essendo possibile il deposito con gli scritti conclusionali; deduce che non esiste una regola che imponga di provvedere nell’udienza immediatamente successiva al reperimento del nuovo documento, peraltro essendo state tutte le udienze di meri rinvii d’ufficio, e nella specie avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 345 (nel testo anteriore alla riforma del 2012), trattandosi di documento di decisiva valenza perché confessione stragiudiziale del debito da parte di RAGIONE_SOCIALE
(pag.102 ricorso -oltre 10 milioni di euro alla data del 30 -6 -2009), “indispensabile” perché non solo dimostrava la sussistenza dei crediti di RAGIONE_SOCIALE che la sentenza di primo grado aveva ingiustamente negato, ma anche la mora di ATO, poiché erano riconosciuti gli interessi di mora, e ciò nel 2009, ossia dopo molti anni dall’epoca della transazione e del verbale di accordo del 2003, ad ulteriore riprova del carattere non novativo della transazione; iv) con il quarto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1322, 2700 e 2702, 2730, 2735 e 1349 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente attribuito natura solo consultiva ad un fondamentale documento (di 150 pagine, e perciò impossibile da trascrivere) prodotto da RAGIONE_SOCIALE in appello, in violazione dei canoni di cui agli artt. 1362 e 1362 citati, così privandolo di qualsiasi efficacia probatoria, mentre l’espressione “consultiva” semplicemente voleva significare che, al fine della trattativa in corso, le parti provvedevano non a demandare alla commissione effetti vincolanti di un lodo arbitrale (anche se il procedimento potrebbe inquadrarsi, secondo COGNOME, in quello di lodo arbitrale irrituale oppure di arbitraggio ex art. 1349 c.c. o ad una perizia contrattuale, conclusosi non con un lodo ma con una determinazione tecnica formata in contraddittorio), ma in ogni caso demandavano un accertamento negoziale dei debiti (per riserve) verso RAGIONE_SOCIALE, quantificandoli; pertanto dal citato documento era quanto meno desumibile l’esistenza di un negozio di accertamento e/o ricognitivo tra le parti per determinare definitivamente tra loro l’esistenza, il contenuto o i limiti di una data situazione, in modo da escludere ogni successiva contestazione al riguardo; deduce, pertanto, l’erroneità della statuizione di rigetto della domanda risarcitoria, non solo per diretto effetto dell’accoglimento dei precedenti motivi, ma anche perché la transazione non precludeva l’azione risarcitoria per i fatti accaduti dopo la sua conclusione,
ossia in relazione a danni certamente non transatti, perché posteriori al verbale ed all’accordo del 2003 (pag.142 ricorso); v) con il quinto motivo la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2700 e 2702, 2730 e 2735 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello erroneamente ritenuto irrilevante un documento facente piena prova prodotto da RAGIONE_SOCIALE in appello, incorrendo in error in procedendo e nella violazione delle regole sulla prova, poiché il documento prodotto da COGNOME in appello era, comunque, sul piano processuale o un atto pubblico, in quanto redatto da una Commissione composta dalla parte pubblica Regione RAGIONE_SOCIALE, o quanto meno una scrittura privata non disconosciuta; vi) con il sesto motivo la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione del principio di non contestazione e degli artt. 115, 167, 416, 88 cod. proc. civ. , 111 Cost. 2697 cod. civ. ed omessa pronuncia ex art. 112 cod. proc. civ. su parte dei motivi d’appello, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. , per avere la Corte di merito ritenuto non provati dei fatti materiali, costitutivi delle domande di RAGIONE_SOCIALE, in realtà non contestati, e dunque da ritenere pacifici in giudizio, e per avere la Corte di merito omesso di esaminare le parti dei motivi d’appello dove era invocata la suddetta non contestazione, con riferimento all’avvenuta esecuzione dei lavori; deduce la RAGIONE_SOCIALE che la sentenza impugnata sarebbe affetta da error in procedendo sotto un duplice profilo, ossia in primo luogo per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e del principio di non contestazione sui fatti allegati da RAGIONE_SOCIALE, che avrebbero dovuto considerarsi pacifici e secondariamente per omessa pronuncia su tutti i motivi che riguardavano le suesposte doglianze, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , essendo dette critiche decisive, anche quanto alla domanda risarcitoria; vii) con il settimo motivo l’omessa ammissione di prove e violazione degli art. 115 c.p.c., 2721 e 2724 cod. civ., 24 e 111 Cost. e del diritto
alla prova, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello, pur ritenendo sfornite di prova documentale le domande non accolte di COGNOME, omesso inspiegabilmente di ammettere le prove testimoniali, benché riproposte in appello e riproposte nella fase decisoria anche in sede di precisazione delle conclusioni, i cui capitoli sono stati riportati nello svolgimento del processo e ritrascritte (nella nota n. 15 -v. pagg. 19 e ss. del controricorso) nel rispetto del principio di autosufficienza; viii) con l’ottavo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2700 cod. civ. e la nullità della sentenza e del procedimento per omessa considerazione di atti pubblici, in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 cod. proc. civ.; deduce che, in relazione alla domanda proposta per le riserve e per le produzioni eseguite, gli stati di avanzamento dei lavori prodotti in primo grado erano atti pubblici, e non certificati o attestati, perché formati da pubblici ufficiali per costituire la prova dei fatti giuridicamente rilevanti dai quali derivano obblighi a carico della p.a., sicché, anche a voler valutare i SAL solo a partire dal 28 maggio del 2003 (ossia solo per il periodo non asseritamente precluso dalla transazione), le domande avrebbero dovute essere accolte e ritenute provate, in accoglimento dei motivi RAGIONE_SOCIALE proposti in appello; ix) con il nono motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, comma I e comma II , 1227 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello ingiustamente negato la rivalutazione monetaria sul credito parzialmente riconosciuto in primo grado, poiché si trattava di debito da inadempimento contrattuale, ossia di debito di valore, riferito ai meri accessori conseguenti al ritardo su tutte le cifre, e la pretesa era comunque da accogliere per intero, aggiungendo agli interessi la rivalutazione.
Il ricorso principale è infondato.
Non ricorre affatto il denunciato vizio di omessa pronuncia sul motivo di appello n. 4 (primo motivo), concernente l’inesistenza di una successione della Regione RAGIONE_SOCIALE all’ATO, atteso che la Corte di appello si è espressamente pronunciata sulla questione della suddetta successione e sulla sua immediata efficacia, in forza del disposto dell’art. 47, comma 1, l. reg. RAGIONE_SOCIALE, 29.12.2010, n. 34, intitolato ‘Regolazione unitaria del servizio idrico integrato’, che così dispone: «1. In attuazione dell’articolo 2, comma 186 bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, le funzioni di autorità d’ambito di cui all’articolo 148 del D.lgs. 152/2006, previste dagli articoli 41, 42 e 43 della legge regionale 3 ottobre 1997, n. 10, a decorrere dal 1 luglio 2011, sono esercitate, senza necessità di atti amministrativi di conferimento, dalla Regione RAGIONE_SOCIALE, che subentra nei rapporti giuridici attivi e passivi individuati con deliberazione della Giunta regionale sulla base della situazione economica e finanziaria delle attuali Autorità d’RAGIONE_SOCIALE. 2. A decorrere dal 1 luglio 2011 è pertanto istituito l’ambito RAGIONE_SOCIALE ottimale comprendente l’intera circoscrizione RAGIONE_SOCIALE regionale». Neppure ricorre la violazione dell’art. 2, comma 186-bis, l. 23.12.2009, n. 191, con riferimento alla soppressione degli A T O e al subentro della Regione nelle relative funzioni (secondo motivo). Posto che il citato art. 47 espressamente prevede che non siano necessari atti di conferimento, una volta avvenuta la cessazione delle funzioni amministrative degli ATO a decorrere dall’1.7.2011, la l. 191/2009, all’art. 2, comma 186 bis, altresì prevede: «Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorità d’ambito RAGIONE_SOCIALE di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorità d’ambito RAGIONE_SOCIALE è da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel
rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n.152 del 2006 sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge».
La normativa statale, in principalità, ma anche quella regionale sono chiare, dunque, nel disporre il subentro della Regione in tutti i rapporti già facenti capo all’ATO e nell’escludere il permanere di una qualsiasi ulteriore competenza di quest’ultimo, trattandosi di ipotesi di successione a titolo universale. L’individuazione dei rapporti – dal momento che il subentro nelle intere funzioni di autorità d’ambito avviene senza alcun atto amministrativo di conferimento – ha , pertanto, un carattere di mera ricognizione ed elencazione, soprattutto a beneficio e tutela dei terzi, come rimarcato dal P.G..
La doglianza relativa alla rappresentanza dell’ATO (terzo motivo) introduce una questione nuova, poiché la decisione di appello è incentrata sulla personalità giuridica dell’ATO e non sulla sua rappresentanza, mentre non si rinviene, nella sentenza impugnata, espresso riferimento alla problematica della carenza di poteri rappresentativi del soggetto sottoscrittore -dirigente generale STOdell’accordo bonario 29.4.2003 e della transazione 28.5.2003. E ciò in disparte il rilievo, evidenziato anche dal P.G., che l’eventuale assenza di potere rappresentativo in capo al soggetto sottoscrittore di tali accordi è stata superata dal comportamento processuale dello pseudo rappresentato ATO, il quale ha dimostrato di voler ratificare il contratto (Cass. 26871/2022; Cass.1751 /2018).
Sono infondati anche i motivi quarto e quinto, che denunciano la violazione delle norme in tema di personalità giuridica e di legittimazione dell’A.T.O. alla stipulazione di contratti, in ragione anche della dedotta impossibilità di applicare retroattivamente l’art.
148, d.lgs. 3.4.2006, n. 152. Invece, detta ultima norma ha natura definitoria ed interpretativa, sicché correttamente è stata utilizzata a supporto delle argomentazioni dalla Corte d’appello.
Sulla personalità giuridica e legittimazione a stipulare contratti, è stato autorevolmente chiarito (cfr. Corte Cost. 226/2012) che indubbiamente l’Autorità d’ambito è ente locale, secondo la definizione che ne dà l’art. 148 d.lgs. n. 152 del 2006 – e desumibile già prima dagli artt. 8 e 9 legge n. 36 del 1994, oltre che dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 -, costituito obbligatoriamente dagli enti locali e avente quale elemento costitutivo il territorio come delimitato dalla competente regione (cfr. anche Cons Stato n.1918/2010). Ne discende che l’ATO ha evidentemente personalità giuridica, e, ad ogni buon conto, anche ove volesse ritenersi che non l’avesse avuta per il periodo precedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 152/2006, la capacità dell’ente di stipulare i contratti vi sarebbe comunque stata. Infatti gli enti non riconosciuti, quelli, cioè, sprovvisti della personalità giuridica – che ha l’effetto di conferire, in relazione alla disciplina della responsabilità, l’autonomia patrimoniale perfetta -, sono comunque dotati di soggettività giuridica, costituendo soggetti autonomi vuoi sul piano sostanziale, con la conseguente capacità di contrarre, vuoi su quello processuale (Cass. 8239/2000; Cass. 10573/2002). In altre parole, come evidenziato anche dal P.G., anche qualora si dovesse ritenere che gli ATO non avessero la piena personalità giuridica prima del 2006, si tratta in ogni caso di ente locale a dimensione sovracomunale con soggettività giuridica e idoneità ad essere titolare di diritti e di obblighi, come avviene per soggetti privi di personalità giuridica, che, pacificamente, sono ritenuti capaci di assumere obbligazioni ed acquistare diritti.
Passando, ora, allo scrutinio del ricorso incidentale, dato atto, preliminarmente, che RAGIONE_SOCIALE ha provveduto entro il termine
assegnato alla rinnovazione della notifica disposta con l’ordinanza interlocutoria del 5-8-2023, il primo motivo è infondato.
Dall’esame dell’accordo bonario del 29 aprile 2003 e dell’atto, intitolato «transazione», del 28 maggio 2003, il cui tenore è riportato nel controricorso, si evince che le parti non hanno fatto riferimento alcuno alla convenzione di accollo (art. 1273 cod. civ.) e neppure alla cessione del contratto (art. 1408 cod. civ.), ma esclusivamente al «subentro» (accordo del 29 aprile 2003) e al «subingresso» dell’ATO al RAGIONE_SOCIALE, dall’1 maggio 2003, «nei rapporti giuridici e patrimoniali derivanti dal contratto di appalto stipulato con l’RAGIONE_SOCIALE in data 28 settembre 2000».
In tale contesto, non ha fondamento, al fine di sostenere la persistenza della responsabilità solidale del RAGIONE_SOCIALE, l’assunto di COGNOME secondo cui dovrebbero trovare applicazione gli strumenti contrattuali dell’accollo e della cessione del contratto, in quanto si tratta di successione tra enti (dal RAGIONE_SOCIALE all’ATO) che ha comportato il subentro – non corrispondente né all’accollo né alla cessione del contratto – dell’ATO al RAGIONE_SOCIALE, in tutti i rapporti pendenti, compreso il contratto per cui è causa, con decorrenza dall’1 maggio 2003, per effetto dell’Ordinanza commissariale n. 2466/2003. Secondo l’orientamento di questa Corte qui condiviso, in tema di soppressione di enti pubblici, la successione si attua in universum ius , e tutti i rapporti giuridici che facevano capo all’ente soppresso passano al subentrante, se la legge o l’atto amministrativo, come nella specie, che l’hanno disposta abbiano considerato il permanere delle finalità dell’ente ed il loro trasferimento ad altro soggetto, unitamente al passaggio, sia pure parziale, delle strutture e del complesso delle posizioni giuridiche facenti capo all’ente soppresso (Cass. 8377/2016; Cass. 535/2002).
5. Il secondo motivo è fondato nei limiti che si vanno ad illustrare.
La Corte d’appello ha ravvisato sussistente il carattere novativo della transazione e, in particolare, ha affermato che, dall’esame dell’accordo bonario e della transazione, era dato evincere che vi fosse una incompatibilità strutturale della nuova regolamentazione di interessi con il precedente contratto, in quanto alla res sicuramente dubia e potenzialmente litigiosa, rappresentata dalle numerose e milionarie riserve iscritte in uno con l’inadempimento dell’Ufficio del RAGIONE_SOCIALE nei pagamenti, veniva, con l’accordo transattivo, completamente abbandonato l’originario contratto d’appalto per il quale era prevista la cessazione formale, a seguito di proroga disposta con ordinanza commissariale n.2466/2003, al 31.12.2003. Secondo la ricostruzione della Corte di merito, con l’originaria stazione appaltante e con l”innesto’ di ATO, il saldo di gestione era stato puntualmente fissato per volontà concorde delle parti, atteso che era stato individuato con esattezza l’importo da corrispondere a tacitazione di ogni pretesa, presente e futura, di RAGIONE_SOCIALE per quell’appalto a quella data, ma non già per somma contabile, quanto per effetto delle reciproche concessioni; ne conseguiva, ex art. 1976 cod. civ., l’inapplicabilità della disciplina della risoluzione per inadempimento, restando assorbite le richieste relative alla declaratoria di reviviscenza degli accordi precedenti ovvero dell’originario contratto d’appalto del 28 settembre 2000 , nonché restava precluso l’esame delle riserve originariamente iscritte, per avere RAGIONE_SOCIALE espressamente rinunciato alle stesse con l’accordo transattivo.
Orbene, va premesso che, a differenza dell’attività di interpretazione del contratto, che è diretta alla ricerca della comune volontà dei contraenti e integra un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, l’attività di qualificazione giuridica è finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie e, affidandosi al metodo della sussunzione, è suscettibile di verifica in sede di legittimità non solo per ciò che attiene alla
descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti (Cass. 15603/2021). Ed, in effetti, la ricorrente si duole proprio della qualificazione della transazione del 28 maggio 2023 come novativa, sulla base dell’erroneo rilievo qualificante attribuito agli elementi di fatto, con tutte le implicazioni che ne scaturiscono.
Va osservato, al riguardo, che, affinché si abbia novazione oggettiva dell’obbligazione è necessario che siano espressamente previste, o comunque siano desumibili in modo inequivocabile, la volontà e l’effetto di estinzione dell’obbligazione pregressa, in ragione della sostituzione con un’obbligazione nuova ed incompatibile (Cass. 9347/2023). L’efficacia novativa della transazione presuppone una situazione di oggettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originato dall’accordo transattivo, in virtù della quale le obbligazioni reciprocamente assunte dalle parti devono ritenersi oggettivamente diverse da quelle preesistenti, con la conseguenza che, al di fuori dell’ipotesi in cui sussista un’espressa manifestazione di volontà delle parti in tal senso, il giudice di merito deve accertare se le parti, nel comporre l’originario rapporto litigioso, abbiano inteso o meno addivenire alla conclusione di un nuovo rapporto, costitutivo di autonome obbligazioni (Cass. 21371/2020). La novazione oggettiva si configura, invero, come un contratto estintivo e costitutivo di obbligazioni, caratterizzato dalla volontà di far sorgere un nuovo rapporto obbligatorio in sostituzione di quello precedente con nuove ed autonome situazioni giuridiche, caratterizzato dall’ animus novandi , consistente nella inequivoca intenzione delle parti di estinguere l’originaria obbligazione, sostituendola con una nuova, e dall’ aliquid novi , inteso come mutamento sostanziale dell’oggetto della prestazione o del titolo del rapporto, dovendosi invece escludere, in base al disposto dell’art. 1231 cod. civ., che la
semplice regolazione pattizia delle modalità di svolgimento della preesistente prestazione produca novazione (Cass. 27028/2022).
E’ stato altresì precisato da questa Corte, che l’atto con il quale le parti convengono la modificazione quantitativa di una precedente obbligazione ed il differimento della scadenza per il suo adempimento non costituisce una novazione e non comporta, dunque, l’estinzione dell’obbligazione originaria, restando l’atto assoggettato, per la sua natura contrattuale, alle ordinarie regole sulla validità (Cass. 15980/2010).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha esaminato congiuntamente (pag.41 della sentenza) la transazione del 28 maggio 2003 e l’accordo bonario del 29 aprile 2003, ritenendoli correttamente collegati, ma ha obliterato di dare conto e valutare -ai fini della corretta qualificazione giuridica degli atti collegati – la rilevanza in tesi qualificante da attribuire agli elementi di fatto evidenziati dalla RAGIONE_SOCIALE, con tutte le implicazioni effettuali conseguenti.
Orbene, i dati fattuali di rilevanza, ai fini di una diversa qualificazione della novazione -qualificazione, come detto, soggetta al sindacato di questa Corte – illustrati dalla ricorrente in via incidentale, vengono di seguito sinteticamente riassunti. Anzitutto le parti, sia nell’accordo bonario che nella successiva transazione, stipulati nell’aprile e nel maggio del 2003, stabilivano di «prorogare fino al 31 dicembre 2003 il contratto in essere», ossia il contratto del 28 settembre 2000; il che è già in contrasto con un accordo novativo che lasciava in vita il contratto in corso, per di più prorogandolo. Inoltre, all’art. 4 dell’accordo, l’ATO non rinunciava a tutte le riserve relative al contratto in corso, restando ferme quelle di cui alle schede riepilogative relative allo stesso contratto del 2000. All’art. 5 l’ATO accettava , poi, la gestione di ulteriori impianti che «nel periodo di vigenza del contratto», rimasto, dunque, in essere, dovessero rendersi disponibili per la gestione. Ed ancora, a ll’art. 6 le parti accordavano all’ATO alla
«scadenza del contratto di appalto di apportare modifiche ad alcune clausole contrattuali e di integrare il capitolato d’oneri relativo alla gestione del servizio». All’art. 3 della transazione le parti ridefinivano la contabilità e le modalità di calcolo. Infine, come detto, in entrambi gli atti le parti consentivano il subentro dell’ATO nel medesimo contratto del 28 settembre 2000, la cui scadenza era prorogata.
Ciò posto, la Corte di merito, ai fini della qualificazione dei suindicati accordi collegati, non si è attenuta ai principi suesposti, nell’attività di sussunzione della fattispecie, sia per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante da attribuire agli elementi di fatto accertati, richiamata la distinzione tra la fattispecie legale prevista dall’art.1230 cod. civ. e quella di cui all’art.1231 cod. civ., rientrando in quest’ultima l’ipotesi di rideterminazione e riduzione delle somme dovute, ossia quella di una «modificazione quantitativa delle precedenti obbligazioni» e delle «modalità di svolgimento» delle preesistenti prestazioni.
Resta da aggiungere che, in caso di transazione non novativa, la mancata estinzione del rapporto originario non comporta che la posizione delle parti sia regolata contemporaneamente dall’accordo originario e da quello transattivo, bensì soltanto che, all’eventuale venir meno di quest’ultimo, rivivano le pattuizioni originarie, al contrario di quanto accade, invece, quando le parti, espressamente od oggettivamente, hanno stipulato una transazione novativa, non soggetta a risoluzione per inadempimento ex art. 1976 cod. civ. (Cass. 645/2024; Cass. 24377/2006).
Pertanto al giudice del rinvio va rimesso il riesame dei fatti alla luce dei principi suesposti e, all’esito, il giudice del rinvio, ove riterrà di dover pervenire alla qualificazione della transazione come non novativa, dovrà, sia accertare se e fino a quando il contratto originario del 2000 sia rimasto in vigore, in relazione anche ai
crediti successivi alla transazione, sia pronunciarsi sulla domanda di risoluzione del contratto del 28 settembre 2000, proposta dall’appaltatrice RAGIONE_SOCIALE, come risulta dalla sentenza e dagli atti.
Al riguardo occorre ribadire che in tema di appalto di opere pubbliche, la riserva, attenendo ad una pretesa economica di matrice contrattuale, presuppone l’esistenza di un contratto valido di cui si chiede l’esecuzione, mentre, ogni qualvolta si faccia questione di invalidità del contratto e dei modi della sua estinzione, come nel caso della risoluzione per inadempimento, le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante non vanno valutate in relazione all’istituto delle riserve, ma seguono i principi di cui agli artt. 1453 e 1458 cod. civ. (Cass. 22275/2016). Il giudice di rinvio, pertanto, in caso di risoluzione del contratto, dovrà -venendo meno tutte le cennate riserve dell’appaltatore provvedere, non alla determinazione -non più possibile -del compenso, bensì alla liquidazione degli eventuali danni subiti dall’impresa .
Alla stregua delle considerazioni che precedono, d all’accoglimento del secondo motivo del ricorso incidentale, discende l’assorbimento dei motivi successivi , involgendo la doglianza accolta l’eventuale rivisitazione dell’intero rapporto originario, la sua scadenza e, se del caso, la pronuncia di risoluzione, dovendo, in quest’ultima ipotesi, il giudice del rinvio valutare le pretese derivanti dall’inadempimento della stazione appaltante in base al disposto dei citati artt. 1453 e 1458, e non in relazione all’istituto delle riserve. Occorre, altresì, precisare che le questioni assorbite, la cui decisione non dovesse più risultare superflua nel giudizio di rinvio, dovranno essere esaminate, ove riproposte, dal giudice del rinvio (Cass. 28751/2017; Cass. 14813/2023).
6. In conclusione, va rigettato il ricorso principale, va rigettato il primo motivo di ricorso incidentale, va accolto il secondo motivo del ricorso incidentale nel senso precisato, assorbiti gli altri; la
sentenza impugnata va cassata nei limiti del motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, a cui è demandata anche la statuizione sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del d.p.r. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione in via principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; rigetta il primo motivo di ricorso incidentale; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale nei sensi di cui in motivazione; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, a cui demanda anche la statuizione sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente in via principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione in via principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, lì 26 marzo 2024.