Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 24760 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 24760 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23065/2022 R.G., proposto da
NOME COGNOME , quale titolare dell’omonima ditta ; rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO (pec dichiarata: EMAIL), in virtù di procura in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del socio amministratore e legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME ; rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (pec dichiarata: EMAIL), in virtù di procura rilasciata su foglio separato, congiunto in calce al controricorso;
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Pres. COGNOME
Est. COGNOME
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza n. 528/2022 della CORTE d ‘ di CATANIA, depositata il 28 marzo 2022;
udìta la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del luglio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
APPELLO l’11
FATTI DI CAUSA
Con ricorso depositato il 21 aprile 2015, NOME COGNOME, quale titolare dell’omonima ditta, convenne la società semplice RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Catania, deducendo che:
-la Corte d’appello di Catania, con sentenza 1° giugno 2009, n. 666, in riforma di diversa statuizione del locale tribunale e in accoglimento della domanda proposta nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE, aveva dichiarato risolto per suo inadempimento il contratto con cui la predetta società gli aveva locato l’immobile sito in Catania, INDIRIZZO, per l’uso ‘officina meccanica per riparazione di autovetture e per la loro periodica revisione obbligatoria ‘ , ed aveva fissato il rilascio a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza;
in data 17 novembre 2009, prima della scadenza del termine che avrebbe legittimato la società RAGIONE_SOCIALE ad iniziare l’esecuzione forzata (1° dicembre 2009), le parti avevano stipulato una transazione, con la quale egli (conduttore soccombente) si era impegnato a non impugnare la sentenza per cassazione e la società (locatrice vittoriosa) si era impegnata a non eseguire lo sfratto sino al 30 dicembre 2010, condizionando la permanenza del conduttore al pagamento di una somma mensile pari al vecchio canone, pur stabilendosi formalmente , ‘di comune accordo’, l’inizio della normale procedura esecutiva;
questa transazione doveva ritenersi simulata nella parte in cui disponeva il mantenimento in vita della procedura esecutiva, poiché,
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Pres. COGNOME
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in realtà, la creditrice non voleva i l rilascio dell’immobile a cui la procedura esecutiva era naturalmente finalizzata;
per un verso, infatti, la detta procedura era stata iniziata, con violazione del canone di buona fede, ancor prima che maturasse la data (30 dicembre 2010) concordata per rilascio, con notifica della sentenza e del precetto già nel precedente mese di luglio, nonché dell’avviso di rilascio nel mese di agosto; per altro verso e contraddittoriamente -dalla data del primo accesso dell’ufficiale giudiziario (13 ottobre 2010) erano stati ‘concessi’ al conduttore ben dieci rinvii, sino ad arrivare alla data del 3 dicembre 2013, allorché effettivamente era stato riconsegnato il locale;
sino al 3 dicembre 2013, egli era rimasto nel possesso dell’immobile locatogli , pacificamente e concordemente con la società locatrice, ininterrottamente e senza soluzione di continuità, ed aveva regolarmente continuato a pagare i canoni di locazione, nonché a provvedere alla manutenzione ordinaria del locale;
doveva pertanto ritenersi che la RAGIONE_SOCIALE avesse rinunciato agli effetti della risoluzione per inadempimento del contratto di locazione statuiti nella citata sentenza della Corte d’ appello di Catania, mentre la condotta da essa tenuta, apparentemente esecutiva del disposto della sentenza, in realtà era finalizzata ad ottenere risultati non dovuti, impedendo il ricorso per cassazione avverso la sentenza medesima e mantenendo in vita un contratto ‘precario’ a danno del conduttore;
sia in prossimità del rilascio dell’immobile (3 dicembre 2013) che successivamente allo stesso egli aveva quindi formulato la pretesa che gli fosse pagata l’indennità di avviamento, ai sensi dell’art.34 della legge n. 392/1978, avuto riguardo alla circostanza che, sebbene avesse legittimamente confidato nella prosecuzione del contratto, aveva invece dovuto subire l’azione esecutiva della
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locatrice, andando incontro sia a perdite economiche che a mancati guadagni, a causa della cessazione repentina dell’attività, della necessità di iniziarla ex novo in altra sede più angusta e con altra ditta, del costo della reinstallazione delle attrezzature, del venir meno delle concessioni amministrative già ottenute, dello sviamento di clientela e del ridimensionamento dei propri progetti di espansione;
questa sua legittima pretesa, però, non era stata soddisfatta dalla società locatrice.
Sulla base di queste deduzioni, NOME COGNOME domandò, in via principale, che la società RAGIONE_SOCIALE fosse condannata a corrispondergli la predetta indennità, quantificata in Euro 132.832,44, oltre agli interessi di mora, nonché, in via subordinata, che la convenuta fosse condannata al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza del comportamento da essa tenuto, da liquidarsi nella somma di Euro 132.000,00 o nella diversa somma liquidata anche equitativamente.
Il Tribunale adìto, con sentenza n.4388/2020, previa reiezione di tutte le istanze istruttorie formulate da ll’attore , rigettò la domanda e la Corte d’appello di Catania, con sentenza 28 marzo 2022, n. 528, pur sulla base di una motivazione parzialmente diversa da quella del primo giudice, ha respinto l’impugnazione dell’attore soccombente, in ragione dei seguenti rilievi:
Idiversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la transazione stipulata tra le parti il 17 novembre 2009 era valida, poiché aveva ad oggetto diritti disponibili e si sottraeva, pertanto, alla sanzione di nullità stabilita dall’art. 1996, secondo comma, cod. civ.; con tale contratto, infatti, le parti si erano fatte reciproche concessioni, la locatrice concedendo il ‘rinvio’ dell’esecuzione sino al 30 dicembre 2010, il conduttore rinunciando a proporre ricorso per cassazione
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avverso la sentenza n.666/2009, posta a fondamento dell’esecuzione medesima;
IIaccertata la validità della transazione (in quanto sia il diritto all’ impugnazione, spettante al conduttore, sia il diritto a rinviare l’esecuzione , spettante alla locatrice, rientravano nella piena disponibilità delle parti), doveva altresì escludersi che essa fosse simulata nella parte in cui prevedeva il mantenimento in vita della procedura esecutiva , non potendo condividersi l’assunto secondo cui essa dissimulasse la reale volontà della società locatrice di rinunciare agli effetti della sentenza del 2009, con conseguenziale tacita rinnovazione dell’originario rapporto locativo ;
IIItale assunto, infatti, era smentito: in primo luogo, dal « chiaro ed inequivoco contenuto della transazione »; in secondo luogo, dalla circostanza, risultante dalle fatture in atti, della imputazione dei pagamenti mensili, pur corrispondenti « al canone precedentemente convenuto fra le parti », a titolo di « indennità da occupazione indebita di cui all’art. 1591 codice civile ‘ , da versarsi sino alla effettiva consegna dell’immobile ; in terzo luogo, dall ‘espressa volontà del locatore , risultante dalla documentazione in atti, « di portare ad esecuzione la sentenza di risoluzione del contratto non impugnata e di volere beneficiare dei suoi effetti », sia pure a seguito dei « ripetuti rinvii dell’esecuzione forzata concessi dal locatore su espressa e reiterata richiesta del conduttore fino all’effettivo rilascio del 3.12.2013 »;
IVd’altra parte, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (sono state citate numerose pronunce di questa Corte), la tacita rinnovazione del contratto ormai definitivamente risolto avrebbe presupposto « un comportamento univoco tenuto da entrambe le parti », dal quale fosse desumibile (al di
là
della permanenza
del conduttore
nell’
immobile
e
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dell’ accettazione dei canoni da parte del locatore, circostanze ex se irrilevanti) « la sopravvenienza di un accordo tra le parti », da cui risultasse, in particolare, ex latere locatoris , la manifestazione, anche tacita, della volontà, contraria a quella precedentemente manifestata, di rinunciare agli effetti prodotti dalla precedente intimazione, accolta con la sentenza dichiarativa della risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore, e di concludere, quindi, una novazione oggettiva della locazione;
Vtutto ciò considerato, doveva escludersi -oltre la sua ammissibilità, in quanto dedotta in violazione dell’art. 1417 cod. civ. -anche la rilevanza della invocata prova testi, richiesta in primo grado e in appello sulla circostanza, genericamente articolata, che « il legale rappr. pro tempore della società locatrice, tra il mese di dicembre del 2009 e il mese di dicembre del 2011, in varie occasioni, avrebbe riferito a COGNOME NOME di non preoccuparsi dello sfratto, che le cose si erano appianate e che il contratto d’affitto continuava come prima », trattandosi di fatti che « di per sé non appaiono adeguati e idonei a dimostrare un preciso e comune accordo simulatorio »;
VIallo stesso modo, « anche la richiesta di esibizione documentale ex art. 210 c.p.c. ribadita in appello nei confronti del Comune RAGIONE_SOCIALE Catania e del TAR di Catania » appariva « assolutamente non rilevante e conducente ai fini della decisione »;
VIIin definitiva, in considerazione del l’ « avvenuta definitiva risoluzione del contratto di locazione intercorso tra le parti per inadempimento del conduttore », quest’ultimo non avev a « alcun diritto a percepire l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale né al risarcimento di presunti e non provati danni legati al rilascio dell’immobile in esecuzione di una pronuncia giudiziaria definitiva di condanna al rilascio dello stesso ».
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Per la cassazione della sentenza della Corte catanese ricorre NOME COGNOME, sulla base di quattro motivi.
Risponde con controricorso la società semplice RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell ‘ art. 380bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Entrambe le parti hanno depositato memorie, con cui, in particolare, il ricorrente ha insistito « nell’accoglimento del primo motivo di ricorso o, in subordine, nelle successive domande formulate », mentre la controricorrente, oltre ad invocare il rigetto del ricorso e il favore delle spese, ha chiesto la condanna della controparte al « risarcimento dei danni ex art.96 cod. proc. civ., da liquidarsi d’ufficio anche equitativamente, tenuto conto della evidente responsabilità aggravata per il mancato impiego della doverosa diligenza nel reiterare il gravame anche in sede di legittimità ».
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso viene denunciata « Mancata ammissione della prova testimoniale. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. ».
Il ricorrente si duole della mancata ammissione della prova testimoniale, già vanamente richiesta in primo grado con istanza riformulata in appello.
Censura la sentenza impugnata per avere qualificato ‘generica’ la prova articolata e sostiene che essa sarebbe stata « dirimente rispetto alla reale volontà espressa dalla locatrice », nonché « già da sola idonea -a maggior ragione se posta ad ulteriore corroborazione della produzione documentale ed al comportamento successivo tenuto
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dalle parti in esecuzione dell’accordo a dimostrare che la locatrice, con l’accordo del conduttore, aveva rinunciato all’effetto risolutivo pronunciato dalla Corte d’Appello e che voleva mantenere in vita il contratto preesistente ».
Critica, inoltre, l’avvenuta « travisazione » dell’art.1417 cod. civ., « stante che il divieto ivi contenuto non può essere un limite nel caso in cui si contesti l’illiceità del negozio dissimulato (come nel nostro caso per la violazione di norme imperative sancite dalla L. n. 392/1978: art. 27 e 34) in quanto l’ordinamento non attribuisce mai tutela a questa situazione ed in questo caso viene meno il limite alla prova orale e per presunzioni ».
Sostiene che « la prova testimoniale era diretta non solo a provare l’accordo simulatorio ma anche l’esistenza della concorde volontà delle parti per realizzare la reviviscenza del contratto risoluto così riprendendo, concordemente, la sua naturale esecuzione ».
Con il secondo motivo viene denunciata «Mancata ammissione della richiesta ex art. 210 c.p.c. Omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e artt. 115, 116, 210 e 118 c.p.c. e 94 disp. Att. c.p.c. in relazione all’art. 360, n.5, c.p.c.».
Il ricorrente si duole della reiezione, con « motivazione meramente apparente », della richiesta di ordine di esibizione nei confronti del Comune di Catania e del TAR.
Sostiene che tale richiesta, avente ad oggetto i documenti relativi alla pratica di mutamento di destinazione d’uso dell’immobile locato (da officina meccanica a struttura alimentare), avrebbe consentito di dimostrare la malafede della controparte e il danno da quella arrecatogli, dal momento che, « mentre il conduttore riponeva ogni affidamento sulla prosecuzione del contratto locativo, la locatrice, a
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sua insaputa, si adoperava per affittare l’immobile a terzi, a condizioni più vantaggiose ».
2.1. I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione.
Essi sono manifestamente inammissibili per plurime ragioni.
2.1.a. con riguardo alle denunce di omissione e apparenza motivazionale giova, in premessa, ricordare che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360 n. 5 c od. proc. civ. , disposta dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità attiene all’esistenza in sé della motivazione e alla sua coerenza, e resta circoscritto alla verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. e, nel processo civile, dall’art.132 n.4 c od. proc. civ., la cui violazione -deducibile in sede di legittimità quale nullità processuale ai sensi dell’art. 360 n. 4 c od. proc. civ. -sussiste qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. Un., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; successivamente, ex multis , Cass. 12/10/2017, n. 23940; Cass. 25/09/2018, n. 22598; Cass. 03/03/2022, n. 7090).
Nella fattispecie, non solo consimili gravi lacune motivazionali non sussistono nella sentenza impugnata (atteso l’ articolato e coerente corredo argomentativo su cui essa è fondata), ma non sono state neppure correttamente dedotte con le doglianze in esame, poiché, al di là dei riferimenti di stile, contenuti nelle rubriche e nell’illustrazione
dei motivi di ricorso, alla omessa e all’apparente motivazione, nella sostanza viene criticata la non condivisa reiezione di due istanze istruttorie, la quale, lungi dall’essere immotivata, è stat a debitamente fondata dal giudice del merito -prima ancora che su un giudizio di inammissibilità , peraltro limitato alla sola prova testimoniale -su un articolato giudizio di irrilevanza delle prove dedotte.
2.1.b. Tale giudizio, secondo la motivata (e pertanto incensurabile) valutazione di merito del giudice d’appello, come si è sopra veduto, era desumibile, per un verso, in positivo, dal contenuto della transazione del 17 novembre 2009, dalla documentata imputazione dei pagamenti mensili a titolo di indennità da occupazione ex art. 1591 cod. civ. e dall’espressa volontà del locatore di portare ad esecuzione la sentenza di risoluzione del contratto emessa dalla Corte d’appello di Catania nel 2009, pur procrastinando la data del rilascio in cambio dell’impegno del conduttore di non proporre ricorso per cassazione, in conformità all’accordo transattivo concluso inter partes (circostanze, tutte, che avrebbero smentito l’assunto secondo cui la transazione dissimulasse la reale volontà della società locatrice di rinunciare agli effetti della predetta sentenza, con conseguente tacita rinnovazione dell’originario rapporto locativo ); per altro, verso, in negativo, l’irrilevanza delle prove richieste era altresì desumibile, secondo la Corte territoriale, dalla accertata mancanza, nella fattispecie, di un comportamento delle parti idoneo ad essere interpretato univocamente come manifestazione di volontà uguale e contraria a quella precedentemente dichiarata dal locatore, intesa a proseguire nel rapporto locatizio (circostanza che avrebbe escluso l’avvenuta tacita rinnovazione del rapporto medesimo).
Al cospetto di tale quadro fattuale emergente dagli atti, il giudice del merito ha coerentemente ritenuto, da un lato, che la richiesta prova testimoniale non apparisse « adeguata » e « sufficiente », in
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funzione della prova della dedotta « comune volontà simulatoria »; dall’altro lato, che la richiesta di esibizione documentale ex art. 210 cod. proc. civ. fosse « assolutamente non rilevante e conducente ai fini della decisione ».
Ciò posto, va ribadito -dando continuità ad un principio già affermato da questa Corte -che il giudizio sull’ammissione dei mezzi di prova è riservato al giudice del merito e che il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360 n. 4, cod. proc. civ., allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, mentre resta inammissibile la critica espressamente rivolta al motivato giudizio di irrilevanza , sul l’ assunto -uguale e contrario a quello motivatamente formulato dal giudice del merito -dell’ idoneità delle prove dedotte a dimostrare i fatti posti a fondamento della domanda proposta in giudizio (Cass. 06/11/2023, n. 30810).
2.1.c. La critica alla statuizione di diniego della prova testimoniale della simulazione è, inoltre, inammissibile anche nella parte in cui censura il giudizio di inammissibilità di tale prova in relazione al divieto di cui all’art. 1417 cod. civ..
Al di là della artificiosa attribuzione al contratto asseritamente simulato della patente di illiceità per violazione degli artt. 27 e 34 della legge n. 392/1978 (essendo evidente, da un lato, la contraddittorietà tra tale qualificazione e l’assunto che la transazione avrebbe dissimulato la « volontà delle parti per realizzare la reviviscenza del contratto risoluto », pacificamente lecito, nonché,
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dall’altro lato, la circostanza che la locatrice, avendo ottenuto la risoluzione di quel contratto per inadempimento del conduttore, non era vincolata da alcuna delle due norme imperative asseritamente violate), resta, comunque, che il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (v., tra le altre, Cass. 08/01/2015, n. 66; Cass. 07/03/2017, n. 5654; Cass. 17/06/2019, n. 16214).
2.1.d. Del tutto pretestuose sono, poi, le doglianze per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. ( in quanto il giudice del merito non ha deciso in base a prove disposte d’ufficio né in violazione del principio di non contestazione); dell’art.116 cod. proc. civ. (la quale sussiste, con conseguente vizio di cui all ‘ art. 360 n. 4 cod. proc. civ., solo quando il giudice di merito disattenda il principio di libera valutazione della prova in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime: Cass., Sez. Un., 30/09/2020, n. 20867; Cass. 10/06/2016, n. 11892; Cass. 19/04/2021, n. 10253; Cass. 09/06/2021, n. 16016 ); e dell’art. 2697 cod. civ. (la quale postula l’indebita attribuzione dell’onere probatorio ad una parte diversa da quella cui spetterebbe secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla distinzione tra fatti costitutivi ed eccezioni: ex multis , Cass. 29/05/2018, n. 13395 e Cass. 23/10/2018, n. 26769).
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2.1.e. Nella vicenda in esame, la Corte territoriale, sulla base della motivata valutazione delle risultanze desumibili dagli atti e della altrettanto motivata ricostruzione dei fatti, ha ritenuto non solo che non fosse stato provato il carattere relativamente simulato della transazione del 17 novembre 2009, ma anche che il comportamento delle parti fosse stato perfettamente coerente in relazione alle ‘ reciproche concessioni’ previste dal detto patto transattivo, in quanto, da un lato, il locatore, pur non rinunciando ad avvalersi degli effetti della sentenza del 2009 (e, quindi, escludendo la prosecuzione del rapporto locatizio), aveva tuttavia concesso al conduttore di procrastinare in avanti di circa un anno il termine per il rilascio (termine poi, di fatto, posticipato di ulteriori tre anni), mentre il conduttore, in cambio, aveva rinunciato a proporre il ricorso per cassazione avverso la predetta sentenza.
Tale contegno, ad avviso della Corte territoriale, aveva fedelmente inverato la manifestata intenzione di consentire al conduttore il rilascio posticipato (a fronte della sua rinuncia ad impugnare la sentenza) senza però rinunciare alla (pur ritardata) esecuzione della stessa e senza quindi alcuna volontà novativa di un rapporto ormai definitivamente risolto per l’ inadempimento del conduttore medesimo.
Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni del giudice d’ appello, i motivi di ricorso si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversi da quelli motivatamente forniti dalla Corte territoriale, omettendo di considerare che le predette attività sono riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi
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(Cass. 04/07/2017, n. 16467; Cass.23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
In definitiva, i primi due motivi vanno dichiarati inammissibili.
Con il terzo motivo viene denunciata « Omessa pronuncia su una domanda del ricorso. Nullità della sentenza impugnata. Violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. in relazione all’art. 360, n.4, c.p.c. ».
Il ricorrente si duole dell’omessa pronuncia, da parte del giudice del merito, sulla domanda subordinata con cui egli aveva chiesto che la società RAGIONE_SOCIALE fosse condannata al risarcimento dei danni da lui patiti in conseguenza del comportamento illecito da essa tenuto, da liquidarsi nella somma di Euro 132.000,00 o nella diversa somma liquidata anche equitativamente; ciò, sul presupposto che egli, pur legittimamente confidando nella prosecuzione del contratto, aveva invece dovuto subire l’azione esecutiva della locatrice, andando incontro ad un danno emergente e ad un lucro cessante derivanti dalla repentina cessazione dell’attività , dalla necessità di iniziarla ex novo in altra più angusta sede e con altra ditta, dal costo della reinstallazione delle attrezzature, dalla perdita delle concessioni amministrative, dallo sviamento di clientela e dal ridimensionamento dei progetti di espansione.
3.1. Il motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha debitamente provveduto sia sulla domanda principale sia sulla domanda subordinata, statuendo che NOME COGNOME non aveva « alcun diritto a percepire l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale né al risarcimento di presunti e non provati danni legati al rilascio dell’immobile in esecuzione di una pronuncia giudiziaria definitiva di condanna al rilascio dello stesso ».
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Tale duplice espressa statuizione, del resto, costituisce la coerente implicazione del tessuto argomentativo fondato su ll’accertamento di merito, come sopra illustrato.
Ben vero, un volta ritenuto, per un verso, il carattere non simulato della transazione del 17 novembre 2009 e, per l’altro , l’ avvenuta attuazione, nella successiva condotta del locatore, de ll’impegno -validamente ed efficacemente assunto con la transazione medesima -di consentire al conduttore il rilascio posticipato (a fronte della sua rinuncia ad impugnare la sentenza del 2009) senza però rinunciare alla (pur ritardata) esecuzione della stessa e senza quindi alcuna volontà novativa di un rapporto ormai definitivamente risolto, la Corte territoriale ha coerentemente escluso sia la dedotta condotta illecita (e il conseguente obbligo risarcitorio) della società RAGIONE_SOCIALE , sia il diritto di NOME COGNOME alla indennità per la perdita dell’avviamento di cui a ll’art. 34 della legge n. 392/1978, stante l’imputabilità al conduttore della causa di risoluzione del rapporto, costituita dal suo inadempimento.
Il terzo motivo, dunque, va rigettato.
Con il quarto motivo viene denunciata « Interpretazione del contratto. Violazione dei canoni ermeneutici da parte della Corte di merito. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1424 e 1427, in relazione agli artt. 1175 e 1337 c.c. per violazione e falsa applicazione, in relazione agli artt. 1175 e 1337 c.c. per violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1366 e 1371 c.c. e per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione agli artt. 1374 e 1375 c.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.» .
Il ricorrente deduce che la Corte d’appello avrebbe « apoditticamente male interpretato e travisato il contenuto della transazione intercorsa tra le parti », in violazione degli artt. 1362, 1366, 1367 e 1371 cod. civ..
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Reputa che, « contrariamente a quanto statuito in sentenza, il Giudice avrebbe dovuto rilevare, nella scrittura privata sottoscritta dalle parti la reviviscenza del contratto di locazione già esistente … ovvero riconoscere alla predetta scrittura la natura di nuovo contratto di locazione ovvero riconoscere il comportamento di mala fede contrattuale della parte locatrice ».
Sostiene che « comunque, a tutto voler ipotizzare, ex art. 1374, il contratto andava conservato dovendosi rispettare la reale volontà delle parti ».
4.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Al di là della perplessità della doglianza (che, nel criticare il mancato riconoscimento del comportamento di mala fede contrattuale della parte locatrice, confonde l’ interpretazione del contratto con il giudizio di inadempimento delle obbligazioni derivanti dallo stesso), va ribadito -dando continuità al pacifico e consolidato orientamento di questa Corte -che l ‘ interpretazione del contratto, traducendosi in un ‘ operazione di ricerca ed individuazione della comune volontà dei contraenti, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell ‘ art. 360 n. 5 cod. proc. civ., nella formulazione antecedente alla novella di cui al decreto-legge n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. 14/07/2016, n. 14355; v. anche, tra le altre, Cass. 22/06/2005, n. 13399).
Quale che sia la censura in concreto formulata, nessuna di esse può peraltro risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice del merito, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione atteso che, per
C.C. 11.07.2024 N. R.G. 23065/2022 Pres. RAGIONE_SOCIALE. COGNOME
sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data al contratto dal giudice del merito non deve essere l’unica possibile, né la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni ( ex multis , Cass. 02/05/2006, n. 10131; Cass.20/11/2009, n. 24539; Cass. 15/11/2017, n. 27136; Cass. 28/11/2017, n. 28319).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha plausibilmente ritenuto che con il contratto di transazione, facendosi reciproche concessioni al fine di porre fine alla loro lite, le parti si fossero validamente ed efficacemente impegnate a ritardare la (ma non a rinunciare alla) esecuzione della sentenza del 2009, in modo da procrastinare il rilascio del bene a fronte dell’omessa proposizione del ricorso per cassazione avverso la medesima sentenza, e che dunque la transazione, reale e non simulata, non celasse né la reviviscenza del contratto di locazione già esistente né un nuovo contratto di locazione.
Il giudice del merito ha dunque fornito una plausibile interpretazione del contratto, contro la quale non è consentito dolersi in sede di legittimità sol perché la parte che propone la censura aveva interesse a che fosse privilegiata una diversa interpretazione rimasta disattesa.
Le doglianze proposte dal ricorrente con il motivo di ricorso in esame sono pertanto inammissibili, in quanto esse si risolvono nella mera critica del risultato interpretativo raggiunto dalla Corte territoriale e nella non consentita contrapposizione, a quella fornita dal giudice di merito, di una diversa e più favorevole interpretazione del contratto.
4.2. Tali doglianze sono altresì manifestamente inammissibili nella parte in cui lamentano la violazione di ulteriori parametri normativi, oltre quelli riconducibili alle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362 ss. cod. civ., avuto riguardo al l’assoluta assenza di
C.C. 11.07.2024
NNUMERO_DOCUMENTO
Pres. COGNOME
Est. COGNOME
argomentazioni atte ad illustrare le ragioni tanto della dedotta violazione quanto dell’ asserita falsa applicazione.
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato.
Non sussistono i presupposti per l’invocata condanna del ricorrente ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ..
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art.13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.655,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie e agli accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione