Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1383 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1383 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 20/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14391/2023 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2050/2023 della Corte d’Appello di Roma, depositata il 21.3.2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.12.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Roma riformando la sentenza del Tribunale di Velletri, che aveva dichiarato il difetto di giurisdizione -condannò l’A zienda Sanitaria Locale Roma 6 al pagamento, in favore della società ricorrente, della somma capitale di € 51. 914,80, a titolo di saldo del corrispettivo per servizi resi agli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale negli anni dal 2010 al 2013, previo accertamento dell’illegittimità dell’applicazione, con riferimento a tali anni, della riduzione del corrispettivo che l’art. 1, comma 796, della legge n. 296 del 2006 aveva disposto, ma soltanto per gli anni dal 2007 al 2009.
Per quanto qui ancora di interesse, la Corte territoriale respinse invece la domanda della società ricorrente volta ad ottenere, sull’importo capitale, gli interessi nella misura di cui al d.lgs. n. 231 del 2002, non ravvisando nel contratto concluso tra struttura sanitaria privata e Azienda sanitaria pubblica una «transazione commerciale».
Contro la sentenza d’appello RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi.
L’Azienda Sanitaria Locale Roma 6 si è difesa con controricorso.
La ricorrente ha altresì depositato memoria illustrativa nel termine di legge anteriore alla data fissata per la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: «Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 4, e 5 del d.lgs. n. 231/2002, degli artt. 8 -bis , 8 -ter , 8 –
quater e 8 -quinquies del d.lgs. n. 502/1992 e degli artt. 4, 7, 14 e 18 della Legge Regionale Lazio n. 4/2003 -erronea applicazione del principio espresso da questa Suprema Corte nelle sentenze n. 14349/2016, n. 17341/2017, e n. 20391/2016 -violazione dell’art. 1284 c.c., comma 4 ».
La ricorrente contesta alla Corte territoriale di avere escluso l’applicabilità al rapporto tra le parti del d.lgs. n. 231 del 2002 basandosi sulla giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 26496/2020) che, invece, decidendo sul rapporto tra aziende sanitarie pubbliche e farmacie, ne aveva sottolineato la peculiarità rispetto al rapporto intercorrente tra aziende sanitarie e strutture private che erogano servizi in regime di accreditamento con il Servizio Sanitario Nazionale.
Inoltre, la società censura la decorrenza degli interessi -fissata nella sentenza dalla domanda giudiziale -sia invocando, anche a tal fine, l’applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002, sia affermando l’esistenza di un atto di messa in mora trasmesso all’Azienda sanitaria prima della domanda.
1.1. Il motivo è fondato, perché la censura trova riscontro nelle norme di diritto invocate, così come interpretate dalla giurisprudenza di legittimità.
Va infatti qui data continuità al seguente principio di diritto: « Le prestazioni sanitarie erogate ai fruitori del Servizio sanitario nazionale dalle strutture private con esso accreditate, sulla base di un contratto scritto, accessivo alla concessione che ne regola il rapporto di accreditamento, concluso dalle stesse con la pubblica amministrazione dopo l’8 agosto 2002, rientrano nella nozione di transazione commerciale di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 231 del 2002, avendo le caratteristiche di un contratto
a favore di terzo, ad esecuzione continuata, per il quale alla erogazione della prestazione in favore del privato da parte della struttura accreditata corrisponde la previsione dell’erogazione di un corrispettivo da parte dell’amministrazione pubblica.
Ne consegue che, in caso di ritardo nella erogazione del corrispettivo dovuto da parte della amministrazione obbligata, spettano alle strutture private accreditate gli interessi legali di mora ex art. 5 del d.lgs. n. 231 del 2002 » (Cass. S.U. n. 35092/2023, alla cui motivazione si rinvia ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.; conf. Cass. n. 29472/2024).
Non è in discussione che le prestazioni siano state erogate da RAGIONE_SOCIALE in esecuzione di un contratto scritto concluso dopo l’8.8.2002 (art. 11 d.lgs. n. 231 del 2002) e che, quindi, debba trovare applicazione, nel caso di specie, il citato principio di diritto.
L’errore commesso dalla Corte territoriale è stato quello di applicare, invece, il diverso principio di diritto che vale per il rapporto tra le aziende sanitarie e le farmacie, che non è regolato da un contratto stipulato tra la singola azienda sanitaria e la singola farmacia (Cass. S.U. n. 26496/2020).
Non è in contrasto con questo orientamento la decisione citata nel controricorso, in modo fallace, a supporto della tesi sostenuta dall’Azienda sanitaria (Cass. n. 17591/2018). Infatti, anche in quel precedente l’aspetto dirimente non è stato il carattere provvisorio o definitivo dell’accreditamento della struttura privata (aspetto, del resto, neppure menzionato nella sentenza qui impugnata), ma pr oprio l’esistenza o meno di « una specifica convenzione stipulata tra la struttura privata e la ASL di riferimento ». E quanto venne ivi affermato era perfettamente
in linea con quello che era già stato in precedenza stabilito in altri provvedimenti di questa Corte (Cass. nn. 17341/2017; 20391/2016; 14349/2016; conf., successivamente, Cass. n. 17665/2019).
L’affermata applicabilità del d.lgs. n. 231 del 2002 comporta la necessità di rivedere, non solo il tasso, ma anche la decorrenza degli interessi, ponendo quel decreto legislativo una specifica disciplina anche sotto questo profilo (art. 4).
L’accoglimento de l primo motivo di ricorso principale determina l’assorbimento de l secondo («Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., comma 2»), che riguarda la decisione sulle spese legali, la quale decade per effetto della cassazione della sentenza e dovrà essere necessariamente riconsiderata in esito al giudizio di rinvio.
In definitiva, accolto il primo motivo del ricorso principale e assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità, attenendosi al principio di diritto sopra riportato, già sancito in Cass. S.U. n. 35092/2023.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Roma, perché decida, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del