Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1772 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 1772 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 19968/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 544/2019 depositata il 28/05/2018.
Udita la relazione svolta nell ‘udienza del 03/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Udite le osservazioni del P.M., il Sostituto P.G. NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’AVV_NOTAIO per il ricorrente .
FATTI DI CAUSA
La controversia riguarda una compravendita del 2006 di un fondo agricolo gravato da un vincolo di non edificabilità e di 12 titoli PAC (della Politica Agricola Comune dell’Unione europea), che vede come parti NOME COGNOME (acquirente) e NOME e NOME COGNOME (venditori). Il corrispettivo è di € 135.000 . COGNOME versava € 100.000 all’atto e si impegna va a saldare € 35.000 entro 10 giorni dalla cancellazione del vincolo di inedificabilità, di cui i COGNOME dovevano provocare la rimozione « nel più breve tempo possibile ». A seguito di inadempimenti imputati a questi ultimi, tra cui il ritardo nella cancellazione del vincolo e la mancata consegna dei titoli concordati, COGNOME rifiutava di versare il saldo. Nel 2009, i COGNOME ottenevano un decreto ingiuntivo per il pagamento. COGNOME proponeva opposizione al decreto, sostenendo che gli inadempimenti dei COGNOME giustificavano la risoluzione del contratto e richiedendo il risarcimento dei danni subiti, consistenti nell’impossibilità di ampliare l’attività agricola e nella perdita di benefici e conomici derivanti dai titoli PAC. Il Tribunale di Verona respingeva l’opposizione, ritenendo che i COGNOME avessero adempiuto diligentemente alle obbligazioni contrattuali, in particolare che eventuali ritardi nella cancellazione del vincolo fossero imputabili alla pubblica amministrazione e che non sussistesse l’inadempimento in relazione ai titoli PAC. La Corte di appello di Venezia rigetta l’appello confermando la sentenza impugnata.
Ricorre in cassazione il compratore con sei motivi, illustrati da memoria. Resistono i venditori con controricorso e memoria. La Procura Generale ha depositato osservazioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Il primo motivo, p. 17, denuncia violazione dell’art. 111 co. 6 Cost. e degli artt. 112 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c., lamentando che la decisione impugnata presenti una motivazione per relationem priva di autonoma valutazione critica. Si denuncia che la Corte di appello si sia limitata a riprendere il contenuto della sentenza di primo grado, senza fornire specifiche motivazioni sulla conferma della pronuncia impugnata né sui motivi di gravame esposti dall’appellante.
La parte censurata della sentenza è la seguente: « Il Tribunale ha rilevato che i signori COGNOME avevano posto in essere una significativa ed esatta attività diretta a richiedere e ad ottenere l’atto amministrativo di autorizzazione alla cancellazione del vincolo, che era stato poi rilasciato dall’amministrazione. È infatti risultato, come ha correttamente evidenziato il Tribunale, che gli appellati avevano posto in essere tutte le attività necessarie per ottenere la cancellazione del vincolo di non edificabilità e avevano stipulato un atto di trasferimento e costituzione di vincolo non aedificandi dal fondo oggetto di causa ad altro terreno di proprietà di terzi, ossia dei signori NOME COGNOME e NOME COGNOME, liberando il fondo oggetto della compravendita, secondo quanto pattuito con l’opponente. Il Tribunale ha pertanto accertato che gli attuali appellati avevano posto in essere ogni attività necessaria ad ottenere dal Comune l’autorizzazione per la cancellazione, che avevano ottenuto entro i tempi resisi necessari con riferimento all’accoglimento delle istanze da essi presentate senza indugio successivamente alla stipulazione del contratto. Il Tribunale, con ragionamento logico e coerente, ha tratto conferma della tempestiva presentazione della istanza di cancellazione del vincolo da parte degli appellati dalla circostanza che tra l’atto notarile di trasferimento del vincolo su altro fondo e la presentazione dell’istanza in Comune erano trascorsi tredici giorni e tra la determinazione n. 688 del 05.12.2008 del Comune di Oppeano e l’atto di cancellazione del vincolo erano trascorsi circa due mesi.
Il tempo trascorso successivamente al perfezionamento di tali atti, peraltro senza che mai l’appellante avesse, in tutto il periodo, sollecitato la definizione della pratica, era esclusivamente dipeso da fatto del Comune non addebitabile agli appellati». Quanto all’impegno di provocare la rimozione del vincolo di inedificabilità « nel più breve tempo possibile », la Corte ritiene che esso costituisca « in re ipsa un termine non perentorio ma sollecitatorio, avendo evidentemente le parti tenuto conto della imprevedibilità dei tempi necessari per la conclusione del procedimento amministrativo di cancellazione del vincolo. Del resto, qualora le parti avessero voluto inserire un termine essenziale, avrebbero certamente potuto indicare una data precisa» . Infine, la Corte osserva che « l’appellante ha dedotto l’inadempimento degli appellati soltanto a seguito della pretesa da parte degli stessi del saldo del prezzo, pur senza mai in precedenza avere sollevato questioni in relazione all’inadempimento o al ritardo nell’adempimento degli stessi ».
Nel dettaglio le censure del ricorrente si articolano nei termini seguenti. Il difetto di specifiche motivazioni sulla conferma della pronuncia impugnata e sui motivi di gravame esposti dall’appellante risulta evidente, poiché il giudice di appello ha attribuito al compratore appellante una deduzione interpretativa che quest’ultimo non aveva in realtà formulato, riguardante l’assenza di responsabilità contrattuale nei contratti a prestazioni corrispettive qualora l’adempimento sia subordinato al conseguimento di un provvedimento amministrativo. In realtà, l’appellante aveva specificamente dedotto l’inadempimento dei venditori appellati nell’eseguire l’obbligo di cancellazione del vincolo di inedificabilità « nel più breve tempo possibile », evidenziando che i venditori avevano tardato significativamente nell’assolvere tale obbligo. I venditori, infatti, avevano manifestato l’intenzione di cancellare il vincolo solo cinque mesi dopo la stipula, atteso sei mesi per richiedere al Comune l’aut orizzazione necessaria e trascorso ulteriori tre mesi per ottenere una rettifica dell’autorizzazione,
fino a rimanere inerti per ben 16 mesi in attesa della cancellazione, avvenuta infine solo dopo circa tre anni. Tale ritardo sarebbe stato trascurato dalla Corte di appello, che ha condiviso il giudizio del Tribunale circa la tempestività dell’adempimento. Il motivo prosegue contestando l’argomentazione della Corte di appello secondo cui il ritardo sarebbe dipeso esclusivamente da fattori amministrativi non imputabili agli appellati. Si sostiene che la Corte avrebbe dovuto valutare se tale dilazione fosse ragionevole e se gli appellati avessero fatto tutto il possibile per accelerare il procedimento, come previsto dall’art. 2 e dall’art. 2 -bis della l. n. 241/1990. Inoltre, il motivo critica l’interpretazione della Corte di appello circa l’insussistenza di u n significativo squilibrio tra le prestazioni contrattuali. Si richiama giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, ai fini della risoluzione del contratto, l’inadempimento deve compromettere in modo apprezzabile l’economia complessiva del rapporto. L a Corte, nel ritenere l’equilibrio invariato, avrebbe ignorato l’interesse dell’appellante a un tempestivo adempimento del contratto per l’ampliamento della propria attività di allevamento, impedito dalla prolungata persistenza del vincolo, e avrebbe trascurato gli atti del giudizio di primo grado, in cui gli stessi venditori avevano riconosciuto l’urgenza di tale adempimento per il compratore.
1.2. -Il motivo è infondato.
Come si può constatare dalla lettura della parte censurata riportata indietro, la sentenza impugnata ha rispettato i limiti di ammissibilità della motivazione per relationem, poiché indica in modo effettivo, resoluto e non contraddittorio le ragioni del proprio convincimento, senza che essa sia tenuta esplicitamente a confutare ogni singolo argomento cri tico prospettato dall’appellante (come invece il ricorrente mostra di ritenere necessario). Infatti, la confutazione può anche discendere dalla incompatibil ità delle censure con l’impianto logico adottato in motivazione. Il ritenere indispensabile una confutazione esplicita (uno ad uno, per così dire) urterebbe contro il
canone di efficienza sotto il profilo della proporzionalità, che implica non solo la necessità e l’idoneità dello strumento (in questo caso: della motivazione), ma anche la sobrietà (nel senso che esso non deve eccedere lo scopo da conseguire). Vi è infatti un richiamo comprensibile ai contenuti degli atti di riferimento e ai motivi di appello e si è dato vita ad una valutazione effettiva, da parte del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame. Tanto è sufficiente a superare il vaglio di legittimità.
In questo senso, in relazione alla motivazione per relationem, cfr. Cass. 2397/2021, 20883/2019. In particolare, secondo quest’ultima pronuncia: «La sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purché il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicché dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame .
Ciò trova conferma a fortiori anche da un esame della giurisprudenza relativa alla censura di violazione dell’art. 112 c.p.c. (parimenti menzionato dal ricorrente) sotto specie di omessa pronuncia sui motivi di appello: « Ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 2083/2021, con indicazione di ulteriori precedenti)
Il primo motivo è rigettato.
2. – Il secondo motivo, p. 23, denuncia omesso esame circa fatti decisivi per l’accertamento della responsabilità dei venditori, oggetto di discussione tra le parti. La Corte di appello ha limitato la propria valutazione alla sola circostanza secondo cui sarebbero intercorsi tredici giorni tra l’atto notarile di trasferimento del vincolo su altro fondo e la presentazione della relativa istanza in Comune, e due mesi tra la determinazione amministrativa del 05/12/2008 del Comune di Oppeano e l’atto di cancell azione del vincolo. Tuttavia, la Corte non ha considerato diversi fatti rilevanti dedotti in appello e non contestati: i COGNOME hanno manifestato l’intenzione di trasferire il vincolo solo cinque mesi dopo il contratto, atteso ulteriori sei mesi per richiedere l’autorizzazione comunale necessaria, e trascorso altri tre mesi per domandare una rettifica del provvedimento autorizzativo. Inoltre, sono rimasti inerti per sedici mesi in attesa che il Comune autorizzasse un proprio funzionario a presentarsi dal notaio per rilasciare l’assenso alla cancellazione del vincolo, comunicando a COGNOME l’avvenuta cancellazione solo due mesi dopo. Tale omissione ha comportato il mancato esame della complessiva dilazione di quasi tre anni per completare la cancellazione. Si trattava di elementi essenziali per accertare la responsabilità contrattuale dei resistenti.
Il secondo motivo è inammissibile.
Sul capo investito dal motivo di ricorso, ci troviamo dinanzi ad una doppia pronuncia conforme in primo e secondo grado. In tale ipotesi, ai sensi dell’art. 348 -ter co. 5 c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, co. 2 d.l. 83/2012, conv. in l. 134/2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), la parte ricorrente in cassazione, per evitare che il motivo ex art. 360, n. 5 c.p.c. sia dichiarato inammissibile (cfr. art. 348-ter, co. 5 c.p.c., nel suo
richiamo al comma precedente), deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse, nonostante che il dispositivo della sentenza di secondo grado sia di rigetto dell’appello e di conferma della sentenza di primo grado sul capo investito dal motivo di ricorso (cfr. Cass. 7724/2022).
La parte non ha adempiuto a tale onere di dimostrazione. Se si potesse prescindere da tale ragione di inammissibilità, l’esame del motivo nel merito rivelerebbe comunque il tentativo di sovrapporre l’ apprezzamento di parte de i fatti rilevanti all’accertamento espresso dalla Corte in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità.
3. – Il terzo motivo, p. 24, censura la violazione e/o falsa applicazione della disciplina sul termine di adempimento e della normativa in materia di responsabilità. Inoltre, deduce l’inadeguatezza e/o contraddittorietà della motivazione in ordine all’accertamento dell’adempimento de lle obbligazioni contrattuali e la violazione delle norme che regolano l’adempimento e la risoluzione del contratto. Il motivo denuncia violazione degli artt. 1183, 1218, 1453, 1454, 1455 e 1457 c.c., sostenendo che la Corte di appello, appiattendosi sulla motivazione del Tribunale, ha erroneamente ritenuto che il tempo trascorso per cancellare il vincolo fosse un fattore imputabile esclusivamente al Comune e, quindi, non addebitabile ai resistenti. Si contesta che la Corte non abbia verificato se il ritardo di trenta mesi fosse, almeno in parte, imputabile a difetti di diligenza da parte dei resistenti e se questi avessero fatto tutto il possibile per sollecitare l’amministrazione a completare l’atto di cancellazione. Secondo il principio espresso dall’art. 1218 c.c., il debitore, per esonerarsi dalle conseguenze dell’inadempimento, deve provare che tale inadempimento derivi da una causa non imputabile, intesa non come ogni elemento estraneo, ma solo quelli indipendenti dalla diligenza richiesta per adempiere all’obbligo. La Corte di appello ha inoltre sostenuto
che l’espressione « nel più breve tempo possibile » non indicasse un termine essenziale e ha ritenuto che l’appellante avesse lamentato l’inadempimento dei resistenti solo dopo la richiesta del saldo. Tale interpretazione integra una violazione degli artt. 1183, 1453, 1454 e 1457 c.c., in quanto la mancanza di un termine essenziale non impedisce la risoluzione del contratto per ritardo se questo si rivela grave e rilevante come statuito dalla giurisprudenza di questa Corte. La Corte di appello avrebbe pertanto dovuto valutare se il ritardo avesse superato tali limiti di tolleranza.
Del terzo motivo è da dichiarare l’inammissibilità .
Esso è caratterizzato dall’idea che: (a) si possa ottenere un accoglimento del ricorso se si prospettano come errori di diritto quelli che in realtà sono (pretesi) errori commessi nella ricostruzione e apprezzamento della situazione di fatto rilevante in causa; (b) si possa aprire la prospettiva di un terzo accertamento in fatto relativo alla stessa controversia dinanzi al giudice di rinvio, nonostante che l’apprezzamento dei fatti rilevanti compiuto nei due precedenti gradi di giudizio abbia trovato la propria espressione in una motivazione effettiva, resoluta e coerente, o comunque riducibile a coerenza attraverso l’interpretazione.
Dinanzi a censure che scaturiscono da tale impostazione, il compito di questa Corte è di verificare che il giudice di merito manifesti di aver fatto buon governo del proprio potere di apprezzamento. Ciò è accaduto nel caso di specie, come si può desumere da una rilettura dell’ampio stralcio della motivazione della sentenza di appello che si è riportato indietro, al paragrafo 1.2., rilettura che sia attenta e sorretta dalla prospettiva enunciata nel capoverso precedente. Infatti, il giudice di merito che, come nel caso attuale, fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento in una motivazione effettiva, resoluta e coerente (che rispetti quindi i canoni dettati da Cass. SU 8053/2014). Di talché egli – in
obbedienza al canone di proporzionalità di una motivazione necessaria, idonea allo scopo e adeguata – non è tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante (come quella che, nel caso attuale, rimprovera alla Corte di aver omesso di valutare se il ritardo avesse superato tali limiti di tolleranza). Sarebbe superfluo ricordare che l’esito positivo della verifica compiuta dalla Corte di cassazione non implica logicamente che essa faccia proprio l’apprezzamento, che rimane del giudice di merito anche dopo aver superato il vaglio del giudizio di legittimità (cfr. l’aggettivo possessivo «suo», impiegato in modo pregnante dall’art. 116 co. 1 c.p.c.).
Il terzo motivo è inammissibile.
4.1. Il quarto motivo denuncia l’omessa motivazione e/o motivazione apparente, lamentando altresì il mancato esame delle allegazioni difensive, degli elementi di prova prodotti e dei motivi di appello formulati dall’opponente. In particolare, esso denuncia o messa motivazione e omesso esame dei motivi di appello, in violazione degli artt. 111 co. 6 Cost., 112 e 132 co. 2 n. 4 c.p.c. La Corte di appello si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado senza specifica analisi delle allegazioni difensive e delle prove, in particolare: l’obbligo contrattuale dei resistenti riguardava i titoli PAC inerenti al fondo compravenduto, e non titoli diversi; l’offerta di altri titoli rappresentava una nuova proposta che la parte ricorrente poteva legittimamente rifiutare; tali titoli non erano stati identificati né dimostrati nella disponibilità dei resistenti; i titoli PAC non possono considerarsi beni fungibili secondo gli artt. 44 e 46 del Regolamento (CE) n. 1782/2003. Inoltre, il contratto comprendeva due oggetti distinti, il fondo e i titoli PAC, il cui trasferimento era previsto come prestazione autonoma e non come qualità accessoria del fondo, pertanto, anche un eventuale adempimento parziale non giustificherebbe l’omessa consegna dei titoli.
Il quinto motivo rileva la violazione della disciplina sulla risoluzione del contratto e della normativa europea sul trasferimento dei diritti all’aiuto, ritenendo che la sentenza impugnata non abbia considerato correttamente tali profili. In particolare, il motivo denuncia violazione degli artt. 1218, 1219, 1453, 1455 e 1460 c.c. e degli artt. 44 e 46 del Regolamento (CE) n. 1782/2003. La Corte di appello ha erroneamente affermato che l’inadempimento dei resistenti non fosse configurabile, in quanto la consegna dei titoli PAC è stata subordinata al pagamento del saldo. Tale affermazione contrasta con il principio per cui il rifiuto del debitore di adempiere, manifestato prima della scadenza dell’obbligo, equivale a inadempimento e giustifica la risoluzione del contratto. La Corte ha inoltre considerato i titoli PAC come beni fungibili, trascurando le specifiche limitazioni imposte dagli artt. 44 e 46 del Regolamento comunitario, secondo cui il trasferimento senza fondo implica requisiti aggiuntivi per il cessionario, tra c ui il possesso di terreni «ammissibili». Pertanto, l’offerta di titoli diversi da quelli contrattuali non garantiva le medesime condizioni, richiedendo alla parte ricorrente la ricerca di ulteriori terreni. La Corte ha infine violato gli artt. 1455 e 1460 c.c., omettendo di rilevare che la mancata consegna dei titoli costituisce un inadempimento grave e di primaria importanza, tale da giustificare il rifiuto della controprestazione e fondare la risoluzione del contratto.
4.2. – Il quarto e il quinto motivo sono suscettibili di esame congiunto perché sono accomunati dal profilo saliente, che attiene alla fungibilità tra titoli PAC «con terra» e titoli PAC «senza terra».
Essi sono fondati.
Dapprima, vi è da ribadire il principio secondo cui: « Il rifiuto del debitore di adempiere la sua prestazione, manifestato prima della scadenza dell’obbligazione, equivale a inadempimento e dà luogo alla risoluzione del contratto a norma dell’art. 1453 c.c. » (così, Cass. 9367/2001).
Come sempre, ma specialmente di fronte a un principio giurisprudenziale che, come questo, si presenta con tratti di particolare astrattezza, la portata precettiva della massima deve rischiararsi e costantemente vivificarsi alla luce del caso concreto che di volta in volta ne sollecita l’elaborazione e l’applicazione. È evidente che non ogni rifiuto anticipato di adempiere può qualificarsi come inadempimento. Per giustificare la risoluzione del contratto, il rifiuto ha da essere serio, definitivo e inequivocabile. Il giudice dovrà valutare caso per caso la gravità del rifiuto e il suo impatto sull’economia complessiva del rapporto contrattuale, in linea con il criterio dell’importanza dell’inadempimento previsto dall’art. 1455 c.c. Nel caso del 2001, si trattava del rifiuto di un promissario acquirente, che contestava infondatamente di dover pagare l’IVA relativa alla compravendita dell’immobile e che si rifiutava di prestare garanzie sul saldo. Nel caso attuale il rifiuto era determinato (a quanto risulta) dal fatto che i venditori non disponevano dei titoli PAC con terra oggetto del contratto e pre senta quindi i tratti che giustificano l’applicazione del principio.
Passando al tema della fungibilità/infungibilità tra titoli PAC «con terra» e titoli PAC «senza terra» secondo gli artt. 44 e 46 del Regolamento (CE) n. 1782/2003 richiamati in ricorso (ma sotto questo profilo la situazione non cambia con i regolamenti successivi intervenuti sulla PAC, il più recente dei quali è il Reg. UE 2024/1468), esso richiede di essere trattato riepilogando alcuni fatti di rilevanza normativa. A differenza dei vecchi regimi di aiuto, che incentivavano la produzione specifica (ad esempio, più grano si coltivava, più contributi si otteneva), con i titoli PAC il requisito principale è la disponibilità di superfici agricole ammissibili su cui «attivare» i titoli, senza l’obbligo di produrre una data coltura o di raggiungere una determinata resa. Ciò ha l’obiettivo di rendere più neutrale il sostegno pubblico nei confronti delle scelte produttive degli agricoltori, favorendo una loro maggiore libertà nell’adattare le coltivazioni e le attività alle
condizioni di mercato, alle esigenze ambientali, alla rotazione delle colture ed evitando distorsioni del mercato e surplus produttivi legati a incentivi ad aumentare la produzione solo per ottenere maggiori aiuti. Tale regime disaccoppiato dalla produzione di uno specifico bene lascia all’agricoltore la decisione su cosa produrre, senza che l’aiuto pubblico vari a seconda della scelta, purché rispetti le condizioni di base legate alle buone pratiche agricole, alla manutenzione del suolo e alle norme ambientali.
Orbene, il trasferimento dei titoli PAC può certamente avvenire con o senza terra (art. 46 co. 2 reg. CE 1782/2003: « I diritti all’aiuto possono essere trasferiti a titolo oneroso o mediante qualsiasi altro trasferimento definitivo con o senza terra ); un agricoltore può così cedere i propri titoli a un altro soggetto, trasferendoli separatamente dal fondo; ciò implica che i titoli PAC, considerati in sé stessi, sono entità negoziabili anche senza corrispondente cessione del terreno. Un corollario di ciò si rinviene in una recente pronuncia di questa Corte che ha statuito la pignorabilità autonoma di tali titoli (cfr. Cass. 26115/2021, secondo la quale i titoli PAC « non costituiscono né pertinenze, né accessori, né frutti dei terreni in funzione dei quali sono riconosciuti e devono, pertanto, essere oggetto di pignoramento autonomo rispetto a quello di tali terreni, con vincolo soggetto, in ogni caso, a iscrizione nel registro AGEA. ai fini dell’opponibilità a terzi »).
Tuttavia, la fungibilità dei titoli PAC senza terra con i titoli PAC con terra è limitata incisivamente (anche alla luce di ciò che si è detto nell’introdurre il tema ) dalla necessità di avere una superficie agricola per attivarli e non perdere i titoli non utilizzati (poiché i titoli non attivati per un certo periodo possono decadere o ridurre il loro valore, in base alla normativa vigente). In tale ottica, sebbene esista un mercato dei titoli PAC senza terra che li rende trasferibili come diritti autonomi, la funzione effettiva di tali titoli e il loro valore economico non sono fungibili rispetto a titoli PAC dotati contestualmente della terra necessaria. In altri termini, un pacchetto «titoli+terra» è
immediatamente produttivo di aiuto (cfr. art. 44 co. 1 reg. CE 1782/2003: Ogni diritto all’aiuto, abbinato ad un ettaro ammissibile, conferisce il diritto al pagamento dell’importo fissato ), mentre i soli titoli senza la terra richiedono necessariamente di essere combinati successivamente con superfici ammissibili per concretizzare il diritto all’aiuto .
Ne segue che, nel caso attuale, ai fini del giudizio sull’adempimento da parte dei venditori, ha errato la Corte di appello nel sostenere che: « a norma dell’art. 46 reg. CE 1782/2003», i titoli PAC «possono essere trasferiti, con o senza terra, in via definitiva, trattandosi di beni fungibili che si concretano nel diritto di percepire aiuti comunitari in denaro ».
Il quarto ed il quinto motivo sono accolti.
Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 111 co. 6 Cost., art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. (omessa motivazione e/o motivazione apparente) e omesso esame di fatti decisivi, con mancato esame dei motivi di appello e dei documenti prodotti. In particolare, riguardo alla domanda di risarcimento del danno, si censura che la Corte di appello abbia assorbito tale domanda nella conferma della sentenza, omettendo un esame adeguato delle allegazioni difensive e delle prove presentate.
La necessità, conseguente all’accoglimento del quarto e del quinto motivo, di rinnovare in sede di rinvio il giudizio sull’adempimento da parte dei venditori determina l’assorbimento del sesto motivo.
– La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo, dichiara assorbito il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto e il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo, dichiara assorbito il sesto motivo,
cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 03/12/2024.