Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1849 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1849 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7796/2022 R.G. proposto da
COGNOME domicilio digitale presso PEC EMAIL nonché EMAIL, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME e COGNOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE legale rappresentante pro tempore
, in persona del ed elettivamente domiciliata in
Oggetto: bancari garanzia
Contratti
–
Lettere di
R.G.N. 7796/2022
Ud. 08/01/2025 CC
ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
e contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO ROMA n. 235/2022 depositata il 14/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 08/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 235/2022, pubblicata in data 14 gennaio 2022, la Corte d’appello di Roma, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia della RAGIONE_SOCIALE -chiamata in causa ex art. 331 c.p.c. -ha respinto l’appello proposto da COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 7609/2018, pubblicata in data 12 aprile 2018.
Quest’ultima, a propria volta, aveva accolto l’opposizione proposta da BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. avverso il decreto ingiuntivo n. 27862/2015 emesso dal Tribunale di Roma in data 3 dicembre 2015 a favore di COGNOME il quale aveva agito in sede monitoria al fine di ottenere il pagamento della somma € 3.000.000,00, assumendo che la Banca ingiunta aveva rilasciato garanzia nei confronti della società di diritto straniero RAGIONE_SOCIALE per l’adempimento di detto importo mediante la sottosc rizione di quattro lettere di garanzia.
Come riferito più in dettaglio nel ricorso presentato da COGNOME a questa Corte, la società RAGIONE_SOCIALE aveva rilasciato a favore della RAGIONE_SOCIALE quattro titoli cambiari, i quali erano stati accettati dalla BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A. con lettera di attestazione per ciascuna cambiale, ma che successivamente non erano stati onorati dalla Banca, nonostante la regolare presentazione.
La Corte capitolina, nel disattendere il gravame ha ritenuto di richiamare e condividere integralmente le ragioni che avevano indotto il giudice di prime cure a ritenere insussistente -come dedotto dalla Banca -una adeguata prova della titolarità del lato attivo dell’obbligazione in capo allo stesso COGNOME
Rammentato che l’appellante agiva in giudizio fondando la propria legittimazione sulla circostanza di essere stato azionista della società RAGIONE_SOCIALE -posta in liquidazione e cancellata – e di essere succeduto ad essa in tutti diritti come da dichiarazione resa dal liquidatore della società, la Corte territoriale ha fatto proprio il giudizio, già espresso dal giudice di prime cure, in ordine alla contraddittorietà ed insufficienza della documentazione prodotta dall’appellante a sostegno della propria domanda, escludendo, pertanto, che vi fosse prova della sua qualità di ex socio della società.
Ulteriormente, la Corte d’appello ha escluso che l’appellante potesse invocare a proprio favore una legittimazione cartolare derivante dal possesso materiale dei titoli azionati, non recando i medesimi una serie continua di girate.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
È rimasta intimata la società RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, testualmente, la ‘Nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4) c.p.c., rigetto per relationem in applicazione del principio della ragione più liquida, error in procedendo, ex art. 12 preleggi c.c., in combinato disposto con gli artt. 100, 112 e 115 c.p.c., con riferimento all’eccezione sollevata dall’opponente Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., al comportamento processuale spiegato dalla Banca ed alla mancata contestazione degli allegati versati dal COGNOME, in sede di ricorso ex art. 633 c.p.c. e di costituzione in opposizione a decreto ingiuntivo.’
Assume il ricorrente che sia il giudice di prime cure sia la Corte territoriale sarebbero incorsi in un ‘errore interpretativo’, ‘avendo entrambi travisato l’eccezione della Banca MPS che è sempre stata di solo ‘difetto di legittimazione attiva’ ex art. 81 cpc. con quello applicato dai giudici e non rilevato da controparte previsto dall’art. 100 cpc di ‘interesse ad agire’ comportan do così una violazione ex art. 112 cpc per ‘difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato’, nonché non avendo la Corte d’ appello verificato come tutta la documentazione prodotta dal socio azionista COGNOME non fosse stata mai specificatamente contestata dalla difesa di Banca MPS’ .
Deduce, in particolare, che l’odierna controricorrente non avrebbe mai proceduto alla contestazione dei documenti allegati a
supporto della domanda azionata in via monitoria, ma si sarebbe limitata ad eccepire il vizio di legittimazione attiva ex art. 81 c.p.c. -‘assumendo un fatto estintivo ossia la cancellazione dal registro delle imprese della Passadena N.V., così deducendo l’impossibilità di qual si voglia fenomeno successorio in capo agli azionisti alla cancellazione della società dal registro delle imprese, per cui ha mosso una eccezione in senso stretto’ – senza invece contestare la titolarità attiva del ricorrente, ovvero la sua qualità di socio, mancata contestazione che, tuttavia, la Corte territoriale avrebbe omesso di valorizzare ex art. 115 c.p.c.
Il ricorrente, infine, censura la valutazione della documentazione operata dalla Corte territoriale, evidenziando che la medesima, formata secondo il diritto olandese e redatta in parte da un Notaio, veniva a costituire piena prova della sua pretesa.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, testualmente, la ‘Violazione dell’art. 345 c.p.c., error in procedendo, in relazione all’art. 360, n. 1 e 4 c.p.c., con riferimento all’ordinanza istruttoria di rigetto del 30.10.2018 di produzione documentale afferente alla verbale sit GDF del 30.05.2017 di COGNOME NOMECOGNOME (responsabile RAGIONE_SOCIALE interna) atto proveniente dall’indagine penale scaturita a seguito della denuncia del Ricorrente, nella disponibilità del Riggio, soltanto prima de ll’udienza della precisazione delle conclusioni, istanza proposta a verbale udienza di primo grado del 18 maggio 2018.’ .
Il ricorrente censura l’ordinanza istruttoria assunta dalla Corte capitolina in data 30 ottobre 2018, la quale ha respinto l’istanza di produzione di un verbale di sommarie informazioni rese in sede penale dal Responsabile Vigilanza Centro Italia dell’odie rna controricorrente, motivando la decisione con l’assenza di uno specifico motivo di gravame avverso la motivazione con cui il giudice di prime cure aveva,
a propria volta, respinto l’istanza di deposito poiché non riferita a documentazione sopravvenuta ed osservando che sarebbe stato onere dell’odierno ricorrente produrli in allegato all’atto di impugnazione.
Deduce, in contrario, che la produzione in questione doveva ritenersi ammissibile ex art. 345 c.p.c. in quanto indispensabile ai fini della decisione.
Il primo motivo di ricorso, nei molteplici profili da esso dedotti, è in parte infondato in parte inammissibile.
2.1. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 132, n. 4), c.p.c. , occorre rammentare che questa Corte ha reiteratamente affermato il principio per cui la validità della sentenza la cui motivazione sia redatta per relationem presuppone che la motivazione stessa resti autosufficiente, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica, mentre deve ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., la sentenza che si limiti alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti, così rendendo impossibile l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 459 del 10/01/2022).
Se, infatti, al giudice di appello non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive -sicché lo stesso ben può aderire alla motivazione della statuizione impugnata ove la condivida, senza necessità di ripeterne tutti gli argomenti o di rinvenirne altri- è tuttavia vero che la condivisione della motivazione deve comunque essere raggiunta attraverso una autonoma valutazione critica, che deve
emergere, sia pure in modo sintetico, dal testo della decisione (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018; Cass. Sez. 6 – Ordinanza n. 15884 del 26/06/2017; Sez. 6 – 5 Ordinanza n. 5209 del 06/03/2018), mentre risulta viziata la decisione con cui il giudice si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. Sez. L Ordinanza n. 28139 del 05/11/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14786 del 19/07/2016).
Nel caso in esame, tuttavia, non può ritenersi che la motivazione della Corte territoriale si sia limitata ad un mero richiamo acritico per relationem alle valutazioni del giudice di prime cure.
Invero , nell’operare detto richiamo, la Corte territoriale non ha espresso un’acritica ed immotivata adesione, ma ha proceduto ad un autonomo vaglio della decisione di primo grado, operando altresì una distinta individuazione e valutazione dei motivi di gravame, singolarmente e dettagliatamente esaminati nel corpo della motivazione.
La motivazione della Corte territoriale, quindi, conserva appieno il carattere dell’autosufficienza, tale da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica, e non può di conseguenza ritenersi affetta dal vizio denunciato.
2.2. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c ., rammenta in primo luogo questa Corte che la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2951 del 16/02/2016) ancorché non oggetto di contestazione dall’altra parte (Cass. Sez. L Ordinanza n. 23721 del 01/09/2021).
Da tali principi, quindi, deriva che non può porsi un profilo di violazione dell’art. 112 c.p.c. nel momento in cui il giudice del merito proceda a tale rilievo e dovendosi ulteriormente osservare -per completezza -che il tema era stato in realtà sollevato sin dal primo grado di giudizio e fatto oggetto di discussione in appello, risultando in tal modo anche pienamente rispettato il contraddittorio.
Occorre, poi, osservare che le difese dell’odierna controricorrente , per come ricostruite nello stesso ricorso, avevano investito in primo luogo l’assenza di adeguata prova di un titolo successorio nel diritto controverso in capo all’odierno ricorrente, e cioè un profilo che riflette un’eccezione di merito sulla spettanza del diritto – la cui prova gravava sull’istante -avendo quindi la Corte d’appello proceduto alla corretta qualificazione delle difese della controricorrente (Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 32814 del 27/11/2023).
2.3. Quanto alle deduzioni del ricorrente in ordine alla non contestazione dei documenti ed alla loro valenza probatoria, le stesse appaiono inammissibili.
In primo luogo, infatti, si deve riscontrare il mancato rispetto del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., dal momento che il ricorrente non ha provveduto né alla riproduzione né all’adeguata localizzazione delle difese della banca dalle quali si sarebbe dovuta desumere la non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda.
In secondo luogo, si deve rilevare che la decisione impugnata ha proceduto all’esame de i documenti prodotti dal ricorrente, ritenendoli tuttavia inadeguati a costituire adeguata prova delle pretese del medesimo, con valutazione riservata al giudice di merito e non sindacabile nella presente sede di legittimità.
Le contestazioni del ricorrente sul punto, quindi, si traducono nel tentativo di sindacare la valutazione dei documenti operata dal giudice di prime cure e fatta propria dalla Corte d’appello.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Quanto alle censure riferite alla valutazione della documentazione notarile, si deve osservare che -contrariamente a quanto il ricorrente sembra opinare -la decisione impugnata non ha negato valore alle attestazioni notarili straniere ma ha riscontrato discrasie tra i documenti medesimi e le allegazioni dello stesso ricorrente, giungendo, quindi a concludere nel senso della insufficienza probatoria della documentazione notarile medesima, senza ad essa negare il rango di certificazione.
Le censure del ricorrente sul tema, quindi, non colgono la ratio decidendi effettiva della sentenza, venendo peraltro inammissibilmente riferite agli artt. 110 e 112 c.p.c.
Il secondo motivo è inammissibile
In primo luogo, lo stesso risulta del tutto carente di specificità ex art. 366 c.p.c. in quanto omette sia di riprodurre nei contenuti essenziali sia di localizzare il documento di cui si lamenta l’omessa acquisizione.
Il mancato rispetto dell’art. 366 c.p.c., pur se inteso secondo criteri di sinteticità e chiarezza, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021), vale anche ad escludere l’esercizio del potere -dovere di questa Corte di procedere all’esame diretto degli atti, in quanto è necessariamente dall’ammissibilità del motivo di ricorso discende l’esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti, indipendentemente dall’esistenza o dalla sufficienza e logicità dell’eventuale motivazione del giudice di merito sul punto (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del 01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012).
In secondo luogo -e risolutivamente -il motivo non si dirige contro la sentenza impugnata, ma contro un’ordinanza istruttoria , omettendo di cogliere l’effettiva ratio decidendi su cui si basa la decisione della Corte d’appello , la quale ha deciso la causa sulla base della ragione più liquida e cioè il profilo relativo alla titolarità del diritto tralasciando altri profili come quello cui risulta correlarsi il documento in questione.
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 18.000,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima