Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20820 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 20820 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/07/2025
SENTENZA
sul ricorso 7193-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
RAGIONE_SOCIALE DI RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
contro
ricorrente -ricorrente incidentale nonché contro
NOMECOGNOME
ricorrente principale -controricorrente incidentale avverso la sentenza n. 3655/2022 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 07/10/2022 R.G.N. 2965/2020; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Retribuzione
R.G.N. 7193/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 28/05/2025
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso principale e accoglimento del ricorso incidentale; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Il dott. NOME COGNOME premesso di essere stato assunto in RAGIONE_SOCIALE in data 1° ottobre 2005 con qualifica di dirigente e mansioni di direttore generale, con una retribuzione in parte fissa e in parte variabile, convenne l’Istituto di RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE (succeduto alla società nel rapporto di lavoro dal 1° gennaio 2016) innanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, per sentir accogliere le seguenti conclusioni: ‘Accertare e dichiarare l’illegit timità della decurtazione operata da RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE) sul compenso del dott. COGNOME per gli anni 2014 e 2015 e, per l’effetto, condannare la Società convenuta alla corresponsione a favore del dott. COGNOME dei seguenti importi: a. Anno 2014: parte fissa: 30.470,00 (270.470,00-240.000,00) parte variabile: 200.000,00 TFR non versato: 17.000,00 b. Anno 2015: parte fissa: 30.470,00 (270.470,00-240.000,00) parte variabile: 200.000,00 TFR non versato: 17.000,00; per un totale di euro 494.940,00, oltre alla regolarizzazione contributiva da versare agli organi competenti, ovvero quella maggiore o minore somma ritenuta di giustizia a seguito dell’istruttoria’.
Instaurato il contraddittorio, il giudice adito accolse integralmente la domanda.
2. La Corte di Appello di Roma, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, anche in seguito alla correzione di un errore materiale, ha dichiarato il diritto di COGNOME NOME a percepire i compensi fissi e variabili rivendicati limitatamente all’ anno 2014, con condanna dell’ISMEA al pagamento della minore somma di euro 247.470 e quella ulteriore di euro 30.470, oltre al versamento degli importi dovuti per l’incidenza sul TFR.
In estrema sintesi e per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha innanzitutto ritenuto che il tetto al trattamento economico annuo onnicomprensivo previsto dal combinato disposto degli artt. 23 bis, comma 5 ter, d. l. n. 201 del 2011, come convertito, e 2, comma 20 quinquies, d.l. n. 95 del 2012, come convertito, fissato in 240.000 euro annui dall’art. 13 del d.l. n. 66 del 2014 a decorrere dal 1° maggio 2014, si applicasse ai contratti stipulati e agli atti emanati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del secondo decreto, e cioè al 15.8.2012, con esclusione quindi del contratto del COGNOME stipulato nel 2005.
Tuttavia, ha escluso che fosse dovuta la parte variabile della retribuzione per l’anno 2015 in quanto l’inadempimento datoriale dell’obbligo di assegnare gli obiettivi, strumentale alla corresponsione del premio in esame, non era idoneo a fondare il diritto del dirigente ad ottenere direttamente il compenso non percepito, non potendo il giudice ordinario sostituirsi all’azienda nell’individuazione dei risultati richiesti nel periodo interessato. Detto inadempimento poteva risultare idoneo a fondare un’azion e di risarcimento del danno per perdita di chance , ma la domanda era da considerare inammissibile in quanto introdotta in grado di appello in luogo di quella inziale volta all’adempimento.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME, in via principale, con tre motivi; ha resistito con controricorso la società intimata, che ha formulato ricorso incidentale affidato a tre motivi. A quest’ultimo ha resistito con controricorso il COGNOME.
All’esito dell’adunanza camerale del 24 settembre 2024, il Collegio ha rinviato la causa a nuovo ruolo per la fissazione dei ricorsi in pubblica udienza.
La Procura Generale ha comunicato memoria con cui ha illustrato la richiesta di inammissibilità del ricorso principale e di accoglimento del ricorso incidentale.
Entrambe le parti hanno replicato con memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi del ricorso principale del COGNOME impugnano la statuizione della Corte romana nella parte in cui ha escluso che fosse dovuta la parte variabile della retribuzione per l’anno 2015 e possono essere come di seguito sintetizzati.
1.1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1453 c.c. in tema di adempimento delle obbligazioni, nonché violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c. in materia di interpretazione dei contratti. Si deduce che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato il contratto senza tener conto del fatto che il meccanismo di calcolo degli obiettivi e dei premi era consolidato negli anni e avrebbe dovuto essere per questo riconosciuto come comportamento concludente.
1.2. Il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 1359 c.c. in tema di avveramento della condizione, sostenendo che la Corte territoriale avrebbe errato nell’accertare la sussistenza di una condizione (l’assegnazione degli obiettivi per l’anno 2015) ma o mettendo di considerare che il mancato
avveramento della medesima era direttamente imputabile alla datrice di lavoro.
1.3. Col terzo mezzo, subordinatamente, si denuncia, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1218 c.c., eccependo che la Corte adita avrebbe ‘erroneamente interpretato e qualificato le domande azionate (sin dal pr imo grado) dal Sig. COGNOME non riconoscendo ‘la spettanze delle somme rivendicate a titolo risarcitorio come risarcimento del danno per inadempimento’.
Il ricorso principale non può trovare accoglimento.
2.1. Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
È infondato là dove lamenta la violazione dell’art. 1453 c.c., atteso che la Corte territoriale non ha affatto negato che, nei contratti con prestazioni corrispettive, quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l’altro possa richiedere l’adempimento; ha invece accertato che l’obbligo di pagare un premio variabile annuale sussisteva solo in quanto fossero stati raggiunti gli obiettivi fissati dal Business Plan della società; in mancanza di raggiungimento degli obiettivi l’obbligo non sorgeva e quindi l’azione di adempimento di un obbligo insussistente risultava infondata. La censura è invece inammissibile nella parte in cui deduce l’indistinta violazione di una pluralità di canoni ermeneutici, sostenendo che il premio variabile avrebbe dovuto essere riconosciuto per ‘comportamento concludente’.
Come noto, per giurisprudenza consolidata l’accertamento della volontà negoziale si sostanzia in un accertamento di fatto (tra molte, Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), riservato all’esclusiva competenza del giudice del merito (cfr. Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 11756 del 2006; da ultimo, conf. Cass. n. 22318 del 2023 e Cass. n. 18214 del 2024); tali valutazioni del giudice di merito in
proposito soggiacciono, nel giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente ( ex plurimis , Cass. n. 21576 del 2019; Cass. n. 20634 del 2018; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009; Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass. n. 17427 del 2003) e, nel vigore del novellato art. 360 c.p.c., di una motivazione che valichi la soglia del c.d. ‘ minimum costituzionale’.
Nella specie neanche si individua la parte dell’accordo o la clausola negoziale rispetto alle quali la Corte territoriale avrebbe violato le solo menzionate regole dell’interpretazione : in realtà, il ricorrente principale si limita a proporre una mera diversa valutazione del complessivo assetto negoziale, alternativa rispetto a quella dei giudici del merito che, del tutto plausibilmente, sulla base del testo del contratto di assunzione, hanno ritenuto che il ‘raggiungimento degli obiettivi fissati dal Business Plan ‘ costituisse ‘requisito indispensabile per il conseguimento del compenso’.
2.2. Il secondo motivo è da respingere.
La sentenza impugnata non affronta la questione dell’applicabilità dell’art. 1359 c.c. e chi ricorre non indica come e quando detta questione sia stata introdotta nel giudizio e sottoposta al contraddittorio, di talché la censura risulta inammissibile, in quanto detta questione poneva anche la necessità di accertamenti di fatto, come quelli legati all’ eventuale imputabilità per colpa del mancato avveramento della condizione.
Secondo questa Suprema Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata,
il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (cfr. Cass. SS.UU. n. 34469 del 2019), di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. SS. UU. n. 2399 del 2014; Cass. n. 2730 del 2012; Cass. n. 20518 del 2008; Cass. n. 25546 del 2006; Cass. n. 3664 del 2006; Cass. n. 6542 del 2004; Cass. n. 32084 del 2019; Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 27568 del 2017).
Inoltre, la doglianza è comunque infondata perché la finzione di avveramento di cui alla disposizione evocata non si applica alle condizioni potestative semplici o improprie né alle condizioni miste riconducibili all’elemento potestativo, né, tanto meno, alle condizioni bilaterali, visto, nella specie, l’interesse anche societario al perseguimento degli obiettivi di produttività (cfr., diffusamente, Cass. n. 27124 del 2024).
2.3. Anche il terzo motivo del gravame principale non merita condivisione.
Esso presenta pregiudiziali profili di inammissibilità perché, oltre a denunciare ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., un preteso errore di attività del giudice che avrebbe dovuto essere censurato nelle forme proprie dell’ error in procedendo per omessa pronuncia (tra le altre Cass. n. 11801 del 2013), limitandosi ad argomentare sulla violazione di legge senza fare univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione (Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013), non specifica neanche i contenuti degli atti processuali (per tutte v. Cass. n. 19410 del 2015 e giurisprudenza ivi citata)
dai quali ricavare che sin dal primo grado di giudizio era stata proposta la domanda relativa alle conseguenze risarcitorie per perdita di chance derivante dall’inadempimento datoriale per la mancata fissazione degli obiettivi aziendali.
I motivi del ricorso incidentale dell’ISMEA possono essere sintetizzati come di seguito.
3.1. Il primo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 12 Preleggi, 23 bis, comma 5 ter D.L n. 201 del 2011, 2, comma 20 quinquies D.L. 95 del 2012 e art. 13 D.L. n. 66 del 2014 (art. 360, comma 1, n. 3 Cod. Proc. Civ.)’; si critica la sentenza impugnata per aver ritenuto inapplic abile il ‘tetto stipendiale’ previsto dalle disposizioni richiamate sull’errato assunto che quel limite non sarebbe applicabile ai contratti di lavoro stipulati prima del 15 agosto 2012.
3.2. Il secondo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 Cod. Proc. Civ., art. 12 Preleggi, 23 bis, comma 5 ter D.L n. 201 del 2011, 2, comma 20 quienquies D.L. 95 del 2012 e art. 13 D.L. n. 66 del 2014 (art. 360, comma 1, n. 3 Cod. Proc. Civ.)’; si lamenta che, nell’escludere la fattispecie sostanziale dall’ambito di applicazione della disciplina richiamata, ‘la Corte non poteva limitarsi alla constatazione che il contratto del dott. COGNOME era anteriore al 15 agosto 2012, ma avrebbe dovuto anche escludere che, successivamente a tale data, fossero stati adottati ‘atti’ incidenti sul rapporto di lavoro de quo ‘.
3.3. Il terzo motivo denuncia: ‘Violazione e falsa applicazione degli artt. 1230, 1231, 1362 e ss., 2727 e ss. Cod. Civ. e artt. 115 e 416 Cod. Proc. Civ. (art. 360, comma 1, n. 3 Cod. Proc. Civ.)’; ci si duole che la Corte territoriale abbia escluso che il contratto del Bellantonio potesse ritenersi novato dopo il 15 agosto 2012 in conseguenza della comunicazione
dell’amministratore unico della società del 16.12.2014 che aveva modificato le mansioni e la durata del rapporto.
Il Collegio giudica fondato il primo motivo del ricorso incidentale dell’Istituto, secondo quanto già ritenuto da questa Corte con sentenza n. 18070 del 2025, alla quale si rinvia integralmente anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.
Con tale decisione questa Corte, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza qui impugnata, ricostruito il quadro normativo, ha affermato che l’art. 13 d.l. 24 aprile 2014, n. 66 (Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale), convertito con modificazioni dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, ha ‘una portata sostitutiva della precedente disciplina della materia tale da essere riferita a tutti i rapporti dei dipendenti e degli amministratori di società partecipate, come stabilita dall’art. 23 -bis ‘ (del d.l. n. 201 del 2011, conv. con modificazioni in l. n. 214/2011), non trattandosi ‘di una mera modifica del tetto precedente che abbia inteso mantenere ferme le eccezioni e le decorrenze precedenti, ma di una disciplina autonoma, più ampia e con effetto abrogativo delle norme precedenti incompatibili, avente una propria decorrenza a partire dall’1.5.2014, e valevole per tutti i destinatari’.
L’accoglimento della prima censura contenuta nel ricorso incidentale, assorbe le altre, da ritenersi successive dal punto di vista dell’ordine logico -giuridico delle questioni.
In conclusione, respinto il ricorso principale, deve essere accolto il primo motivo del ricorso incidentale, con assorbimento degli altri e cassazione della sentenza impugnata in relazione alla censura ritenuta fondata; il giudice del rinvio indicato in dispositivo si uniformerà a quanto statuito al punto 4 e provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente in v ia principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti gli altri; rigetta il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 28 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME
Il cons. est. Dott. NOME COGNOME