Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7389 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7389 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/03/2024
sul ricorso 5765/2020 proposto da:
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME, ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma, INDIRIZZO;
-ricorrente – contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME, e domiciliato presso quest’ultimo in Napoli, INDIRIZZO ;
-controricorrente – nonchè contro
Banca Fideuram Spa in persona del AVV_NOTAIO. NOME COGNOME, rappresentata e difesa dell’avvocato COGNOME NOME, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo, in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 4082/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 da COGNOME NOME;
Ritenuto
1.- NOME COGNOME ha ottenuto un decreto ingiuntivo, per la complessiva somma di 125.671,35 euro, nei confronti del fratello NOME COGNOME, sul presupposto di avere prestato pegno a suo favore nei confronti della Banca Fideuram, e per la necessità di evitare l’espropriazione delle cose date in pegno, avendo il fratello accumulato un saldo negativo di conto con la predetta banca.
2.- NOME COGNOME ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo, ed ha sostenuto che il fratello- che aveva ripianato il debito- non aveva azione nei suoi confronti in quanto non lo aveva avvisato della volontà di pagare il debito, privandolo cosi del diritto di opporre alla banca una serie di eccezioni (tasso degli interessi, capitalizzazione trimestrale) che avrebbero impedito a quest’ultima di pretendere il pagamento.
3.- L’opposizione al decreto ingiuntivo, estesa altresì a Banca Fideuram, è stata rigettata, e la decisione del Tribunale confermata dalla Corte di Appello di Napoli.
4.- NOME COGNOME impugna quest’ultima sentenza con quattro motivi e memoria. Hanno notificato separati controricorsi sia NOME COGNOME che la Banca Fideuram, ed entrambi hanno depositato memorie.
Considerato
La ratio della decisione impugnata.
5.- I giudici di appello hanno escluso che NOME COGNOME abbia costituito una fideiussione o comunque una garanzia personale a favore del fratello; piuttosto hanno ritenuto che egli abbia agito quale terzo datore di pegno.
Ciò premesso, hanno ritenuto che il terzo datore di pegno, in analogia con quanto previsto per il terzo datore di ipoteca, abbia azione di regresso verso il debitore, il cui debito ha garantito, ma che, non trattandosi di fideiussione, non si può applicare l’art. 1952 c.c., neanche in via analogica, essendo tale norma dettata per la garanzia personale e non estensibile a quella reale.
Comunque sia, i giudici di merito hanno altresì ritenuto che i motivi di appello non erano specifici, ossia erano privi di argomenti di sostegno rispetto a quelli contenuti nella decisione di primo grado.
I motivi di ricorso
6.- Questa ratio è contestata con quattro motivi.
7.- Il primo motivo prospetta violazione degli articoli 342 c.p.c. e 2871, 1937 e 1952 c.c.
Il ricorrente, in primo luogo, contesta la decisione impugnata nella parte in cui ha ritenuto privo di specificità il motivo di appello e deduce invece di avere illustrato tale motivo – quello sulla sussistenza di una fideiussione, e della
conseguente applicabilità dell’articolo 1952 c.c., in modo esauriente, indicando le ragioni per le quali la garanzia prestata nei suoi confronti dal fratello doveva ritenersi una fideiussione, e ciò in quanto non occorrono formule sacramentali perché quest’ultima venga stipulata. Inoltre, nell’appello era chiaramente detto che, ove anche si fosse trattato di terzo datore di pegno (e non fideiussore) si sarebbe potuto comunque applicare l’articolo 1952 c.c., in via analogica.
8.- Il secondo motivo prospetta violazione degli articoli 1952 e 2871 c.c. Il motivo è connesso al precedente.
Come si è visto, i giudici di appello hanno escluso che NOME COGNOME, ossia il fratello del ricorrente, abbia inteso prestare fideiussione a favore di quest’ultimo: piuttosto hanno ritenuto che abbia costituito un pegno a garanzia del debito del fratello.
Con la conseguenza che al terzo datore di pegno non si applica l’articolo 1952 c.c.
Il ricorrente contesta questa tesi, sostenendo che, in ben due lettere, il fratello aveva dichiarato di essersi costituito fideiussore, e questa volontà non poteva non rilevare ai fini della interpretazione dell’atto.
I due motivi attengono ad una questione comune e possono tenersi in conto insieme.
Essi sono infondati.
Innanzitutto, va ricordato che, mentre l’attività di qualificazione del contratto comporta una valutazione censurabile in cassazione, quella di interpretazione, ossia la ricostruzione della volontà delle parti, implica un accertamento in fatto, che è riservato al giudice di merito (da ultimo Cass. 15603/ 2021).
Costituisce accertamento in fatto quello volto a stabilire se NOME COGNOME abbia voluto prestare fideiussione o meno.
Ad ogni modo, la ratio della decisione impugnata è nel senso che l’espressione ‘fideiussore’ contenuta nelle due lettere di messa in mora del fratello non sono sufficienti ad indicare che di fideiussione in senso tecnico si sia trattato.
A fronte di tale ratio , il ricorrente non indica alcunché in contrario, ossia non dice perché, invece, il termine ‘fideiussore’ contenuto nelle due lettere possa bastare, e dunque non censura specificamente la decisione impugnata.
Inoltre, è pacifico che il fratello del ricorrente ha concesso, a garanzia dei debiti di quest’ultimo, un pegno su propri titoli, ed è per questo che la corte di merito ha ritenuto che una fideiussione si sarebbe potuta aggiungere alla garanzia reale se fosse stata espressa in modo esplicito, il che non è stato.
Ed il ricorrente, nel censurare questa ratio , avrebbe dovuto allegare argomenti a favore di una esplicita volontà di obbligarsi con fideiussione: le lettere di messa in mora, in cui il fratello del ricorrente fa riferimento alla fideiussione, sono, per l’appunto, lettere di messa in mora rivolte al ricorrente, e tutt’al più potrebbero avere carattere ricognitivo: non sono esse stesse l’atto costitutivo della fideiussione, che dunque deve stare altrove, e non è detto dove sia.
Ovviamente, stabilito che alcuna fideiussione è stata prestata, risulta corretta l’affermazione dei giudici di merito secondo cui l’articolo 1952 c.c., dettato, per l’appunto per la fideiussione, non si applica al pegno, se non in ragione di una espressa previsione delle parti (Cass. 4033/ 1999).
Né può prospettarsi una interpretazione estensiva, come postula il ricorrente, e senza prescindere dalla circostanza che il richiamo a questo tipo di interpretazione appare qui per la prima volta e non risulta sia stato sottoposto ai giudici di appello.
Ma è evidente che l’interpretazione estensiva consiste nel più ampio significato possibile che si può dare ai termini di una fattispecie, ed è distinta dalla interpretazione analogica che invece comporta l’applicazione di quel significato ad altra fattispecie: qui si postula, per l’appunto, che un significato (quello contenuto nell’articolo 1952 c.c.) venga non già inteso nel modo più ampio possibile relativamente alla fattispecie di cui fa parte (fideiussione), ma che venga riferito ad una diversa fattispecie, quella del pegno.
9.- Il terzo motivo prospetta violazione degli articoli 2871 e 1952 c.c.
La corte di merito aveva ritenuto superfluo l’esame delle questioni relative alla natura usuraia degli interessi, posto che, non applicandosi l’articolo 1952 c.c., il ricorrente non avrebbe potuto farli valere verso la banca.
Inoltre, i giudici di merito avevano rilevato la genericità della questione, ossia la circostanza che il ricorrente, allora appellante, non l’aveva posta in modo sufficientemente specifico, ossia non aveva indicato quale era il tasso effettivamente applicato, non aveva dato riferimenti per poter comprendere quale era stato il calcolo effettivo, e via dicendo.
Il ricorrente contesta questa seconda ratio adducendo invece di avere fornito sufficienti indicazioni.
Il motivo è inammissibile per due ragioni.
La prima è che esso contesta una sola ratio delle due utilizzate dai giudici di merito, i quali, come si è detto, hanno ritenuto superfluo l’esame del motivo di appello in conseguenza della non applicabilità dell’articolo 1952 c.c.
Avrebbe dovuto il ricorrente invece contestare questa ratio e dimostrare che una indagine sulla natura ed il calcolo degli interessi era invece necessaria e comunque non esclusa dal rigetto del motivo precedente.
Inoltre, il motivo è inammissibile in quanto, comunque, mira a contestare non già un difetto di specificità, quanto piuttosto di allegazione, ribadendo le ragioni del secondo grado, ossia ribadendo che una CTU poteva essere utile e che comunque dal contratto si evinceva quale era la pattuizione degli interessi: elementi già ritenuti insufficienti dalla corte di merito per procedere ad una indagine istruttoria.
10.- Il quarto motivo , prospetta violazione degli articoli 2871 e 1952 c.c.
Il motivo mira a contestare l’accertamento dei giudici di merito secondo cui le rimesse che il fratello del ricorrente ha fatto sul conto di costui non consistevano in adempimenti fatti nella qualità di esecutore testamentario, bensì in un prestito.
Il motivo mira a dimostrare che non si trattava di mutuo, e lo fa valorizzando in modo diverso, da quanto fatto dai giudici, parte delle risultanze istruttorie, ed in particolare quelle documentali risultanti altresì da una pregressa causa di divisione ereditaria.
Il motivo è inammissibile.
Esso mira ad una diversa valutazione delle prove rispetto a quella effettuata dai giudici di merito, che qui può essere censurata solo per difetto di motivazione:
la decisione impugnata è invece, da tale punto di vista, sufficientemente motivata.
Il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella misura di euro 6.000,00, oltre a euro 200,00 per rimborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascun controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso articolo 13.
Roma 7.12.2023
Il Presidente