Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19116 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19116 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
R.G.N. 31852/20
C.C. 20/06/2025
ORDINANZA
Vendita -Preliminare -Termine essenziale -Condizione stipula convenzione urbanistica sul ricorso (iscritto al N.R.G. 31852/2020) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), quale titolare dell’omonima ditta individuale, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che li rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in proprio e quale procuratrice generale di COGNOME NOME, in forza di atto pubblico del 6 marzo 2007, e di COGNOME NOME, in forza di atto pubblico del 30 luglio 2009, COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresentate e difese, giusta procure in calce al controricorso, dall’Avv. NOME
Rocca, con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrenti –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 1914/2020, pubblicata il 23 luglio 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, secondo periodo, c.p.c., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto ingiuntivo n. 5672/2012, depositato il 31 dicembre 2012, notificato il 9/11 gennaio 2013, il Tribunale di Padova intimava il pagamento, a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME -in solido -e a favore di RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME, della somma di euro 480.000,00, oltre interessi legali dal 31 maggio 2010 al saldo, a titolo di ripetizione: A) della somma versata quale caparra confirmatoria, pari ad euro 450.000,00, in ragione della risoluzione o dello scioglimento del contratto preliminare di vendita stipulato tra le parti il 19 settembre 2007, come integrato
con scrittura privata del 15 dicembre 2009, per il decorso del termine essenziale ovvero per l’inadempimento conseguente alla inviata diffida ad adempiere ovvero per l’intervenuto recesso dei promissari acquirenti; e B) della somma versata quale indennizzo, pari ad euro 30.000,00, per il mancato pagamento dell’ICI, che per accordo tra le parti -avrebbe dovuto essere corrisposta dai promissari acquirenti.
Con atto di citazione notificato il 18 febbraio 2013, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME spiegavano opposizione avverso l’emesso provvedimento monitorio, esponendo che alcuna somma fosse dovuta per i titoli indicati, alla stregua: A) del loro diritto -quali promittenti venditrici -a trattenere la caparra confirmatoria versata dai promissari acquirenti, per effetto del recesso da questi esercitato dal preliminare con comunicazione del 9 ottobre 2012 per il protratto inadempimento di Bama e di Barzon nel pagamento delle garanzie richieste per le opere di urbanizzazione e nell’acquisto dell’area di IRPEA, adempimenti necessari per poter addivenire alla sottoscrizione della convenzione urbanistica e alla conseguente stipulazione del contratto definitivo; e B) della non ripetibilità dell’indennizzo versato per l’inadempimento dei promissari acquirenti all’impegno assunto di far fronte al pagamento dell’ICI.
Si costituivano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME Stefano, i quali contestavano le argomentazioni poste a fondamento dell’opposizione, insistendo nel rigetto dell’opposizione e nella conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2894/2016, depositata il 21 ottobre 2016, accertato l’inadempimento dei promissari acquirenti opposti alle obbligazioni poste a loro carico dal contratto preliminare del 19 settembre 2007, come successivamente integrato, nonché la legittimità del recesso esercitato dalle promittenti venditrici opponenti, in accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e dichiarava che nulla era dovuto in favore dei promissari acquirenti, in forza dei titoli dedotti.
2. -Con atto di citazione notificato il 4 aprile 2017, la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME proponevano appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) l’erronea interpretazione della scrittura privata del 15 dicembre 2009 e l’erronea valutazione della condotta dei promissari acquirenti successiva alla scadenza del termine essenziale del 31 maggio 2010, anche in relazione all’omesso esame della domanda di risoluzione di diritto del contratto preliminare del 19 settembre 2007 e della scrittura integrat iva del 15 dicembre 2009; 2) l’erronea lettura data dal Tribunale al decreto ingiuntivo emesso, in ordine alla negazione che la causale dell’ingiunzione fosse riconducibile alla risoluzione automatica del preliminare per decorrenza del termine essenziale ovvero per la verificazione di una condizione risolutiva; 3) l’erronea affermazione della tardività delle deduzioni svolte nella memoria depositata nel giudizio di prime cure ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c., quanto all’onere di curare le pratiche amministrative volte ad ottenere l’approvazione del piano di lottizzazione; 4) la non addebitabilità ai promissari acquirenti di alcuna responsabilità in merito al completamento dell’ iter
amministrativo di competenza comunale e, in ogni caso, l’assunzione esclusivamente a carico delle promittenti alienanti -dell’impegno a consegnare la convenzione urbanistica entro il 30 marzo 2010, a fronte del mero accollo -a cura dei promissari acquirenti -dei costi necessari per la realizzazione dell’opera edilizia; 5) l’erronea esclusione dell’estensione dello scioglimento del preliminare, in ragione del recesso esercitato dalle parti appellate, alla previsione del pagamento dell’indennizzo di euro 30.000,00 a cura delle parti appellanti.
Si costituivano nel giudizio d’impugnazione COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, le quali instavano, in rito, per la declaratoria di inammissibilità dell’appello per la natura aspecifica dei motivi proposti e, nel merito, per il suo rigetto, con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Venezia, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettava l’impugnazione e, per l’effetto, confermava integralmente la pronuncia appellata.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che dalla lettura della clausola di cui all’art. 2 del contratto preliminare del 19 settembre 2007, come già ritenuto dal Tribunale, emergeva l’obbligo assunto dai promissari acquirenti di definire accordi diretti con il Comune di Ponte San Nicolò e il correlativo obbligo delle promittenti venditrici di sottoscrivere gli elaborati tecnici che sarebbero stati loro sottoposti dai promissari tramite i tecnici da essi stessi incaricati, al fine di pervenire alla sottoscrizione della convenzione
urbanistica; b ) che, inoltre, in base all’art. 4, la stipulazione del contratto definitivo doveva avvenire entro il termine di 60 giorni dalla stipulazione della convenzione urbanistica, previa approvazione dei relativi progetti, obblighi poi modificati con la successiva scrittura del 9 settembre 2008, con la quale i promissari acquirenti si erano assunti l’obbligo di pagare l’ICI sugli immobili oggetto del preliminare, con decorrenza dal 19 settembre 2008 fino alla data del contratto definitivo, in aggiunta al prezzo pattuito, e si erano altresì obbligati a completare l’acquisizione dell’area, mediante la conclusione del rogito notarile, entro e non oltre il mese di luglio 2009, mentre, con la scrittura integrativa del 15 dicembre 2009, era stato stabilito che la somma di euro 30.000,00 fosse consegnata dai promissari acquirenti a titolo di penale e non quale rimborso dell’ICI, a modifica di quanto precedentemente previsto; c ) che, con la stessa scrittura integrativa del 15 dicembre 2009, le parti avevano modificato il termine di adempimento, disponendo che, in caso di mancata comparizione davanti al notaio per la stipulazione del contratto definitivo, di ritardo o di inadempimento della parte promissaria acquirente, la caparra sarebbe stata interamente acquisita dalla parte promittente venditrice, a titolo di risarcimento del danno; d ) che dall’interpretazione letterale della scrittura integrativa del 15 dicembre 2009 risultava che le parti non avevano stabilito una condizione di efficacia del contratto, ma avevano subordinato la decorrenza del termine di adempimento del 31 maggio 2010 alla previa consegna, nei 60 giorni precedenti, della convenzione urbanistica con il Comune di Ponte San Nicolò da parte delle promittenti venditrici, con l’ulteriore
precisazione che, nell’ipotesi in cui la stipula della convenzione con il Comune non fosse intervenuta entro tale termine di 60 giorni liberi precedenti al 31 maggio 2010, ossia entro il 30 marzo 2010, non sarebbe stato operante il successivo termine di adempimento, in quanto, in mancanza della convenzione urbanistica, non si sarebbero verificate le condizioni previste nel contratto preliminare del 19 settembre 2007 per la stipulazione del contratto definitivo; e ) che non poteva ritenersi -pertanto -che, con la seconda integrazione, le parti avessero inteso introdurre una condizione sospensiva o risolutiva, ma che, al fine di assecondare le richieste dei promissari acquirenti di proroga del termine per la stipulazione del rogito, rispetto al termine fissato per il luglio 2009 con la prima integrazione, le promittenti venditrici avessero acconsentito al differimento di tale termine; f ) che la mancata sottoscrizione della convenzione entro il termine previsto nella seconda integrazione era certamente imputabile ai promissari acquirenti, avendo le parti -con il contratto preliminare del 2007, le cui statuizioni non modificate erano state espressamente fatte salve -posto a carico degli stessi l’onere di coltivare le trattative con il Comune e con gli altri enti pubblici per addivenire all’approvazione del piano di lottizzazione e alla sottoscrizione della convenzione urbanistica, dovendo le promittenti venditrici soltanto sottoscrivere, nella loro qualità di proprietarie dei terreni, gli atti da presentare al Comune; g ) che correttamente, quindi, il Tribunale aveva accertato la sussistenza dell’inadempimento dei promissari acquirenti, anche in considerazione delle dichiarazioni rese dagli appellanti, secondo le quali -prima dell’avvio dell’ iter di approvazione del piano di
lottizzazione -si erano rese necessarie indagini di mercato per la valutazione delle prospettive di vendita degli edifici che si prevedeva di costruire, dalle quali era emerso che il progetto delle opere da realizzare non incontrava i favori del mercato, sicché erano state eseguite modifiche al progetto originario; h ) che gli appellanti avevano lasciato trascorrere un periodo di 17 mesi, da settembre 2007 a febbraio 2009, per la presentazione del piano di lottizzazione al Comune di Ponte San Nicolò, nonostante le promittenti alienanti avessero sottoscritto il progetto allegato al preliminare; i ) che doveva altresì essere condivisa la tesi del Tribunale, secondo cui il termine di adempimento del 31 maggio 2010 non era essenziale, poiché, successivamente al suo spirare, i tecnici incaricati dagli appellanti avevano proseguito l’ iter di approvazione del piano di lottizzazione (approvazione avvenuta il 9 agosto 2012) e i promissari acquirenti, in data 28 aprile 2011, avevano intimato alle promittenti venditrici di addivenire alla stipula della convenzione urbanistica; l ) che da tali circostanze poteva desumersi univocamente la comune intenzione delle parti di dare esecuzione al contratto preliminare, nonostante la decorrenza del termine essenziale, avendo le promittenti alienanti provveduto, successivamente all’approvazione del piano di lottizzazione, ad intimare ai promissari acquirenti l’acquisto dell’area IRPEA, a fissare la data per la stipula del definitivo e ad intimare il versamento, in favore del Comune, delle somme e delle garanzie richieste per le opere di urbanizzazione; m ) che nel ricorso monitorio non vi era alcun riferimento all’introduzione di una condizione sospensiva o risolutiva del preliminare, in ragione dell’approvazione o della mancata approvazione della convenzione
urbanistica entro 60 giorni prima della data individuata quale termine essenziale per la stipula del definitivo, essendovi il solo richiamo alla scadenza del termine essenziale, all’invio della diffida ad adempiere e al recesso esercitato, sicché l’indagine in appello non poteva essere estesa all’accertamento della risoluzione del contratto per avveramento di una condizione risolutiva, domanda nuova inammissibile in appello; n ) che la domanda restitutoria delle somme versate, oggetto della pretesa avanzata in sede monitoria, aveva quale presupposto la risoluzione del contratto preliminare del 19 settembre 2007, come successivamente integrato, mentre la valutazione relativa all’inutile decorrenza del termine essenziale o alla risoluzione automatica costituiva accertamento di merito che non avrebbe potuto essere effettuato in tale sede; o ) che era corretta la ricostruzione del Tribunale, secondo cui -in base a quanto allegato e prodotto dalle parti -era a carico degli appellanti l’onere di curare le pratiche amministrative per l’approvazione del piano di lottizzazione e per l’ottenimento della convenzione urbanistica tramite i tecnici da essi incaricati, del cui operato avrebbero dovuto rispondere direttamente per fatto degli ausiliari; p ) che la modifica del progetto originario e il tempo trascorso prima della presentazione di un nuovo progetto costituivano un’evidente violazione del contratto preliminare del 19 settembre 2007, non modificato sul punto dalle parti, per fatto estraneo alle promittenti venditrici; q ) che, inoltre, era risultato che la lungaggine dell’ iter amministrativo era ricollegabile ad anomalie progettuali imputabili ai promissari acquirenti, in relazione alle quali il Settore uso e assetto del territorio del Comune di Ponte
San Nicolò, in data 24 agosto 2010, aveva richiesto integrazioni documentali di natura tecnica; r ) che, ai fini della realizzazione di una rotatoria, come considerata dalla delibera di adozione della variante della Giunta comunale n. 57 del 27 maggio 2011, era necessario procedere all’acquisto di una piccola area di proprietà IRPEA, per cui gli appellanti, in data 8 marzo 2010, avevano formulato una proposta vincolante all’acquisto di detta area, senza poi addivenire all’acquisto, né gli stessi appellanti avevano adempiuto agli oneri economici indicati dal Comune, consistenti nella presentazione di una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione per euro 1.774.000,00 in ordine alle opere entro l’ambito e per euro 219.551,20 in ordine alle opere fuori ambito, nonché nel versamento del primo rateo degli oneri di urbanizzazione secondaria per euro 47.350,00, come indicati nella comunicazione del 9 agosto 2012; s ) che la sussistenza dell’inadempimento dei promissari acquirenti era idonea a legittimare l’esercizio del recesso da parte delle promittenti venditrici e il diritto delle stesse a trattenere la caparra ricevuta; t ) che la somma di euro 30.000,00 versata dagli appellanti era stata pattuita a titolo di ristoro per l’inadempimento degli obblighi previsti nella prima integrazione, in quanto i promissari acquirenti, per tutto il tempo trascorso, non avevano provveduto al pagamento dell’ICI gravante sugli immobili oggetto del preliminare, pur avendone assunto espressamente l’onere, cosicché la causa concreta di tale pagamento aveva ad oggetto il pregresso rapporto rimasto inadempiuto, che le parti avevano inteso regolare in via definitiva.
3. -Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, la RAGIONE_SOCIALE e COGNOME StefanoCOGNOME
Hanno resistito, con controricorso, le intimate COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
4. -Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte, come rassegnate in epigrafe.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione al primo motivo d’appello, avente ad oggetto l’interpretazione della scrittura del 15 dicembre 2009, per avere la Corte di merito semplicemente ripetuto l’interpretazione espressa dalla sentenza di primo grado, senza dedurre nulla, né rispondere alle argomentazioni esposte in sede di appello.
Osservano gli istanti che la sentenza impugnata si sarebbe limitata a rilevare che, con la scrittura integrativa del 15 dicembre 2009, le parti non avevano stabilito una condizione di efficacia del contratto, ma avevano subordinato la decorrenza del termine di adempimento del 31 maggio 2010 alla preventiva consegna, nei 60 giorni precedenti, della convenzione urbanistica con il Comune di Ponte San Nicolò da parte delle promittenti venditrici, cosicché, nell’ipotesi in cui la stipula della convenzione con il Comune non fosse intervenuta entro il termine di 60 giorni liberi dal 31 maggio 2010, ossia entro il 30 marzo 2010, non
sarebbe stato operante il successivo termine di adempimento per difetto delle condizioni previste nel contratto preliminare del 19 settembre 2007, ai fini della stipulazione del definitivo, senza considerare il dedotto gravissimo peggioramento delle condizioni del mercato immobiliare, verificatosi nel corso degli anni 20082009 a causa della sopravvenuta crisi finanziaria internazionale, che avrebbe vanificato le prospettive di guadagno poste alla base del preliminare e che avrebbe indotto, di comune accordo, le parti a redigere la scrittura integrativa anzidetta, con la fissazione di una scadenza rigida invalicabile e con l’onere della consegna della convenzione urbanistica, valida e definitiva, entro il preciso termine pattuito, a carico delle promittenti venditrici.
Sostengono i ricorrenti che avevano evidenziato, senza alcuna disamina sul punto, che il recesso dal preliminare delle promittenti venditrici sarebbe potuto avvenire solo nell’ipotesi in cui non si fosse stipulato il definitivo, nonostante la tempestiva consegna della convenzione, e che l’effetto risolutivo non sarebbe stato condizionato all’esistenza di una colpa imputabile alle promittenti venditrici, su cui sarebbe ricaduto l’obbligo di procurare la consegna della convenzione, ma al mero dato oggettivo che non si fosse riusciti a pervenire, entro il 30 marzo 2010, alla suddetta consegna; e ciò a fronte della debita contestazione dell’inadempimento di tali promittenti alienanti, per non avere saputo procurare la consegna della convenzione nel termine pattuito, con la conseguente intimazione della comparizione davanti al notaio per la stipula del definitivo, come da raccomandata a.r. del 28 aprile 2011.
In questa prospettiva, ad avviso degli istanti, l’onere probatorio in merito ad eventuali inadempimenti avrebbe dovuto essere posto a carico delle promittenti venditrici, poiché, in forza della scrittura del 15 dicembre 2009, quest’ultime avrebbero assunto l’obbligo di procurare la consegna della convenzione urbanistica, avendo le medesime sempre sottoscritto gli atti con il Comune, senza il rilascio di alcuna procura in favore dei promissari acquirenti.
Né sarebbero stati esaminati gli argomenti addotti dagli appellanti a confutazione della negazione della natura essenziale del termine del 31 maggio 2010, con precipuo riferimento al fatto che la procedura amministrativa sarebbe stata proseguita, pur dopo la scadenza di tale termine, su sollecitazione e con la partecipazione delle proprietarie, al solo scopo di non danneggiarle inutilmente, poiché il suo abbandono avrebbe determinato gravi e irreversibili danni per la proprietà, e nella prospettiva altresì di ricercare una soluzione transattiva della vertenza, in vista dell’eventuale accettazione di una riduzione del prezzo pattuito, tenuto conto altresì che gli esponenti avevano già pagato la somma di euro 100.000,00 ai tecnici incaricati, importo che sarebbe andato perso se la procedura amministrativa si fosse estinta senza esito.
D’altronde, sarebbe stato irrilevante che i promissari acquirenti avessero presentato al Comune progetti nuovi e diversi rispetto a quelli allegati al contratto preliminare -debitamente sottoscritti dalle promittenti alienanti -e con tempi differiti, in quanto tale presentazione era avvenuta nel febbraio 2009, ben
prima che, nel dicembre successivo, fosse pattuito il predetto termine.
1.1. -Il mezzo di critica è infondato.
Infatti, per un verso, il primo motivo di gravame è stato debitamente scrutinato e, per altro verso, le relative argomentazioni esposte sono comprensibili e nient’affatto travolte da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
E ciò a supporto di due assunti: A) il primo a mente del quale la decorrenza del termine di adempimento del 31 maggio 2010 (a fronte della precedente fissazione entro il mese di luglio del 2009 con l’integrazione del 9 settembre 2008) era subordinata alla previa consegna, nei 60 giorni precedenti, della convenzione urbanistica con il Comune di Ponte San Nicolò da parte delle promittenti venditrici, con l’ulteriore precisazione che, nell’ipotesi in cui la stipula della convenzione con il Comune non fosse intervenuta entro tale termine di 60 giorni liberi precedenti al 31 maggio 2010, ossia entro il 30 marzo 2010, il termine stabilito per la conclusione del definitivo non avrebbe operato (ma non si sarebbe determinata la risoluzione del preliminare in ragione dell’avveramento di una condizione risolutiva); B) il secondo alla stregua del quale il termine del 31 maggio 2010 non era essenziale.
E questo sempre negli stretti limiti in cui la doglianza può essere esaminata, fatta esclusione di tutti i rilievi che, in realtà, mirano ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, rivalutazione preclusa in sede di legittimità (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019;
Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
1.2. -Sul primo punto, la Corte di merito ha rilevato: – che dalla lettura della clausola di cui all’art. 2 del contratto preliminare del 19 settembre 2007 emergeva l’obbligo assunto dai promissari acquirenti di definire accordi diretti con il Comune di Ponte San Nicolò e il correlativo obbligo delle promittenti venditrici di sottoscrivere gli elaborati tecnici che sarebbero stati loro sottoposti dai promissari tramite i tecnici da essi stessi incaricati, al fine di pervenire alla sottoscrizione della convenzione urbanistica; che, già in base all’art. 4 dell’originario preliminare, la stipulazione del contratto definitivo doveva avvenire entro il termine di 60 giorni dalla stipulazione della convenzione urbanistica, previa approvazione dei relativi progetti; – che, con la scrittura integrativa del 15 dicembre 2009, le parti avevano modificato il termine di adempimento, disponendo che, in caso di mancata comparizione davanti al notaio per la stipulazione del contratto definitivo, di ritardo o di inadempimento della parte promissaria acquirente, la caparra sarebbe stata interamente acquisita dalla parte promittente venditrice, a titolo di risarcimento del danno.
1.3. -Quanto al secondo punto, la pronuncia d’appello ha precisato: – che, successivamente allo spirare del termine del 31 maggio 2010, i tecnici incaricati dagli appellanti avevano proseguito l’ iter di approvazione del piano di lottizzazione (approvazione avvenuta il 9 agosto 2012); – che i promissari acquirenti, in data 28 aprile 2011, avevano intimato alle promittenti venditrici di addivenire alla stipula della convenzione
urbanistica; – che le promittenti alienanti avevano provveduto, successivamente all’approvazione del piano di lottizzazione, ad intimare ai promissari acquirenti l’acquisto dell’area IRPEA, a fissare la data per la stipula del definitivo e ad intimare il versamento, in favore del Comune, delle somme e delle garanzie richieste per le opere di urbanizzazione; – che da tali circostanze poteva desumersi univocamente la comune intenzione delle parti di dare esecuzione al contratto preliminare, nonostante la decorrenza del termine qualificato come ‘essenziale’.
Gli ulteriori elementi addotti circa il sopravvenuto peggioramento dello stato del mercato immobiliare e circa le ragioni subiettive che avrebbero indotto i promissari acquirenti ad attivarsi per raggiungere lo scopo della stipulazione del definitivo anche successivamente alla scadenza del termine pattuito non inficiano le argomentazioni esposte, in quanto attinenti ad aspetti estranei al regolamento negoziale.
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. nell’interpretazione della scrittura del 15 dicembre 2009, per avere la Corte territoriale, ignorando il dato testuale e ripetendo il dettato della sentenza di primo grado, fornito di tale documento un’interpretazione illegittima e inutile.
Per l’effetto, obiettano gli istanti che, a fronte del dato testuale riportato nella seconda integrazione del preliminare del 15 dicembre 2009, che qualificava specificamente come essenziale la scadenza del 31 maggio 2010, non avrebbe potuto essere richiamata la condotta tenuta dalle parti promissarie
acquirenti dopo la scadenza di detto termine, in violazione del canone di interpretazione letterale della clausola.
Così come dalla lettura della clausola non avrebbe potuto prescindersi anche ai fini dell’individuazione di una condizione risolutiva del preliminare, che sarebbe divenuto inefficace nel caso in cui non fosse stata consegnata la convenzione urbanistica entro il termine essenziale del 30 marzo 2010.
2.1. -Il motivo è infondato.
2.2. -Deve anzitutto essere esaminato, in quanto pregiudiziale sul piano logico, il profilo della censura con cui si contesta l’esegesi dell’integrazione del preliminare del 15 dicembre 2009, nella parte in cui è stato escluso che la condizione della consegna della convenzione urbanistica si riferisse al preliminare e non già alla mera operatività del termine stabilito per la stipula del definitivo.
Segnatamente, il tenore dell’art. 2 di tale integrazione come riportato nel ricorso -espressamente prevedeva che le parti si impegnavano a concludere il rogito definitivo di vendita entro il termine essenziale del 31 maggio 2010, a condizione che fossero decorsi 60 giorni liberi dalla consegna, alla parte promissaria acquirente, della valida e definitiva convenzione urbanistica stipulata con il Comune di Ponte San Nicolò da parte della promittente venditrice, come previsto dal preliminare del 19 settembre 2007.
Ora, con riguardo alla disciplina urbanistica, il piano di lottizzazione costituisce presupposto logico-giuridico della conseguente convenzione di lottizzazione e il relativo procedimento amministrativo si perfeziona con la sua
approvazione da parte del Comune, ai sensi dell’art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, mentre la stipula della convenzione stessa e la sua trascrizione ne costituiscono condizioni di efficacia.
Ne consegue che le parti di un contratto preliminare avente ad oggetto un terreno lottizzando ben possono condizionare risolutivamente l’efficacia del contratto stesso alla mancata approvazione entro un certo termine del piano di lottizzazione, quale momento autonomo rispetto alla convenzione (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2119 del 05/02/2015; nello stesso senso Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6477 del 03/03/2023; Sez. 2, Sentenza n. 9550 del 18/04/2018; sulla possibilità che le parti subordinino la risoluzione del contratto alla mancata approvazione del piano di lottizzazione, ai fini di escludere l’applicabilità del disposto di cui all’art. 1359 c.c., Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5975 del 19/05/1992; Sez. 2, Sentenza n. 2223 del 20/04/1979).
Nondimeno, nel debito rispetto del canone letterale, la pronuncia impugnata ha negato che le parti avessero risolutivamente condizionato l’efficacia del preliminare di vendita del terreno alla consegna della convenzione urbanistica, poiché l’avveramento dell’avvenimento rappresentato dalla consegna di tale convenzione, entro il termine del 30 marzo 2010 ( recte 60 giorni liberi prima del termine per la stipula del definitivo), condizionava espressamente, non già l’efficacia del preliminare, bensì l’operativi tà del termine stabilito per la stipula del definitivo. Ossia l’impegno a stipulare il definitivo entro il termine del 31 maggio 2010 era subordinato al fatto che, entro il 30 marzo 2010, fosse stata consegnata la convenzione urbanistica;
altrimenti ne sarebbe derivata, non già l’inefficacia sopravvenuta del preliminare, ma la semplice inoperatività del termine pattuito per la stipula del definitivo, in attesa che tale convenzione fosse consegnata. E ciò è stato reputato congruente anche in relazione al tenore dell’originario preliminare del 19 settembre 2007, secondo cui il definitivo avrebbe dovuto essere concluso entro 60 giorni dalla consegna di detta convenzione (con la previsione, dunque, all’origine, di un termine mobile).
Nell’integrazione del 15 dicembre 2009 è stato, invece, inserito un termine fisso di adempimento sottoposto a condizione e non una condizione risolutiva del preliminare.
Questa interpretazione è plausibile, in quanto conforme al dato letterale indicato, che sottopone appunto a condizione l’impegno a concludere il definitivo nel termine indicato e non l’efficacia del preliminare. Non vi è, per contro, alcun riferimento alla risoluzione del preliminare per effetto della mancata consegna della convenzione entro il 30 marzo 2010.
È evidente, allora, che la censura mossa in ordine all’effettiva portata della clausola contrattuale in oggetto, attraverso lo schermo della dedotta violazione di legge, finisce con l’investire sostanzialmente il risultato dell’operazione ermeneutica compiuta dal giudice di merito, auspicando una interpretazione alternativa, risultato non sindacabile in sede di legittimità, in quanto sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 18214 del 03/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Sez. 1,
Sentenza n. 15471 del 22/06/2017; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012).
2.3. -Con riguardo al secondo aspetto, la negazione della natura essenziale del termine è stata debitamente argomentata.
Già il fatto che si trattasse di termine di adempimento condizionato escludeva in sé la natura essenziale di detto termine, poiché il condizionamento della sua operatività alla verificazione di un evento futuro e incerto è incompatibile con la perdita dell’utilità che consegue alla sua scadenza senza l’adempimento.
Ed invero, il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c., solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine medesimo. Tale volontà non può desumersi solo dall’uso dell’espressione ‘entro e non oltre’ (o ‘essenziale’), quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del negozio stesso oltre la data considerata (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9529 del 11/04/2025; Sez. 3, Sentenza n. 14426 del 15/07/2016; Sez. 2, Sentenza n. 21838 del 25/10/2010; Sez. 2, Sentenza n. 25549 del 06/12/2007; Sez. 2, Sentenza n. 5797 del 17/03/2005).
D’altronde, la previsione di un termine essenziale per l’adempimento, essendo posta nell’interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare ad avvalersene, sebbene in maniera tacita, anche dopo la scadenza del termine, così rinunciando altresì alla dichiarazione di risoluzione contrattuale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20052 del 22/07/2024; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25703 del 04/09/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 3736 del 08/02/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 10353 del 01/06/2020; Sez. 2, Sentenza n. 32238 del 10/12/2019; Sez. 2, Ordinanza n. 22990 del 26/09/2018; Sez. 2, Sentenza n. 20966 del 22/08/2018; Sez. 2, Sentenza n. 7450 del 26/03/2018; Sez. 2, Sentenza n. 145 del 08/01/2014; Sez. 2, Sentenza n. 16880 del 05/07/2013; Sez. 2, Sentenza n. 8881 del 03/07/2000; Sez. 2, Sentenza n. 1881 del 19/03/1984; Sez. 1, Sentenza n. 855 del 11/03/1976).
Nella specie, la Corte territoriale ha valorizzato una serie di elementi da cui emergeva che le parti avevano manifestato interesse alla conclusione del definitivo anche successivamente all’inutile decorso di detto termine, attivandosi affinché il definitivo fosse stipulato.
In specie, i promissari acquirenti avevano ottenuto l’approvazione del piano di lottizzazione il 9 agosto 2012 ed avevano richiesto la stipulazione della convenzione urbanistica e conseguentemente del definitivo, formulando una proposta vincolante per l’acquisto di un’area di proprietà di terzi, necessaria per la realizzazione di una rotatoria, senza poi addivenire all’acquisto. Per converso, le promittenti venditrici avevano richiesto, sempre dopo la scadenza di detto termine, ai
promissari compratori l’adempimento degli oneri economici indicati dal Comune, consistenti nella presentazione di una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione per euro 1.774.000,00 in ordine alle opere entro l’ambito e per euro 219.551,20 in ordine alle opere fuori ambito, nonché nel versamento del primo rateo degli oneri di urbanizzazione secondaria per euro 47.350,00, affinché potesse procedersi alla conclusione del definitivo.
Ed, in ogni caso, il mancato adempimento entro un termine essenziale non dà luogo a risoluzione del contratto, se l’inadempimento non sia imputabile all’obbligato almeno a titolo di colpa ma corrisponda alla mancata prestazione dell’altra parte che rivendica la risoluzione per scadenza di detto termine, spettando a chi si oppone alla risoluzione del contratto, nonostante la scadenza del termine, l’onere di dimostrare che soltanto per effetto del comportamento della controparte, contrario a buona fede, l’adempimento non è stato reso possibile. In applicazione di tale principio, questa Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva rigettato la domanda del promittente venditore di risoluzione di diritto del contratto preliminare perché la mancata stipula del definitivo nel termine essenziale era dipesa dall’inadempimento della stessa parte all’obbligazione di presentare presso i competenti uffici il piano di lottizzazione necessario per poter procedere al frazionamento del lotto promesso in vendita (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30714 del 29/11/2024; nello stesso senso Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3542 del 05/08/1977; Sez. 1, Sentenza n. 1352 del 26/04/1969).
Nella fattispecie, la sentenza impugnata ha rilevato che il mancato rispetto del termine fissato era dipeso dal mancato assolvimento degli oneri per la realizzazione del piano di lottizzazione, anche con riguardo ai ritardi accumulati e al cambio dei progetti originari, ricadenti sui promissari acquirenti.
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. e dei principi in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, per avere la Corte distrettuale ritenuto che i ricorrenti avessero introdotto argomenti nuovi o inammissibili in sede di opposizione al provvedimento monitorio o di appello, diversamente da quanto affermato dalla sentenza di prime cure.
Deducono gli istanti che erroneamente si sarebbe ritenuto che la previsione di una condizione sospensiva o risolutiva non sarebbe stata indicata nel ricorso monitorio, mentre, in realtà, il fondamento delle domande degli esponenti sarebbe stato sempre il medesimo, sin dal ricorso per decreto ingiuntivo del 26 novembre 2012, ossia la rivendicazione della risoluzione del contratto preliminare, con conseguente diritto al rimborso della caparra versata, derivante dalla scrittura integrativa del 15 dicembre 2009, mediante la quale era stata fissata una data improrogabile per la stipula del definitivo (a condizione che, nel frattempo, fosse stata consegnata la convenzione con il Comune), oltre la quale il contratto si sarebbe risolto automaticamente.
Sicché sarebbe risultato dall’inizio che il perfezionamento dell’operazione immobiliare era subordinato all’approvazione della
convenzione entro il termine stabilito del 30 marzo 2010, trattandosi di un evento futuro e incerto, dipendente dal fatto del terzo, il cui mancato avveramento avrebbe determinato la risoluzione del contratto.
3.1. -Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.
Una volta escluso che l’integrazione del 15 dicembre 2009 prevedesse una condizione risolutiva (o sospensiva), non vi è infatti interesse a verificare se la domanda monitoria avanzata -volta ad ottenere la restituzione della caparra confirmatoria versata e l’indennizzo corrisposto per il venir meno dell’obbligo di far fronte al pagamento dell’ICI ponesse a proprio fondamento la risoluzione del preliminare in ragione dell’avveramento di una condizione risolutiva.
4. -Con il quarto motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione al secondo motivo d’appello relativo alla corretta interpretazione del decreto ingiuntivo opposto, per avere la Corte dell’impugnazione ripreso quanto già espresso nella sentenza di primo grado, senza addurre alcunché sulle argomentazioni esposte in sede di gravame, in ordine alla deduzione circa il fatto che, in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, parte opposta, quale attrice in senso sostanziale, avrebbe potuto ribadire gli argomenti esposti nella fase monitoria, precisandoli, senza incorrere in alcuna decadenza.
Secondo gli istanti, il fatto che il provvedimento monitorio disponesse l’ingiunzione al pagamento della somma ivi quantificata con interessi legali dal 31 maggio 2010 al saldo,
ossia a decorrere dalla scadenza del termine essenziale, avrebbe dimostrato, in modo palese, che il giudice del monitorio aveva accolto la tesi secondo la quale il contratto era già risolto a partire da quella data, né d’altro canto sarebbe stata preclusa all’opposto la possibilità di precisare e modificare le domande di cui al ricorso monitorio, adducendo argomenti nuovi a sostegno della domanda accolta in sede monitoria.
Su questi argomenti il giudice d’appello non avrebbe dato alcuna risposta, limitandosi a sostenere che la valutazione relativa all’inutile decorrenza del termine essenziale o alla risoluzione automatica per superamento di tale termine avrebbe costituito accertamento di merito non demandabile alla sede monitoria, mentre nel giudizio di opposizione l’indagine avrebbe dovuto essere circoscritta nei limiti della domanda restitutoria, da valutarsi esclusivamente sulla base dell’interpretazione delle clausole del contratto preliminare e delle successive integrazioni.
4.1. -Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata, infatti, ha esaminato le ragioni per le quali non poteva ritenersi che si trattasse di termine essenziale, escludendo, quindi, che il suo decorso implicasse la risoluzione del contratto per le ragioni innanzi esposte.
5. -Con il quinto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione al terzo motivo d’appello relativo all’asserita (inesistente) violazione dell’art. 183 c.p.c. alla stregua dell’introduzione di circostanze nuove e inammissibili con la seconda memoria integrativa (ex art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c.), per avere la Corte d’appello
mancato di esaminare tale doglianza, limitandosi a ripetere acriticamente quanto riportato nella sentenza di primo grado, senza rispondere alcunché in ordine alle specifiche argomentazioni oggetto della censura.
Adducono gli istanti che sarebbero state reputate tardive le difese articolate dalle parti opposte, riferibili ai comportamenti tenuti dai promissari acquirenti per assecondare le richieste del Comune atte ad ottenere l’approvazione della convenzione urbanistica nel più breve tempo possibile.
Né il giudice d’appello avrebbe tenuto conto delle obiezioni sollevate in sede di gravame, in ordine al fatto che ogni onere probatorio al riguardo dovesse essere posto a carico delle promittenti venditrici, giacché, con la scrittura del 15 dicembre 2009, queste ultime avrebbero assunto l’impegno di consegnare la valida e definitiva convenzione urbanistica entro un preciso termine.
5.1. -Il mezzo di critica è infondato.
Siffatta conclusione è legittimata dall’accertamento -risultante dalla lettura della clausola di cui all’art. 2 del contratto preliminare del 19 settembre 2007 -dell’obbligo assunto dai promissari acquirenti di definire accordi diretti con il Comune di Ponte San Nicolò e del correlativo obbligo delle promittenti venditrici di sottoscrivere gli elaborati tecnici che sarebbero stati loro sottoposti dai promissari tramite i tecnici da essi stessi incaricati, al fine di pervenire alla sottoscrizione della convenzione urbanistica.
Pertanto, la Corte distrettuale ha verificato che la mancata sottoscrizione della convenzione entro il termine previsto nella
seconda integrazione era certamente imputabile ai promissari acquirenti, avendo le parti -con il contratto preliminare del 2007, le cui statuizioni non modificate erano state espressamente fatte salve -posto a carico degli stessi l’onere di coltivare le trattative con il Comune e con gli altri enti pubblici per addivenire all’approvazione del piano di lottizzazione e alla sottoscrizione della convenzione urbanistica, dovendo le promittenti venditrici soltanto sottoscrivere, nella loro qualità di proprietarie dei terreni, gli atti da presentare al Comune.
In conseguenza, è stata acclarata la sussistenza dell’inadempimento dei promissari acquirenti, anche in considerazione delle dichiarazioni rese dagli appellanti, secondo le quali -prima dell’avvio dell’ iter di approvazione del piano di lottizzazione -si erano rese necessarie indagini di mercato per la valutazione delle prospettive di vendita degli edifici che si prevedeva di costruire, dalle quali era emerso che il progetto delle opere da realizzare non incontrava i favori del mercato, sicché erano state eseguite modifiche al progetto originario.
La pronuncia d’appello ha, inoltre, fatto riferimento al fatto che gli appellanti avevano lasciato trascorrere un periodo di 17 mesi, da settembre 2007 a febbraio 2009, per la presentazione del piano di lottizzazione al Comune di Ponte San Nicolò, nonostante le promittenti alienanti avessero sottoscritto il progetto allegato al preliminare.
Sicché incombeva sui promissari acquirenti l’onere di curare le pratiche amministrative per l’approvazione del piano di lottizzazione e per l’ottenimento della convenzione urbanistica
tramite i tecnici da essi incaricati, del cui operato avrebbero dovuto rispondere direttamente per fatto degli ausiliari.
In questa logica è stato specificato che la modifica del progetto originario e il tempo trascorso prima della presentazione di un nuovo progetto costituivano un’evidente violazione del contratto preliminare del 19 settembre 2007, non modificato sul punto dalle parti, per fatto estraneo alle promittenti venditrici.
Ed ancora è stato affermato che la lungaggine dell’ iter amministrativo era ricollegabile ad anomalie progettuali imputabili ai promissari acquirenti, in relazione alle quali il Settore uso e assetto del territorio del Comune di Ponte San Nicolò, in data 24 agosto 2010, aveva richiesto integrazioni documentali di natura tecnica. Nello specifico, ai fini della realizzazione di una rotatoria, come considerata dalla delibera di adozione della variante della Giunta comunale n. 57 del 27 maggio 2011, era necessario procedere all’acquisto di una piccola area di proprietà IRPEA, per cui gli appellanti, in data 8 marzo 2010, avevano formulato una proposta vincolante all’acquisto di detta area, senza poi addivenire all’acquisto, né gli stessi appellanti avevano adempiuto agli oneri economici indicati dal Comune, consistenti nella presentazione di una fideiussione bancaria o assicurativa a garanzia dell’esecuzione delle opere di urbanizzazione per euro 1.774.000,00 in ordine alle opere entro l’ambito e per euro 219.551,20 in ordine alle opere fuori ambito, nonché nel versamento del primo rateo degli oneri di urbanizzazione secondaria per euro 47.350,00, come indicati nella comunicazione del 9 agosto 2012.
A fronte di siffatto quadro descrittivo delle inadempienze ascrivibili ai promissari acquirenti, all’esito di un accertamento in fatto non sindacabile in questa sede, non ha senso indagare sulla distribuzione dell’onere probatorio.
Infatti, il principio di distribuzione dell’onere della prova costituisce una regola residuale di giudizio, in conseguenza della quale la mancanza, in seno alle risultanze istruttorie, di elementi idonei all’accertamento della sussistenza del diritto in contestazione determina la soccombenza della parte onerata della dimostrazione dei relativi fatti costitutivi, cosicché tale regola non opera ove la prova sia comunque raggiunta (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 23286 del 28/08/2024; Sez. 3, Sentenza n. 9863 del 13/04/2023; Sez. 3, Sentenza n. 8951 del 18/04/2006; Sez. 3, Sentenza n. 5980 del 16/06/1998; Sez. L, Sentenza n. 4118 del 03/04/1992), come nel caso di specie.
6. -Con il sesto motivo i ricorrenti assumono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione al quarto e al quinto motivo d’appello, con i quali sarebbe stata dimostrata l’infondatezza del rilievo circa gli asseriti inadempimenti ascritti ai promissari acquirenti, con l’ulteriore lamentela circa il travisamento dei documenti e delle prove, per avere la Corte di seconde cure affermato che la rotatoria di INDIRIZZO era prevista sin dal progetto originario del 2007, mentre sarebbe stato provato in via documentale l’esatto contrario, in quanto la rotatoria che avrebbe determinato il notevole allungamento dei tempi di approvazione del piano di lottizzazione, senza alcuna
colpa dei promissari acquirenti, era stata approvata solo con la delibera n. 21 del 21 giugno 2010.
Asseriscono gli istanti che non si sarebbe tenuto conto dei rilievi degli appellanti, sulla scorta dei quali non avrebbe potuto essere attribuita alcuna responsabilità agli esponenti in merito ad un iter amministrativo di competenza del Comune (di cui erano stati segnalati i ritardi).
E, allo stesso modo, non si sarebbe considerato che l’impegno a consegnare la convenzione entro il 30 marzo 2010 sarebbe stato posto solo ed esclusivamente a carico delle promittenti venditrici, integrando e superando qualsiasi eventuale pattuizione difforme contenuta nell’originario contratto preliminare, sicché l’unico obbligo assunto dai promissari acquirenti sarebbe stato quello di accollarsi i costi necessari per la realizzazione dell’operazione edilizia, ma non di garantire che l’ iter amministrativo si sarebbe concluso favorevolmente entro un dato termine.
6.1. -Il motivo è infondato.
Tali doglianze sono state, infatti, debitamente affrontate.
E per l’effetto si è argomentato, da un lato, che l’impegno a curare la pratica amministrativa volta ad ottenere il piano di lottizzazione e la successiva stipulazione della convenzione urbanistica era stato assunto dai promissari acquirenti e, dall’altro, che il mancato completamento della procedura era ascrivibile al difettato assolvimento degli oneri facenti capo ai promissari acquirenti medesimi.
Del resto, nel corpo della stessa doglianza, i ricorrenti hanno osservato che, contestualmente al preliminare, era stato da essi
sottoscritto il disciplinare d’incarico, in esecuzione del quale gli esponenti avevano pagato ai tecnici incaricati il cospicuo importo di euro 100.000,00, oltre IVA.
Così come hanno riconosciuto che l’iniziativa volta alla modificazione dei progetti era stata assunta dagli stessi promissari acquirenti, sebbene i nuovi progetti fossero stati sottoscritti anche dalle promittenti venditrici.
In aggiunta, l’addebito circa il mancato completamento dell’ iter volto alla stipulazione della convenzione urbanistica, all’esito dell’approvazione del piano di lottizzazione in data 9 agosto 2012, è stato ricondotto all’inerzia dei promissari acquirenti quanto agli oneri che ad essi facevano capo (a prescindere dalle incombenze ricadenti sul Comune), quali il mancato acquisto dell’area di terzi, nonostante la proposta formulata, il mancato assolvimento delle garanzie fideiussorie o assicurative funzionali all’esecuzione delle opere di urbanizzazione per euro 1.774.000,00 in ordine alle opere entro l’ambito e per euro 219.551,20 in ordine alle opere fuori ambito, l’omesso versamento del primo rateo degli oneri di urbanizzazione secondaria per euro 47.350,00.
E ciò benché il Comune e le stesse promittenti alienanti avessero sollecitato l’adempimento di tali incombenze, senza esito, così legittimando l’esercizio del diritto potestativo di recesso dal preliminare a cura di queste ultime.
Il fatto che l’esigenza di realizzare la rotatoria fosse sopravvenuta non esclude che comunque, in ragione della persistente vigenza degli obblighi derivanti dal preliminare, in mancanza di alcun termine essenziale, i promissari acquirenti non
hanno adempiuto all’onere di acquistare l’area di proprietà di terzi affinché tale opera potesse essere realizzata.
7. -Il settimo motivo di ricorso investe, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., anche in relazione al sesto motivo di impugnazione -con il quale si era evidenziato che la risoluzione del preliminare non poteva che determinare la contemporanea risoluzione anche della scrittura in cui era previsto il pagamento, a titolo di indennizzo, della somma di euro 30.000,00, in sostituzione del pagamento dell’ICI, cui i promissari acquirenti si erano obbligati , per avere la Corte del gravame meramente richiamato quanto dedotto nella sentenza di primo grado, senza nulla argomentare e motivare.
7.1. -La censura è infondata.
Questo perché avverso tale doglianza, formulata in sede di gravame, è stata fornita una debita motivazione del suo rigetto.
In merito, la Corte d’appello ha prospettato che la somma di euro 30.000,00 versata dagli appellanti era stata pattuita a titolo di ristoro per l’inadempimento degli obblighi previsti nella prima integrazione, in quanto i promissari acquirenti, per tutto il tempo trascorso, non avevano provveduto al pagamento dell’ICI gravante sugli immobili oggetto del preliminare, pur avendone assunto espressamente l’onere, cosicché la causa concreta di tale pagamento aveva ad oggetto il pregresso rapporto rimasto inadempiuto, che le parti avevano inteso regolare in via definitiva.
Ossia il pagamento a titolo di indennizzo una tantum di tale somma era volto, appunto, ad indennizzare le promittenti venditrici in ordine al venir meno dell’obbligo assunto
(evidentemente di maggiore impatto economico) con la prima integrazione del preliminare di far fronte al pagamento dell’ICI nelle more della stipulazione del definitivo, cosicché la natura di tale accordo prescindeva dall’esito dell’operazione negoziale volta al trasferimento dei terreni.
Appunto perché la causale di detto indennizzo era funzionale a far fronte al sopravvenuto venir meno dell’obbligazione in precedenza assunta di rimborso nel pagamento dell’ICI, nelle more della stipulazione del definitivo, senza che il versamento di tale indennizzo presupponesse il buon esito della promessa di vendita.
In proposito, la sentenza impugnata allude alla valenza di ‘penale’ di detto pagamento, in ragione della revoca dell’impegno assunto a rifondere l’ICI sin da 19 settembre 2008, senza alcuna subordinazione (espressa o implicita) della stabilità del versamento effettuato a tale titolo alla conclusione del definitivo.
Con la conseguenza che tale pagamento non ha risentito dell’avvenuto scioglimento del preliminare, in virtù del recesso esercitato dalle promittenti alienanti, non essendo collegato alla causale di tale operazione, bensì alla diversa causale indennitaria evocata (che è rimasta ferma).
8. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002,
n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore delle controricorrenti, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 7.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda