Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10827/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1522/2018 depositata il 01/10/2018.
Oggetto: Preliminare -Inadempimento -Termine essenziale
R.G.N. 10827/2019
Ud. 14/11/2023 CC
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 1° ottobre 2018, la Corte d’appello di Brescia, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’ordinanza ex art. 702 -ter c.p.c. con la quale il Tribunale di Bergamo, in data 10 novembre 2015, aveva, a propria volta, accertato l’intervenuta risoluzione di diritto del preliminare di compravendita concluso dalle parti, condannando la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione alla RAGIONE_SOCIALE della somma di € 70.000,00 versata a titolo di caparra.
La RAGIONE_SOCIALE infatti, aveva adito ex art. 702bis c.p.c. il Tribunale di Bergamo, riferendo di avere concluso con la RAGIONE_SOCIALE un preliminare di compravendita avente ad oggetto un’unità immobiliare in Cornate d’Adda, corrispondendo una caparra confirmatoria di € 70.000,00.
Deducendo che alla data fissata per la stipula del definitivo -fissata come termine essenziale ex art. 1457 c.c. -nessuna delle due parti si era presentata per la stipula e che, ulteriormente, la RAGIONE_SOCIALE si era resa inadempiente all’ob bligo di liberare l’immobile dalle ipoteche su di esso gravanti, la ricorrente aveva chiesto dichiararsi la risoluzione del preliminare e condannarsi la medesima RAGIONE_SOCIALE alla sola restituzione della caparra.
Si era costituita la convenuta, la quale aveva contestato la domanda e, sulla base di una complessa ricostruzione in fatto, aveva dedotto sia che il termine di conclusione del definitivo non aveva
carattere essenziale sia che la mancata stipula del definitivo era da imputarsi alla stessa RAGIONE_SOCIALE la quale aveva chiesto un differimento di tale stipula, adducendo difficoltà economiche, e, solo successivamente, aveva inviato una missiva con la quale si veniva ad avvalere del termine – a suo dire -essenziale.
La convenuta aveva quindi dedotto che parte inadempiente era invece la RAGIONE_SOCIALE affermando il proprio diritto a recedere dal contratto preliminare ed a trattenere la caparra.
A tale ricostruzione -per quel che ancora qui rileva -la RAGIONE_SOCIALE aveva replicato contestando di avere chiesto un differimento della stipula del definitivo per difficoltà economiche e deducendo, semmai che, a seguito del venir meno dell’interesse d ella società ad acquistare l’immobile, il legale rappresentante di una società terza NOME COGNOME -si era mostrato interessato a subentrare nella cessione dell’immobile, dando luogo ad una trattativa che tuttavia non aveva sortito esito positivo, senza che in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE avesse mai rinunciato ad avvalersi del termine essenziale.
Definito il procedimento di primo grado con l’accoglimento delle domande della RAGIONE_SOCIALE e proposto appello da parte della RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Brescia ha disatteso il gravame:
-escludendo che dalle prove assunte nel giudizio di prime cure emergesse una richiesta della RAGIONE_SOCIALE di differire la conclusione del contratto definitivo;
-rilevando che in ogni caso la RAGIONE_SOCIALE non aveva neppure provveduto a liberare l’immobile dall’ipoteca che su di esso gravava;
-ritenendo che, alla luce delle espressioni impiegate nel contratto preliminare, il termine individuato per la stipula del
contratto definitivo dovesse univocamente ritenersi come essenziale;
-osservando che, anche a voler escludere la natura essenziale del termine, assumeva rilevanza il fatto che la RAGIONE_SOCIALE, a fronte della comunicazione della RAGIONE_SOCIALE di ritenere il contratto risolto, non aveva agito per la manutenzione del contratto, ma aveva chiesto accertarsi la legittimità del recesso ex art. 1385 c.c., dovendosi quindi ritenere che in ogni caso il rapporto si fosse risolto consensualmente, senza diritto della RAGIONE_SOCIALE a trattenere la caparra in quanto la stessa non risultava adempiente, non avendo neppure sollecitato la RAGIONE_SOCIALE a procedere alla stipula del definitivo, liberando nel contempo l’immobile dalla garanzia ipotecaria.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Brescia ricorre ora RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a sei motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorso deduce la violazione degli artt. 702bis e 702-ter c.p.c.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia valorizzato circostanze che la RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto unicamente nella memoria depositata nel giudizio di prime cure e destinata unicamente all’articolazione delle istanze istruttorie.
Le deduzioni contenute in tale memoria, conclude la ricorrente, erano quindi da ritenersi tardive ed inammissibili.
2.2. Il motivo è infondato.
In primo luogo, si deve rilevare che, poiché la memoria oggetto delle doglianze della ricorrente è stata depositata nel giudizio di primo grado, l’eventuale vizio processuale doveva essere fatto valere con un motivo di appello, che invece non risulta essere stato formulato dalla ricorrente.
In secondo luogo, si osserva che i profili che, secondo la ricorrente, erano stati tardivamente dedotti, costituivano mere difese finalizzate a contrastare la ricostruzione in fatto dell’odierna ricorrente, senza che dette difese venissero a sostanziarsi in vere e proprie eccezioni, soggette allo sbarramento processuale delle preclusioni.
3.1 . Con il secondo motivo il ricorso deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La Corte, argomenta la ricorrente, avrebbe omesso di rilevare che le trattative svoltesi dopo la scadenza del termine di conclusione del definitivo non erano state condotte per conto della società terza -come dedotto dalla controricorrente -ma per conto della stessa RAGIONE_SOCIALE dal che deriverebbe che quest’ultima aveva rinunciato ad avvalersi del termine ritenuto essenziale.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Per quanto la ricorrente abbia omesso di ricondurre formalmente il motivo ad una delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., la deduzione espressa dell’omesso esame di un fatto decisivo, vale a riferire univocamente la doglianza all’art. 360, n. 5), c.p.c.
Va osservato, allora, che, essendo stato instaurato il giudizio di appello con citazione del 18 dicembre 2015, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della
Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1388, 1704 e 1705 c.c.
Argomenta, in particolare, il ricorso che dalle prove raccolte in corso di giudizio non sarebbe emerso in alcun modo che il soggetto che, dopo la scadenza del termine di conclusione del rogito, aveva ulteriormente trattato con la RAGIONE_SOCIALE non stesse trattando per l’odierna controricorrente e invece come sostenuto dalla stessa controricorrente agisse nell’interesse di una società terza intenzionata a subentrare nell’operazione.
Ne sarebbe derivato, prosegue il ricorso, un affidamento della stessa ricorrente in ordine al fatto che tali trattative erano ancora riconducibili alla RAGIONE_SOCIALE
4.2. Il motivo è inammissibile.
Lo stesso si pone radicalmente al di fuori dell’ambito della deducibilità della doglianza ex art. 360, n. 3), c.p.c. la quale deve essere dedotta, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, lo sviluppo del ricorso -peraltro con deduzioni che ben difficilmente possono dirsi ‘ intellegibili ed esaurienti ‘ -viene a proporre una serie di profili squisitamente fattuali, senza riuscire ad individuare anche una sola affermazione della Corte territoriale che possa integrare una violazione o falsa applicazione delle previsioni di legge richiamate nel motivo medesimo.
Nei limiti della decifrabilità del motivo, invero, ciò che emerge è che la società ricorrente viene a dolersi di una inadeguata valutazione dei fatti che emergerebbero dalle prove o, al più, di una erronea ricostruzione della vicenda.
Tuttavia – rammentato preliminarmente che nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004) – si deve osservare ulteriormente che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, primo comma, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, in quanto tale profilo è esterno all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 640 del 14/01/2019; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019) se non nei limiti della deducibilità del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017).
5.1. Con il quarto motivo il ricorso deduce, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1457 e 1362 c.c.
La ricorrente lamenta la violazione ‘del costante principio giurisprudenziale in base al quale il termine per l’adempimento può essere ritenuto essenziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 1457 c.c. solo quando all’esito di un’indagine riservata al giudice di merito da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti ma anche a soprattutto della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di ritenere perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del medesimo’ e ciò in quanto ‘tale volontà non può desumersi soltanto dall’uso delle espressioni letterali quando non risulti dall’oggetto del negozio o da specifiche indicazioni delle parti che queste hanno inteso considerare perduta l’utilità prefissasi nel caso di conclusione del n egozio stesso oltre la data’ .
5.2. Con il quinto motivo il ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1385, 1453, 1455, 1457 c.c. e 99 e 112 c.p.c.
La ricorrente impugna la decisione della Corte d’appello nella parte in cui quest’ultima ha affermato che, anche escludendo la natura essenziale del termine, era da escludersi un diritto della RAGIONE_SOCIALE a trattenere la caparra in quanto, a fronte delle reciproche contestazioni, doveva comunque ritenersi che il contratto si fosse ricolto consensualmente, senza tuttavia poter ritenere non inadempimento la stessa RAGIONE_SOCIALE, non avendo né sollecitato la RAGIONE_SOCIALE a procedere alla stipula del definitivo, né liberato nel contempo l’immobile dalla garanzia ipotecaria.
Argomenta in contrario il ricorso che la Corte bresciana avrebbe dovuto procedere ad una valutazione comparativa del comportamento delle due parti, in modo da stabilire quale delle due avesse determinato il venir meno dell’interesse dell’altra al mantenime nto del negozio.
5.3. Il quarto motivo è infondato.
Costante, da parte di questa Corte, è l’affermazione del principio per cui l’essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., non può essere desunta solo dall’uso dell’espressione “entro e non oltre”, riferita al tempo di esecuzione della prestazione, ma implica un accertamento da cui emerga inequivocabilmente, alla stregua dell’oggetto del negozio o di specifiche indicazioni delle parti, che queste abbiano inteso considerare perduta, decorso quel lasso di tempo, l’utilità prefissatasi, puntualizzando ulteriormente che la previsione di un termine essenziale per l’adempimento del contratto, essendo posta nell’interesse di uno o di entrambi i contraenti, non preclude alla parte interessata di rinunciare, seppur tacitamente, ad avvalersene, anche dopo la scadenza del termine, in particolare
accettando un adempimento tardivo (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 32238 del 10/12/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25549 del 06/12/2007).
Questa Corte, tuttavia, ha anche chiarito che l’accertamento dell’essenzialità del termine per l’adempimento, ex art. 1457 c.c., costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito – la cui valutazione è insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici – da condurre, oltre che alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti (quale, ad esempio, “entro e non oltre”), tenendo soprattutto conto della natura e dell’oggetto del contratto (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 10353 del 01/06/2020; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14426 del 15/07/2016; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 7450 del 26/03/2018).
Nel caso in esame, la decisione della Corte d’appello ha, sì, preso le mosse dalla formulazione della clausola negoziale, ma ha, ulteriormente, corroborato la qualificazione della stessa richiamando la qualità delle parti, il loro agire come entità professionali -e non come consumatori -la natura imprenditoriale della stessa operazione e la conseguente rilevanza che il termine veniva ad assumere nel quadro complessi vo dell’operazione negoziale.
Tale valutazione -ancorata ad una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici -deve quindi ritenersi insindacabile, dovendosi solo rimarcare ulteriormente la genericità delle deduzioni circa una non corretta applicazione delle norme in tema di interpretazione del contratto, risultando tali deduzioni del tutto anodine ed ampiamente difformi rispetto al canone stabilito da questa Corte (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021; Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017), a mente del quale il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo
deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata.
L’infondatezza del quarto motivo comporta l’assorbimento del quinto, essendo le motivazioni della decisione impugnata appena esaminate sufficienti a sorreggere la decisione medesima.
6.1. Con il sesto motivo il ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1183 e 1325 c.c., per avere la Corte territoriale escluso la sussistenza di un accordo per il differimento della data di stipula del definitivo in virtù dell’assenza di u na sua conferma scritta, argomentando che, in assenza di tale elemento, la data di stipula avrebbe comunque potuto essere fissata ex art. 1183 c.c.
6.2. Il motivo è inammissibile.
Il motivo, invero, non incide sulla ratio effettiva della decisione della Corte bresciana, la quale ha escluso radicalmente che sussistesse prova di una intesa volta a differire la data di conclusione del definitivo.
Il profilo dedotto nel motivo di ricorso, anzi, non risulta essere stato in alcun modo affrontato nella decisione impugnata, né parte ricorrente ha dedotto di averlo sollevato nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano
prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
Il ricorso deve quindi essere respinto, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 6.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14 novembre