Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10133 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10133 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5507/2020 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO LECCE n. 637/2019 depositata il 19/06/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME stipulava un contratto preliminare con NOME COGNOME per l’acquisto di un fondo rustico, versando € 4.000 a titolo di caparra confirmatoria. La stipula del contratto definitivo non si realizzava poiché il fondo era già stato promesso in vendita da NOME COGNOME, madre e dante causa della promittente venditrice a NOME COGNOME che aveva trascritto domanda giudiziale per ottenere il trasferimento del fondo a prezzo ridotto, a causa di un incendio. COGNOME conveniva COGNOME dinanzi al Tribunale di Lecce per la risoluzione del contratto e il pagamento del doppio della caparra. COGNOME si costituiva e, precisando di essere comproprietaria del fondo pervenutole per successione insieme ai fratelli NOME, NOME e NOME, affermava di aver informato il Miggiano del precedente impegno contrattuale prima di sottoscrivere il preliminare e di aver assunto l’obbligo di ottenere il consenso dei coeredi al trasferimento del bene a Miggiano. La convenuta allegava inoltre che, una volta definita la vertenza con la COGNOME, il fondo era stato venduto a un prezzo inferiore di € 4.000 rispetto a quanto concordato con Miggiano. Concludeva quindi chiedendo il rigetto della domanda attorea, la risoluzione del contratto per inadempimento di Miggiano, il risarcimento del danno di € 4.000 (la differenza di prezzo) e la ritenzione della caparra. Il Tribunale di Lecce accoglieva la domanda di Miggiano, dichiarava risolto il contratto preliminare e condannava COGNOME al pagamento del doppio della caparra. La Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado, sostenendo che il contratto non riportava alcuna menzione di precedenti impegni contrattuali e che la convenuta non aveva rispettato l’obbligo di trasferire il fondo all’attore entro trenta giorni (procurando il consenso all’operazione da parte dei coeredi).
Ricorre in cassazione la promittente venditrice con quattro motivi, illustrati da memoria. Resiste il promissario acquirente con controricorso, illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 158 c.p.c. e questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui agli artt. 62-72 l. 98/2013, in relazione agli artt. 3, 25 co. 1, 106 co. 2 e 111 Cost. Si contesta la legittimità della composizione del collegio giudicante di appello per la presenza di un giudice ausiliario, ritenendo che tale figura violi il principio di precostituzione del giudice naturale, la terzietà del giudice e il principio di eguaglianza.
Il primo motivo è rigettato.
Esso è stato superato da Corte cost. 41/2021, la quale – pur accogliendo la questione di legittimità costituzionale sollevata, rispetto all’art. 106, co. 1 e 2 Cost., con riferimento alle disposizioni che istituiscono e disciplinano nell’ambito della magistratura onoraria la figura dei giudici ausiliari d’appello, conferendogli lo status di componenti dei collegi – ne ha sancito la provvisoria applicabilità fino a quando non sarà completato il riordino del ruolo e delle funzioni della magistratura onoraria nei tempi stabiliti dall’art. 32 d.lgs. 116/2017 (cfr. tra le molte Cass. 32065/2021, cui si rinvia per un’argomentazione più ampia ).
– Il secondo motivo denuncia omessa motivazione, motivazione apparente, violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1362 c.c., omesso esame di fatto decisivo. Si afferma che la Corte territoriale non avrebbe esaminato adeguatamente la qualificazione del contratto, ignorando le espressioni utilizzate dalle parti nel documento, che avrebbero reso evidente la natura di vendita perfetta del contratto stesso, con conseguente nullità della sentenza impugnata. A supporto di questa tesi, si fa riferimento alle espressioni testuali del contratto, come l’uso del termine ‘ vende ‘ , scritto in stampatello, e l’impegno assunto da NOME COGNOME a raccogliere le firme degli altri coeredi. Tali elementi evidenzierebbero la volontà delle parti di concludere un contratto di vendita e non di impegnarsi preliminarmente a una vendita futura. La Corte di appello non
avrebbe valutato adeguatamente queste circostanze né fornito una motivazione valida a sostegno della qualificazione come preliminare.
Il terzo motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., omessa decisione, violazione degli artt. 1385, 1478 c.c., nonché l’inammissibilità della domanda di controparte. Si contesta che il contratto fosse qualificato erroneamente come preliminare, anziché come vendita di cosa parzialmente altrui, evidenziando che in tal caso l’acquirente consapevole della situazione non avrebbe potuto domandare la risoluzione contrattuale, ma al più una riduzione del prezzo.
Il secondo e il terzo motivo sono da esaminare contestualmente per connessione.
La parte di sentenza censurata dal secondo motivo è la seguente: « L’appellante assume che il giudice a quo avrebbe dovuto rilevare il difetto di origine della domanda, proposta in relazione ad un contratto nullo ab origine poiché era noto all’acquirente che per la vendita della cosa (il fondo ‘ Pire ‘ ) erano necessarie le firme degli altri comproprietari, firme che sarebbero state raccolte nelle more della risoluzione transattiva dei rapporti derivanti da altro preliminare, precedentemente sottoscritto, di cui l’acquirente sarebbe stato edotto. L’appello è infondato. Il contratto del 16.10.2006 dedotto in giudizio è un preliminare di vendita cui si è obbligata la COGNOME in qualità di coerede della defunta proprietaria, obbligandosi a raccogliere le firme degli altri eredi. Quand’anche si trattasse di una vendita e non già di una promessa di vendita, ugualmente il venditore assume (in proprio) l’obbligo del trasferimento. Sta di fatto che nel documento in parola, il contratto del 16.10.2006, nulla si dice in relazione alla circostanza che lo stesso bene era stato fatto oggetto di precedente preliminare . La circostanza del precedente impegno non è affatto riportata nel documento. Orbene, anche a voler trascurare ogni altro aspetto, l’obbligo della COGNOME era di trasferire (o quand’anche di far trasferire) il fondo oggetto di vendita
con rogito notarile ‘… scritturato max entro 30 gg. a partire dal 16.10.2006 … ‘ . Si tratta di un termine preciso e specifico, appositamente inserito con postilla a margine del foglio, postilla introdotta con un segno grafico (un asterisco) in calce al testo. Il termine in parola non è stato rispettato, nonostante le richieste formulate dall’acquirente, il quale pertanto a giusta ragione ha contestato l’inadempimento alla venditrice, chiedendo la risoluzione e la restituzione del doppio della caparra» .
Del secondo e del terzo motivo è da dichiarare l’inammissibilità , poiché essi non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata.
I due motivi di ricorso sono accomunati dall’assumere come oggetto di critica la qualificazione del contratto come preliminare, anziché come contratto definitivo di compravendita. Ciò costituisce l’obiettivo del secondo motivo, mentre il terzo motivo si limita a svolgere la conseguenza che, in ipotesi di vendita di cosa di cui il compratore sia consapevole che essa è parzialmente altrui, questi ha diritto ad una riduzione del prezzo, ma non alla risoluzione del contratto.
Tuttavia, l ‘ampio stralcio della motivazione appena riportato attesta che la ragione portante della sentenza impugnata non risiede nella qualificazione del contratto come preliminare, piuttosto che come contratto definitivo di vendita, bensì n ell’accertamento che la promittente venditrice aveva assunto un obbligo specifico da adempiere entro un termine, e cioè « di trasferire (o quand’anche di far trasferire) il fondo oggetto di vendita con rogito notarile ‘… scritturato max entro 30 gg. a partire dal 16.10. 2006 …’ » (e di procurarsi così anche il consenso degli altri comproprietari). Si tratta di un termine che la Corte ha qualificato manifestamente come essenziale ex art. 1457 c.c. in considerazione dell’interesse del compratore, profilatosi anche attraverso richieste specifiche di adempimento. Questa Corte non è stata chiamata a valutare la correttezza di questa qualificazione, che essa non è stata attaccata
con la specificità richiesta dall’art. 366 n. 4 c.p.c. Ne segue che tutte le argomentazioni fatte valere dalla ricorrente, a partire da quella relativa al diritto di Miggiano ad una semplice riduzione del prezzo e non alla risoluzione del contratto, sono irrilevanti.
Sull’inammissibilità del motivo che non coglie la ratio, cfr. tra le altre Cass. 15517/2020.
Il secondo e il terzo motivo sono inammissibili.
Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione al regime delle spese processuali, contestando la condanna alle spese operata dalla Corte di appello.
Il motivo è fatto valere nel presupposto dell’accoglimento dei precedenti motivi di ricorso e quindi viene meno.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo uni ficato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18/02/2025.