Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8365 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8365 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 595/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in FIRENZE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
FALLIMENTO SECI SOCIETÀ ESERCIZI RAGIONE_SOCIALE PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE CASSAZIONE, PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO BOLOGNA, PROCURA GENERALE REPUBBLICA TRIBUNALE BOLOGNA -intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2902/2021 depositata il 18/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di declaratoria di inammissibilità di domanda di concordato con riserva e promovimento di richiesta di fallimento su ricorso del Pubblico Ministero, RAGIONE_SOCIALE ha depositato in data 27 marzo 2020 davanti al Tribunale di Bologna proposta di concordato preventivo con continuità aziendale ex art. 186bis l. fall.
La proposta, corredata di istanza di autorizzazione a una transazione con alcuni obbligazionisti – titolari di diritto di pegno direttamente e indirettamente sulla quota di una partecipata strategica (MST) – è stata oggetto di decreto del Tribunale in data 13 luglio 2020, con cui è stato concesso termine per integrazioni ex art. 162 l. fall., provvedimento seguito da ulteriore decreto di proroga del termine al 25 febbraio 2021; la ricorrente ha, quindi, depositato memorie integrative in relazione sia al primo, sia al secondo decreto a modifica della proposta.
La proposta è stata, poi, ulteriormente modificata con memoria in data 17 maggio 2021, successiva alla scadenza del termine, corredata solo in allora da nuova attestazione di altro professionista, nonché da memoria ancora successiva depositata nel successivo mese di giugno, senza che fosse stata autorizzata
ulteriore proroga del termine concesso, già prorogato. La proposta, profondamente modificata rispetto a quella originaria, prevedeva -tra l ‘altro – la continuità aziendale quale holding di partecipazioni e la dismissione e liquidazione sia degli asset non strategici, sia degli immobili, nonché il mantenimento della partecipazione strategica nella società RAGIONE_SOCIALE; la proposta era assistita, inoltre, dal supporto finanziario di terzi (Fondo Sagitta) e degli azionisti di riferimento della debitrice ed era prevista l’ emissione di strumenti finanziari partecipativi (SFP) agganciati alla partecipazione strategica in MST, da destinare al soddisfacimento del ceto chirografario, che veniva soddisfatto -come ipotesi alternativa -nella misura del 15,50%.
4. Con provvedimento in data 5 luglio 2021, il Tribunale di Bologna ha dichiarato inammissibile la domanda di concordato e ha dichiarato il fallimento della società ricorrente. Il Tribunale -per quanto qui rileva – ha rilevato l’incompletezza della documentazione in punto soddisfacimento del ceto chirografario, nonché di supporto finanziario del Fondo Sagitta e di emissione degli SFP, criticità estese alla nuova attestazione; il Tribunale ha, poi, osservato che non era stata illustrata adeguatamente la convenienza della proposta concordataria rispetto all’alternativa liquidatoria fallimentare e che la ricorrente aveva abusato dello strumento concordatario.
5. La Corte di Appello di Bologna, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il reclamo. Ha ritenuto il secondo giudice decisiva la circostanza che, alla scadenza del termine ex art. 162 l. fall. del 25 febbraio 2021, già prorogato dal tribunale, la proposta originaria dovesse considerarsi abbandonata e che la nuova proposta era «in bozza ex ore actoris », priva di attestazione e dotata di piano « incompleto ». Parimenti, non si sarebbero potute valorizzare le memorie successive al 25 febbraio 2021, non essendo stata autorizzata ulteriore proroga del termine, né essendo tale termine
ulteriormente prorogabile; il giudice di appello ha, inoltre, ritenuto che la scadenza del termine ordinatorio non prorogato comporta gli effetti di cui all’ art. 154 cod. proc. civ., con inutilizzabilità degli atti successivi (« le stesse non potevano più entrare nel procedimento »). Correlativamente, la sentenza impugnata ha ritenuto che la successione di memorie integrative prive di autorizzazione al deposito da parte del Tribunale, in costanza del procedimento prefallimentare, costituisse abuso dello strumento processuale.
La corte ha, poi, ritenuto inammissibile anche la proposta modificata successivamente alla scadenza del termine, reputando che il concordato fosse di natura liquidatoria e non con continuità aziendale come invece proposto dal ricorrente. Ha rilevato, sotto questo profilo, come l’attività di holding di partecipazioni non prevedesse ulteriori acquisizioni, bensì programmasse solo un ordinato percorso liquidatorio, con conseguente inammissibilità della proposta per mancata assicurazione del pagamento del 20% dei creditori chirografari.
Sono, poi, state evidenziate ulteriori criticità della proposta modificata, non essendovi evidenza del miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria, né della convenienza della transazione con gli obbligazionisti che detenevano in pegno le partecipazioni della società controllata « strategica» (MST), obbligazionisti soddisfatti al di fuori del concorso, nonché evidenziandosi ulteriori criticità in relazione all’intervento finanziario del Fondo Sagitta a soddisfacimento del ceto chirografario, all’emissione di SFP e in relazione alla nuova attestazione.
Propone ricorso per cassazione la debitrice, affidato a otto motivi, cui resiste con controricorso il fallimento. Ricorrente e controricorrente hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il controricorrente, in memoria, evidenzia l’intervenuta omologazione del concordato fallimentare nel fallimento RAGIONE_SOCIALE e la conseguente chiusura del fallimento controricorrente. Tale questione non ha qui incidenza, sussistendo nel giudizio di legittimità la legittimazione processuale del curatore fallimentare ove, al momento della notifica del ricorso, il decreto di chiusura del fallimento non fosse ancora definitivo, posto che non trovano applicazione nel giudizio di legittimità gli artt. 299 e 300 cod. proc. civ., con la conseguenza che la chiusura del fallimento non fa cessare la legittimazione processuale del curatore (Cass., n. 4514/2019; Cass., n. 26888/2020), qui in veste di controricorrente.
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 162 l. fall., in relazione all’art. 154 cod. proc. civ. e all’art. 161, terzo comma, l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata -nel ritenere applicabile al termine di cui all’art. 162 l. fall. la norma di cui al l’art. 154 cod. proc. civ., relativo al termine processuale ordinatorio non prorogato – ha ritenuto di poter prescindere dall’esame delle memorie depositate successivamente alla scadenza del termine del 25 febbraio 2021. Osserva parte ricorrente che l’art. 154 cod. proc. civ. non è applicabile al procedimento di apertura del concordato, trattandosi di procedimento non contenzioso in cui non vi è esigenza di garantire il rispetto di termini, a differenza di quanto accade nel procedimento contenzioso; il che sarebbe indirettamente dimostrato dalle plurime proroghe del termine originario, ben oltre la durata dei quindici giorni indicati d all’art. 162 l. fall. , proroghe che -in caso di interpretazione conforme al decisum del giudice di appello -implicherebbero l’abnormità de i provvedimenti interlocutori assunti dal Tribunale medio tempore .
3. Il motivo è infondato. Si osserva in via preliminare che è passata in cosa giudicata la statuizione secondo cui l’originaria proposta di concordato -dei cui connotati essenziali la sentenza impugnata dà contezza -è stata abbandonata , al pari dell’ulteriore statuizione secondo cui la proposta, integrata alla scadenza del termine ex art. 162 l. fall. concesso dal tribunale e prorogato, fosse incompleta in quanto « in bozza ex ore actoris ». Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il termine concesso per la presentazione di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell’art. 162, primo comma, l. fall. ha natura perentoria, al punto che allo stesso non si applica la sospensione feriale dei termini ove penda contestualmente istanza di fallimento (Cass., n. 14196/2024). In particolare, si è ritenuto che « il comma 1 dell’art. 162 l. fall. è disposizione di carattere generale che facoltizza il tribunale a concedere al debitore (…) un brevissimo termine per apportare integrazioni o effettuare produzioni capaci di scongiurare l’esito infausto della procedura (…) D’altronde, oltre alla ratio così illustrata, è il chiarissimo tenore del comma 1 dell’art. 162, comma 1, l.fall., che consente la concessione di un termine «non superiore a quindici giorni», a escludere che possa essere prorogato il termine già concesso nella misura massima così prevista» (Cass., ult. cit.).
4. La natura del termine è analoga a quella dei termini entro cui la legge concorsuale prevede debba essere depositata la proposta di concordato con riserva ai sensi dell’art. 161, sesto comma, l. fall., termine che ha natura perentoria con disciplina mutuata dalla disciplina dei termini di diritto processuale comune e, in particolare, dall’art. 153 cod. proc. civ. (Cass., n. 35959/2022; conf. Cass., n. 21769/2024; Cass., n. 29740/2018), il cui inutile decorso implica
decadenza dalle relative facoltà processuali (Cass., n. 15435/2018; Cass., n. 6277/2016).
Nessuna abnormità può dunque predicarsi quanto al provvedimento assunto, posto che ciò che rileva è solo la circostanza per cui, alla predetta inosservanza, consegue l’inammissibilità della domanda concordataria e, in particolare, anche a ll’atto della scadenza del termine ex art. 162 l. fall., ancorché prorogato, il ricorrente decade da ulteriori facoltà processuali e la proposta va valutata rebus sic stantibus , avendo il debitore consumato il termine concesso per emendare l’originaria proposta , come richiesto dal Tribunale. La sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che non potessero essere valutate, ai fini della completezza della proposta concordataria, le memorie e la documentazione depositate successivamente al termine del 25 febbraio 2021, già oggetto di proroga, ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
6 . Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo ai fini della sussistenza dell’abuso dello strumento concordatario, costituito dalla interlocuzione con l’organo commissariale , tale da escludere l’elemento soggettivo caratterizzante l’abuso del diritto e il differimento della dichiarazione di fallimento.
Il secondo motivo appare inammissibile in quanto -al di là della carente indicazione della decisività del suddetto fatto storico -emerge dalla sentenza impugnata che il fatto dedotto da parte ricorrente è stato espressamente preso in esame dalla sentenza impugnata ( « non può poi ovviamente avere effetto ‘scriminante’ dal puto di vista processuale l’interlocuzione coi precommissari sin anche in pendenza della riserva di decisione presa dal Tribunale all’ultima udienza del 18.5.2021 » ).
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 186 -bis l. fall. e dell’art. 104 l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il concordato non sia qualificabile in termini di concordato in continuità, bensì quale concordato liquidatorio, essendo la prosecuzione dell’attività aziendale funzionale alla liquidazione. Parte ricorrente osserva, a sostegno della sussistenza della continuità aziendale, che il giudice delegato al fallimento aveva autorizzato l’esercizio provvisorio dell’impresa . Osserva, inoltre, che la continuità possa essere assicurata anche in vista della dismissione del patrimonio e deduce che la stessa autorizzazione dell’esercizio provvisorio, peraltro disposto a termini dell’art. 104, secondo comma, l. fall. in assenza di rischio di danno grave per interruzione della gestione caratteristica, dimostrerebbe la sussistenza di una continuità in atto.
Il motivo è infondato sotto due profili. In primo luogo, il caso di specie è diverso da quanto oggetto del precedente di questa Corte (Cass., n. 734/2020), menzionato dal ricorrente, già oggetto di esame da parte del giudice di appello, al fine di ritenere integrata una falsa applicazione della norma di cui all’art. 186 -bis l. fall., essendo affatto differente l’oggetto sociale perseguito dalla ricorrente da quello della società il cui precedente qui si richiama.
Nel caso già deciso da questa Corte (Cass., n. 734/2020, cit.), si trattava di una società immobiliare che proseguiva la sua attività caratteristica, procedendo alla vendita di immobili dando esecuzione a contratti preliminari pendenti, attività coerente con l’oggetto sociale. Peraltro, l’attività caratteristica in quel caso non era di sola vendita di immobili, in quanto era stato accertato che la dismissione degli immobili era strumentale alla acquisizione di liquidità finalizzata al completamento di altri immobili.
11 . Diversamente, l’attività di una holding di partecipazioni consiste nel possesso e nella gestione delle partecipazioni, gestione che può avere scopo finanziario (gestire le partecipazioni al fine di ottimizzarne il reddito, ovvero anche per diversificare il rischio per il capitale investito) o (anche cumulativamente) scopo propriamente imprenditoriale di gestione della stessa partecipata. Nel caso di specie -come accertato dalla sentenza impugnata -il beneficio dell’attività di holding era essenzialmente di natura fiscale (consolidato fiscale) e finalizzato alla percezione di utili della partecipata RAGIONE_SOCIALE, mentre tutte le altre partecipazioni sarebbero state dismesse dal « Centro servizi» senza ulteriori acquisizioni , ossia da una struttura organizzativa destinata essa stessa a essere sostanzialmente smantellata (« i suoi dipendenti a ridursi da oltre 80 a 4 »). Una holding di partecipazioni che, durante la vigenza di un piano concordatario, si limiti (oltre a beneficiare del regime del consolidato e a percepire utili da una controllata) a dismettere ordinatamente le proprie partecipazioni, non può beneficiare -alla stregua di una ricostruzione tipologica versata in fatto e così chiaramente esibita dal giudice di merito – del regime del concordato con continuità aziendale , non essendo l’attività svolta in concreto qualificabile come oggetto sociale caratterizzante una holding di partecipazioni.
12. Vi è, inoltre, un secondo profilo di frizione tra la continuità aziendale invocata dal ricorrente nel caso di specie e quanto indicato nell’art. 186 -bis l. fall. costituito, come ancora correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, dalla non riconoscibilità di una residua attività aziendale funzionalmente rilevante quale attività di impresa. Prendendo sempre le mosse dal precedente citato (Cass., n. 734/2020), che ha enunciato il principio secondo cui è rinvenibile continuità in caso di « funzionalità di una porzione dei beni alla
continuazione dell’impresa in uno scenario concordatario» (Cass., ult. cit.), questa Corte ha di recente precisato che il complesso aziendale che sarebbe destinato a sopravvive re all’omologa del concordato deve qualificarsi come « articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità ed alla quale i beni sottratti alla liquidazione siano effettivamente strumentali» (Cass., n. 348/2025). Pur essendo compatibile un ridimensionamento quantitativo della pregressa attività di impresa , l’attività di impresa deve proseguire « con le peculiari caratteristiche già assunte , mantenendo « la sua identità sotto un profilo qualitativo, senza essere completamente destrutturata e sostituita con un’attività di impresa altra e differente da quella precedentemente svolta» (Cass., ult. cit.).
13. La prosecuzione dell ‘ attività di impresa, al fine di consentire la qualificazione del piano concordatario quale continuità aziendale, deve dunque riguardare, ove la prosecuzione sia soltanto parziale, quanto meno una porzione significativa del nucleo aziendale, vale a dire un’articolazione funzionalmente autonoma dell’attività economica precedentemente organizzata che conservi la propria identità. La conservazione di questa identità deve essere accertata in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione prevista in piano (tra cui, ad esempio, il tipo d’impresa, l’identità dell’attività produttiva, l’utilizzo, almeno in parte, della medesima forza lavoro, il tendenziale mantenimento della stessa clientela, la sottrazione alla liquidazione e la destinazione, almeno in parte, dei beni materiali già in precedenza utilizzati per lo svolgimento dell’attività : Cass., n. 348/2015).
14. Ne consegue, condivisibilmente anche per la vicenda di causa, che non può predicarsi l’esistenza di un piano con continuità aziendale in caso di una prosecuzione qualsiasi dell’attività di
impresa, ma solo ove la continuità investa una porzione significativa e autonoma dell’originaria attività di impresa. Sotto questo profilo, il giudice di appello -come anche evidenziato in controricorso (pag. 17) – ha ritenuto che « i beni e le attività previste come residue non costitui di per sé un’attività aziendale organizzata’; e ha giudicato che le azioni previste dal piano RAGIONE_SOCIALE non avessero contenuto ulteriore rispetto a una mera previsione di liquidazione, mancando qualsiasi contributo di creazione di valore rispetto a una liquidazione atomistica». La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
Il terzo motivo è, invece, inammissibile nella parte in cui deduce la rilevanza del successivo esercizio provvisorio da parte del curatore del fallimento, in quanto censura aspecifica rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata.
16 . Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio relativamente alla autorizzazione della transazione con gli obbligazionisti titolari di pegno sulle partecipazioni in MST. Parte ricorrente riepiloga che, a seguito di una operazione di finanziamento in data 29 gennaio 2019, alcuni obbligazionisti avevano ricevuto in pegno il 46,1% delle azioni di MST possedute dalla ricorrente tramite una controllata lussemburghese (partecipazione strategica nella proposta concordataria) e, a tacitazione di un duplice contenzioso attivato in Italia e in Lussemburgo, avevano raggiunto un accordo transattivo in data 31 dicembre 2019 soggetto ad autorizzazione del Tribunale. Parte ricorrente osserva che il giudizio di non convenienza adottato nella sentenza impugnata è stato viziato dall’omess a valutazione della complessità del contenzioso pendente, il cui potenziale esito negativo avrebbe portato all’escussione del pegno
delle azioni MST da parte degli obbligazionisti e alla preclusione della vendita della partecipazione sul mercato.
Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 161 e 162 l. fall. nella parte in cui la sentenza impugnata ha considerato impeditivo dell’ammissione un profilo di convenienza del concordato, non sottoposto al sindacato giudiziale, quale la valutazione in merito alle probabilità di avveramento delle condizioni cui è sottoposto l’intervento di RAGIONE_SOCIALE, nonostante tale intervento non fosse « ess enziale all’esecuzione del piano di concordato, rilevando solo in quanto offre ai creditori utilità ulteriori rispetto alla percentuale di soddisfacimento oggetto di attestazione» . Osserva parte ricorrente che tale profilo attiene unicamente alla convenienza della proposta, non soggetta a sindacato giurisdizionale.
Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione delle medesime disposizioni (artt. 161 e 162 l. fall.), nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto ostativo all’ammissione al concordato preventivo un altro profilo di convenienza della proposta, come tale non sottoposto al sindacato del giudice, quale la probabilità che i detentori di strumenti finanziari partecipativi (SFP) ottengano le utilità derivanti dalla loro sottoscrizione, « nonostante tali utilità siano ulteriori rispetto alla percentuale di soddisfacimento oggetto di attestazione », in termini analoghi al superiore profilo.
Con il settimo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 162, secondo comma, l. fall., del l’art. 161, terzo comma, l. fall. nonché de ll’art. 186 -bis , secondo comma, lett. b) l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto non correttamente
attestata la fattibilità del concordato sulla base di una valutazione di merito non consentita dalla legge. Osserva parte ricorrente, in analogia con le deduzioni di cui ai superiori due motivi, che le valutazioni compiute sulla « tenuta » dell’attestazione sfuggirebbero al sindacato giurisdizionale, con particolare riferimento al giudizio sull’emissione degli SFP, alla prospettiva di rifinanziamento del prestito obbligazionario, alle prospettive della continuità aziendale, al beneficio del consolidato fiscale, nonché al giudizio di convenienza rispetto alla alternativa liquidatoria.
20. Con l’ottavo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 161, 162 e 186bis l. fall., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che « l’attestazione della convenienza rispetto al fallimento sia un presupposto di ammissibilità del concordato preventivo con continuità aziendale, e ha conseguentemente ritenuto carente la relazione con riferimento a tale (non necessario) punto». Deduce parte ricorrente -in termini analoghi rispetto al superiore motivo -che « la Corte di Appello abbia erroneamente ampliato il perimetro delle attestazioni richieste al professionista, imponendogli di attestare anche la convenienza del concordato rispetto al fallimento », valutazioni anch’esse non soggette a sindacato giurisdizionale.
21. I motivi dal quarto all’ottavo sono inammissibili per difetto di interesse, in quanto l’esame di essi, per come attinenti alla proposta modificata successivamente alla scadenza del termine del 25 febbraio 2021, non è in grado di incidere sulla legittimità della sentenza impugnata, consolidatasi in relazione alla incompletezza della domanda di concordato come risultante alla data del 25 febbraio 2021 e alla non configurabilità della proposta in termini di concordato con continuità aziendale. Il ricorso va, pertanto,
rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 12.000,00 , oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico di parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12/03/2025.