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Termine concordato preventivo: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 8365/2025, ha rigettato il ricorso di una holding, confermando la dichiarazione di fallimento. La Corte ha stabilito che il termine concordato preventivo per integrare la proposta è perentorio e non prorogabile, rendendo inammissibili i documenti depositati tardivamente. Inoltre, ha chiarito che l’attività di una holding, se finalizzata alla mera dismissione delle partecipazioni, non configura una continuità aziendale ma un concordato liquidatorio, con requisiti più stringenti.

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Concordato Preventivo: la Natura Perentoria del Termine e i Limiti della Continuità Aziendale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito due principi fondamentali in materia di crisi d’impresa, offrendo chiarimenti cruciali sulla natura del termine concordato preventivo e sulla corretta qualificazione della continuità aziendale per le società holding. La decisione sottolinea l’importanza del rigore procedurale e della sostanza economica del piano di risanamento, principi che ogni imprenditore e professionista del settore deve conoscere.

I Fatti di Causa

Una società holding, attiva nella gestione di partecipazioni commerciali e industriali, presentava una domanda di concordato preventivo con continuità aziendale. Il Tribunale concedeva un termine per integrare la documentazione, termine che veniva successivamente prorogato. Tuttavia, alla scadenza definitiva, la proposta risultava ancora incompleta. La società depositava ulteriori memorie e una nuova attestazione professionale dopo la scadenza, senza però aver ottenuto un’ulteriore proroga.

Il Tribunale di primo grado dichiarava inammissibile la domanda e decretava il fallimento della società, rilevando l’incompletezza della proposta alla data di scadenza e un abuso dello strumento concordatario. La Corte d’Appello confermava la decisione, sottolineando come il termine per le integrazioni fosse perentorio e che, di conseguenza, tutta la documentazione prodotta tardivamente fosse inutilizzabile. Inoltre, il giudice di secondo grado riqualificava la proposta come meramente liquidatoria, poiché l’attività della holding si limitava alla dismissione del patrimonio senza una reale prosecuzione dell’attività d’impresa.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando principi giuridici di notevole importanza pratica.

Le Motivazioni sul termine concordato preventivo

Il cuore della decisione risiede nella natura del termine concordato preventivo concesso dal giudice ai sensi dell’art. 162 della legge fallimentare. La Suprema Corte ha affermato senza mezzi termini che tale termine ha natura perentoria. Questo significa che il suo mancato rispetto comporta la decadenza dalla facoltà di compiere l’attività richiesta, in questo caso l’integrazione della proposta e del piano.

La differenza tra termine perentorio e ordinatorio

A differenza di un termine ordinatorio, che può essere abbreviato o prorogato, il termine perentorio stabilisce un limite invalicabile. La sua funzione è quella di garantire la celerità e la certezza del procedimento, evitando che la procedura concordataria si protragga indefinitamente a danno dei creditori. Di conseguenza, la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito di non considerare le memorie depositate dopo la scadenza del termine, poiché la proposta doveva essere valutata nello stato in cui si trovava in quel preciso momento.

Le Motivazioni sulla continuità aziendale per una holding

Un altro punto cruciale affrontato dalla Corte riguarda la qualificazione del piano. La società sosteneva di operare in continuità aziendale, ma il suo piano prevedeva essenzialmente la gestione e la dismissione delle partecipazioni detenute, senza nuove acquisizioni o un’effettiva attività imprenditoriale. La Cassazione ha chiarito che, per aversi continuità aziendale, non basta una qualsiasi prosecuzione di attività.

La distinzione chiave: gestione liquidatoria vs. attività d’impresa

L’attività deve conservare una propria identità qualitativa e funzionale, rappresentando la continuazione di un’impresa organizzata e non la mera gestione di un patrimonio in via di dismissione. Una holding che si limita a liquidare le proprie partecipazioni, anche se in modo ordinato, sta di fatto attuando un piano liquidatorio. Questa distinzione è fondamentale perché un concordato liquidatorio deve assicurare ai creditori chirografari il pagamento di almeno il 20% dei loro crediti, requisito non previsto per il concordato in continuità. Nel caso di specie, il piano, riqualificato come liquidatorio, non rispettava tale soglia, determinandone un’ulteriore ragione di inammissibilità.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame lancia un messaggio chiaro a imprese e professionisti: la procedura di concordato preventivo richiede un rispetto rigoroso delle scadenze processuali. Il termine concordato preventivo per integrare la proposta è perentorio, e il suo superamento ha conseguenze fatali per l’esito della procedura. Inoltre, la qualificazione di un piano come “in continuità” non è una mera etichetta, ma deve rispecchiare la sostanza economica dell’operazione. Un’attività che si risolve nella mera liquidazione di asset, anche se complessi come le partecipazioni societarie, non può beneficiare delle norme di favore previste per la continuità aziendale. Questa pronuncia rafforza la necessità di presentare piani concordatari solidi, completi e realistici sin dall’inizio, rispettando scrupolosamente le regole procedurali per non vanificare le possibilità di risanamento.

Il termine concesso dal tribunale per integrare la proposta di concordato preventivo è prorogabile?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il termine previsto dall’art. 162 della legge fallimentare ha natura perentoria. Una volta concesso, anche se prorogato entro i limiti massimi di legge, il suo decorso implica la decadenza dalla facoltà di presentare ulteriore documentazione, e la proposta viene valutata nello stato in cui si trova alla scadenza.

L’attività di una holding che gestisce e dismette le proprie partecipazioni può essere considerata “continuità aziendale” ai fini del concordato preventivo?
Non necessariamente. Secondo la sentenza, se l’attività si limita a una dismissione ordinata delle partecipazioni senza una prospettiva di gestione imprenditoriale e di creazione di nuovo valore, si tratta di un’attività liquidatoria. Per aversi continuità aziendale, deve proseguire un’attività d’impresa che conservi la propria identità qualitativa, non una mera liquidazione del patrimonio.

Cosa succede se si depositano memorie e documenti dopo la scadenza del termine perentorio nel concordato preventivo?
Gli atti depositati dopo la scadenza di un termine perentorio non autorizzato sono inutilizzabili e non possono essere presi in considerazione dal giudice. La proposta di concordato viene valutata sulla base della documentazione presente alla data di scadenza del termine, e la sua eventuale incompletezza a quella data ne determina l’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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