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Termine accertamento illecito: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza della Corte d’Appello che aveva cancellato una sanzione di un’autorità di vigilanza contro gli ex amministratori di una banca. La questione centrale era il termine di accertamento illecito. La Cassazione ha stabilito che il termine di 180 giorni per la contestazione non decorre dalla semplice ricezione di informazioni, ma dal momento in cui l’autorità ha completato la raccolta di tutti gli elementi necessari per una valutazione definitiva, un momento la cui determinazione spetta all’autorità stessa e non può essere sindacata dal giudice.

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Termine Accertamento Illecito: la Cassazione Fissa i Paletti per le Autorità di Vigilanza

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale sul termine accertamento illecito nelle procedure sanzionatorie finanziarie. La Corte ha stabilito che il momento da cui far partire il conteggio per la contestazione di una violazione non è la semplice acquisizione dei primi indizi, ma la conclusione dell’intera attività istruttoria da parte dell’organo di vigilanza. Questa decisione rafforza l’autonomia delle autorità di controllo e definisce i limiti del sindacato del giudice.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una sanzione amministrativa pecuniaria inflitta da un’autorità di vigilanza finanziaria agli ex membri del consiglio di amministrazione di un istituto di credito. La contestazione riguardava la violazione degli obblighi informativi nelle offerte al pubblico di strumenti finanziari, avvenute tra il 2012 e il 2014. Gli amministratori avevano impugnato la sanzione, e la Corte d’Appello aveva dato loro ragione, annullando la delibera sanzionatoria. Secondo la Corte territoriale, l’autorità aveva avviato la procedura sanzionatoria troppo tardi, violando il termine di 180 giorni previsto dall’art. 195 del Testo Unico della Finanza (TUF). La Corte d’Appello riteneva che l’autorità fosse in possesso di informazioni sufficienti per agire già nel 2014, mentre la procedura era stata formalmente avviata solo nel 2016.

La Decisione della Cassazione e il Termine Accertamento Illecito

L’autorità di vigilanza ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la valutazione della Corte d’Appello. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando la causa ad altra sezione della Corte d’Appello. Il punto centrale della decisione riguarda l’interpretazione del concetto di ‘accertamento’, che costituisce il dies a quo (giorno di partenza) per il calcolo del termine di 180 giorni. La Cassazione ha affermato un principio fondamentale: l’accertamento non coincide con la mera acquisizione di una notizia di illecito o di singoli documenti. Al contrario, esso si completa solo quando l’autorità ha acquisito e analizzato tutti gli elementi informativi necessari per ricostruire l’illecito in ogni suo aspetto. La valutazione sull’opportunità di avviare indagini e sul momento in cui l’istruttoria può dirsi conclusa è una prerogativa dell’autorità competente. Il giudice dell’opposizione non può sostituirsi ad essa, giudicando ‘tardivo’ l’inizio dell’indagine o ritenendo che l’autorità avrebbe dovuto agire prima sulla base di informazioni parziali. Nel caso specifico, la Corte ha evidenziato che l’autorità aveva ricevuto documenti cruciali dalla Banca Centrale solo nel maggio 2016, e solo da quel momento l’attività di indagine poteva considerarsi completa e definita, facendo così partire il termine per la contestazione.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha motivato la sua decisione ribadendo che il giudice non può entrare nel merito delle scelte discrezionali dell’organo di vigilanza riguardo ai tempi e alle modalità di esercizio dei poteri ispettivi. Un’interpretazione diversa, come quella adottata dalla Corte d’Appello, porterebbe il giudice a effettuare una valutazione ex post sulla congruità delle indagini, invadendo una sfera di competenza esclusiva dell’amministrazione. L’accertamento, si legge nella sentenza, è un processo complesso che richiede tempo per l’esame del materiale raccolto e per la valutazione della sussistenza degli estremi dell’illecito. Pertanto, il termine accertamento illecito si perfeziona solo quando l’organo di vigilanza ritiene, in base al suo giudizio tecnico, di avere un quadro completo e sufficiente per formulare una contestazione. Imporre un avvio ‘anticipato’ basato su dati incompleti sarebbe contrario alla logica di un’efficace attività di vigilanza.

Le Conclusioni

Con questa pronuncia, la Corte di Cassazione rafforza l’autonomia e la discrezionalità tecnica delle autorità di vigilanza nel condurre le proprie indagini. La sentenza chiarisce in modo definitivo che il termine per contestare un illecito finanziario inizia a decorrere non da quando emergono i primi sospetti, ma da quando l’istruttoria è formalmente e sostanzialmente conclusa. Questa interpretazione garantisce che le contestazioni siano basate su un’analisi completa e ponderata, evitando azioni affrettate e potenzialmente infondate. Per gli operatori del settore, ciò significa che l’azione dell’autorità di vigilanza è vincolata a termini precisi, ma la determinazione del loro punto di partenza è saldamente nelle mani dell’autorità stessa, entro i limiti della ragionevolezza e della correttezza procedurale.

A partire da quale momento decorre il termine di 180 giorni per la contestazione di un illecito finanziario?
Il termine decorre dal momento in cui l’autorità di vigilanza ha completato l’accertamento, ovvero quando ha acquisito e valutato tutti gli elementi informativi necessari a ricostruire compiutamente l’illecito. Non coincide con la mera ricezione delle prime notizie o documenti.

Può un giudice sindacare i tempi di un’indagine di un’autorità di vigilanza, ritenendola tardiva?
No, secondo la Corte di Cassazione il giudice non può sostituirsi all’organo di vigilanza nel valutare l’opportunità e i tempi dell’esercizio dei poteri d’indagine. Il giudice non può giudicare come tardivo l’inizio di un’ispezione o di un’indagine.

Cosa si intende per ‘motivazione apparente’ di una sentenza?
Si ha motivazione apparente quando la sentenza, pur presentando un testo graficamente esistente, non permette di individuare un percorso logico-argomentativo che sorregga la decisione, a causa di contrasti irriducibili o di una sua incomprensibilità. Tale vizio, se grave, può portare alla nullità della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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