Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 5363 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 5363 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16360/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elett.te domiciliata in PadovaINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elett.te domiciliata in UdineINDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO TRIESTE n. 37/2020 depositata il 30/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
È proposto ricorso dalla RAGIONE_SOCIALE, sulla base di sei motivi, avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste del 30 gennaio 2020, che, in riforma della decisione di primo grado, ha accolto solo parzialmente l’appello incidentale della società, con la quale la stessa lamentava l’illegittimo addebito di una serie di poste nei rapporti bancari intrattenuti tra le parti, respingendo i motivi afferenti la pretesa mancata predeterminazione del tasso degli interessi ultralegali e la pattuizione di interessi usurari.
La banca intimata ha depositato controricorso.
La ricorrente ha depositato la memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-I primi tre motivi deducono censure afferenti il convincimento del giudice del merito circa la determinatezza del tasso degli interessi ultralegali pattuito tra le parti.
In particolare, con essi si lamenta:
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1284, 1346 e 1418 c.c., 117 t.u.b., perché la corte territoriale ha ritenuto provata la pattuizione per iscritto del tasso degli interessi ultralegali applicati, sebbene nei contratti di conto corrente e di affidamento non sia stata indicata la misura degli stessi, non essendo ammesso il richiamo ad un foglio informativo o al documento di sintesi, peraltro quest’ultimo non menzionato dalla corte d’appello a fondamento della sua decisione;
l’omesso o erroneo esame dei fatti, concernenti l’esistenza di un valido rinvio a documento esterno per la determinazione dei tassi d’interesse;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., perché l’interpretazione dei negozi non conduceva a quelle conclusioni, onde la motivazione si appalesa pure apparente.
I motivi sono infondati o inammissibili.
La corte territoriale ha accertato che il tasso degli interessi fu sin dal principio pattuito in modo determinato e trasparente tra le parti, mediante la sottoscrizione di un ‘ prospetto allegato ‘ ai contratti di conto corrente e di finanziamento, prospetto consistente nei ‘ fogli informativi ‘, del pari sottoscritti dalla correntista, nei quali è indicato il tasso debitore dell’8,35% ed il tasso del 13,25% per l’ipotesi di superamento della soglia del fido.
In tal modo, reputando direttamente pattuito il tasso fisso tra le parti, senza alcun rinvio ad elementi ulteriori in ipotesi di tasso variabile, la corte si è posta nel rispetto dei principi affermati da questa Corte, ha esposto una motivazione coerente ed ha interamente esaminato i fatti di causa.
Costituisce invero principio consolidato che la misura del tasso degli interessi, quale elemento che integra l’oggetto del contratto, ai sensi dell’art. 1346 c.c. debba essere determinato o determinabile.
L’art. 117, comma 3 e 4, t.u.b., nel prescrivere che i contratti « indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati » e che sono « nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati », ammette che le parti fissino il saggio di interesse per relationem a documenti esterni al contratto.
Il riferimento esterno, peraltro, può consistere in un tasso determinato, o meramente determinabile.
Sotto quest’ultimo aspetto, la sentenza dalla ricorrente richiamata (Cass., sez. I, 26 giugno 2019, n. 17110) si occupa del
tasso meramente determinabile, condivisibilmente precisando che l’ art. 117, comma 6, t.u.b. ammette la relatio ed impone soltanto, secondo la ratio della disposizione, che il cliente sia posto in condizione di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma; concludendo come « è evidente, allora, che tale finalità possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioè suscettibile di attuarsi in modo inequivoco ». La citata decisione si occupa del tasso variabile mediante lo strumento dell’indicizzazione -che pure essa reputa legittimo, consentendo al cliente di accedere a formule di finanziamento a tasso variabile che altrimenti gli sarebbero precluse -per l’insufficienza del rinvio ad un «generico top rate »: e proprio in quanto ivi si trattava di tasso variabile, specificato solo con riferimento ad un avviso sintetico esposto al pubblico e la pubblicazione periodica attuata sulla Gazzetta Ufficiale, dunque non adeguatamente ‘determinabile’ ex art. 1346 c.c.
In tale prospettiva, è stato ulteriormente confermato che il tasso può essere lecitamente determinabile per relationem con rinvio a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obiettivamente individuabili, senza alcun margine di incertezza né di discrezionalità, come nel leasing (Cass., sez. III, 17 ottobre 2023, n. 28824), al pari che nel contratto di mutuo, mediante l’indicizzazione al parametro rappresentato dal tasso interbancario Libor , in quanto collegata a dati oggettivi di agevole e pubblico riscontro calcolati in modo unitario su scala europea (Cass., sez. II, 27 dicembre 2023, n. 36026), secondo un principio
risalente e mai smentito, secondo cui l ‘obbligo della forma scritta sancito per la validità della pattuizione di interessi ultralegali non postula necessariamente che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito, ma può essere soddisfatto anche per relationem , richiedendosi, in questo caso, che le parti richiamino per iscritto criteri prestabiliti ed elementi estrinseci al documento negoziale, obiettivamente individuabili, che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale (Cass., sez. I, 29 novembre 1996, n. 10657).
Orbene, nel caso di specie -secondo gli accertamenti di merito della corte territoriale, qui non ulteriormente sindacabili -il tasso è stato precisato, invece, in modo esplicito e diretto mediante una cifra numerica, indicata in un documento materialmente allegato: onde si tratta di determinato, non solo determinabile. Dunque non esisteva, contrariamente a quanto sostiene la ricorrente, nessun rinvio a ‘fonti esterne’ per definire la misura degli interessi, ma semplicemente un luogo fisico, ossia il documento allegato al contratto e parte integrante delle previsioni negoziali, risultando in tal modo determinato ex ante e con pattuizione diretta fra le parti il tasso di interesse applicato.
Ne risulta, dunque, smentito già nei fatti presupposti il primo motivo.
Il secondo motivo, in cui la parte ricorrente deduce il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., è inammissibile, per la presenza di una c.d. doppia conforme. È invero è rimasto non assolto l’onere del ricorrente di allegare e dimostrare che le ragioni di fatto poste a base del provvedimento impugnato siano diverse da quelle della decisione appellata. Infatti, nell’ipotesi di «doppia conforme» prevista dal quinto comma dell’art. 348 -ter c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5
dell’art. 360 c.p.c, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le tante, Cass., sez. 3, 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 25 gennaio 2021, n. 1503; Cass. 22 gennaio 2021, n. 1403; Cass., sez. trib., 20 giugno 2019, n. 16554; Cass., sez. II, 10 marzo 2014, n. 5528).
La censura di violazione dei criteri di interpretazione del contratto, esposta nel terzo motivo, è infine inammissibile, palesandosi un tentativo di diversamente apprezzare gli elementi documentali in atti, laddove, nel giudizio di legittimità, le censure relative all’interpretazione del contratto offerta dal giudice di merito possono essere prospettate solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della radicale inadeguatezza della motivazione, ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta dai giudici di merito non riveste alcuna utilità ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata (fra le tante, Cass, sez. I, 29 gennaio 2021, n. 995).
-Il secondo gruppo di motivi deduce censure afferenti il convincimento del giudice di merito circa l’insussistenza dell’usura.
In particolare, con essi si lamenta, proseguendone la numerazione:
l’omesso o insufficiente esame dei fatti, per avere la sentenza impugnata ritenuto insussistente l’usura non rilevando quella c.d. sopravvenuta, con motivazione apparente;
la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., perché l’interpretazione dei negozi non conduceva a ritenere pattuito un tasso degli interessi ed una c.m.s. determinati;
6) la violazione e falsa applicazione degli artt. 1815 c.c. e 644 c.p., perché nei contratti difettava una idonea pattuizione della c.m.s., che in essi non era indicata.
I motivi sono inammissibili.
La corte territoriale ha ritenuto di adeguarsi ai principî, enunciati dalla Corte di legittimità, sia quanto alla c.d. usura sopravvenuta (Cass., sez. un., n. 24675 del 2017), sia quanto alla c.m.s. (menzionando Cass., sez. un., n. 16303 del 2018) e concludendo, in punto di fatto, che non vi fu mai superamento del tasso soglia, neppure calcolandovi la c.m.s., pattuita nella misura dell’1%.
In tal modo, il giudice in grado di appello, confermando gli accertamenti del primo grado, ha apprezzato il materiale probatorio in atti, e, nel suo convincimento non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto raggiunta in via documentale la prova piena del credito vantato dalla banca, con riguardo agli elementi ivi evidenziati.
Ne deriva che risultano inammissibili le censure proposte, in quanto volte, sotto l’egida formale del vizio di violazione di legge, sostanziale o processuale, a pretendere dalla Corte di legittimità una rivisitazione della vicenda concreta, già scrutinata dai giudici del merito, tramite la lettura degli atti istruttori: ma il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della concreta vicenda a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità ( e multis , Cass. 15 aprile 2021,
n. 10029; Cass. 17 febbraio 2021, n. 4172; Cass. 22 gennaio 2021, n. 1341; Cass. 4 maggio 2020, n. 8444; Cass. 10 marzo 2020, n. 6692; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 14 gennaio 2019, n. 640); rimane, pertanto, estranea a tale vizio qualsiasi censura volta a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova, posto che la valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176/2017; Cass. n. 20802/2011; Cass. n. 42/2009).
Del pari, valga quanto sopra già precisato circa i limiti della censura di violazione dei canoni interpretativi del contratto di cui agli artt. 1362 ss. c.c.
A ciò si aggiunga come, laddove parte ricorrente deduce il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., i motivi si palesano inammissibili, trattandosi al riguardo di una c.d. doppia conforme e difettando l’allegazione e prova che le ragioni di fatto poste a base del provvedimento impugnato siano diverse da quelle della decisione appellata, secondo il principio consolidato, già sopra richiamato.
3. -Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Dichiara che sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 22 febbraio