Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8663 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8663 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5200/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’avvocato NOME COGNOME, giusta procura speciale in atti
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in atti
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE DI APPELLO DI ROMA n. 7808/2017 depositata il 07/12/2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27/03/2023
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 12 aprile 2012 la RAGIONE_SOCIALE conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la società RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che fosse accertato e dichiarato l’inadempimento di quest’ultima rispetto alle obbligazioni derivanti dal contrat to concluso tra le parti con scrittura del 31 maggio 2010, con il quale essa attrice aveva ricevuto l’incarico di vendere un terreno sito in Roma, con sovrastante fabbricato artigianaleindustriale. Nell’atto di conferimento dell’incarico si specificava no il prezzo di euro 6.500.000,00 per la vendita dell’immobile , la percentuale che RAGIONE_SOCIALE si obbligava a corrispondere al momento dell’avvenuta vendita, pari al 3% del prezzo finale e la validità del mandato a partire dal 20 maggio 2010 sino al 31 dicembre dello stesso anno, con previsione di tacito rinnovo per analogo periodo, salvo espressa disdetta di una parte all’altra con lettera raccomandata entro i 15 giorni precedenti la naturale scadenza.
Asseriva l’attrice di aver ricevuto e trasmesso una proposta di acquisto formulata dalla RAGIONE_SOCIALE e accettata da RAGIONE_SOCIALE, la quale, dopo essere stata notiziata, in data 8 agosto 2011, delle contestazioni avanzate da RAGIONE_SOCIALE sulla
presenza di lastre di cemento amianto a copertura di parte dell’immobile, con nota del 29 agosto 2011 comunicava la disdetta dell’incarico di vendita. Posto che la provvigione, secondo quanto stabilito dal contratto, era dovuta anche in caso di revoca prima della data della scadenza, RAGIONE_SOCIALE chiedeva alla società convenuta il pagamento della somma di euro 195.000 a tale titolo.
Si costituiva in giudizio COGNOME chiedendo il rigetto delle domande attoree, posto che la lettera di incarico sottoscritta prevedeva una scadenza, al cui maturarsi, come nella specie, nulla era dovuto alla società mediatrice in caso di mancata vendita. Interveniva in causa NOME COGNOME, acquirente da RAGIONE_SOCIALE del credito litigioso oggetto di causa, facendo proprie le deduzioni di quest’ultima .
Con sentenza n. 13906/2014, il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e condannava la società convenuta al pagamento della provvigione, rilevando che la società venditrice aveva revocato l’incarico al mediatore prima della scadenza; tale incarico, così come previsto nel contratto, si era tacitamente rinnovato per mancata disdetta una prima volta alla scadenza del 31.12.2010 e una seconda volta nel giugno 2011, atteso che la relativa pattuizione non prevedeva che il tacito rinnovo potesse intervenire una sola volta.
COGNOME proponeva appello censurando la sentenza del giudice di prime cure con due motivi di gravame : l’erronea interpretazione della pattuizione del contratto relativa alla durata dell’incarico e la violazione del principio di buona fede da parte del mediatore.
La Corte di Appello di Roma, con pronuncia n.7808/2017, emessa nella resistenza dell’appellata COGNOME NOME, rigettava l’appello.
Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a due motivi di ricorso illustrati da memoria.
Resiste NOME COGNOME con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1370 e 1371 c.c., anche in relazione agli artt. 1184 e 1535 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., censurando la decisione della Corte distrettuale nella parte in cui, nell’interpretare il contratto per stabilire la sua vigenza all’epoca della lettera (29 agosto 2011) con la quale la ricorrente aveva dichiarato di sciogliersi dal vincolo, ha applicato il solo criterio ermeneutico espresso dall’art. 1362 c.c., secondo comma c.c., mentre avrebbe dovuto applicare i criteri di cui agli artt. 1370 e 1371 c.c.
In particolare, la ricorrente ritiene che, avendo il giudice di appello esplicitamente espresso l’insufficienza del criterio letterale, rimanendo dubbi sulla volontà delle parti (in quanto, ‘ nella fattispecie, le espressioni letterali dell’atto non sono idonee a dimostrare con certezza se le parti statuirono un solo rinnovo nell’ipotesi di mancata disdetta ovvero se intesero convenire la possibilità di più rinnovi, attesa l’assenza di espressi oni normalmente usate nell’una e nell’altra ipotesi…’) , ne doveva conseguire il ricorso al criterio di cui all’art. 1370 c.c., trattandosi di un contratto concluso su formulario predisposto da RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, la Corte distrettuale avrebbe applicato erroneamente il secondo comma dell’art. 1362 c.c. per avere cronologicamente e logicamente invertito la successione degli eventi nello scambio epistolare intercorso fra la RAGIONE_SOCIALE (8.8.2011) e RAGIONE_SOCIALE
(risposta del 29.8.2021), nella parte in cui si parla di ‘comune intenzione delle parti’ sull’errato presupposto che nella lettera del 29 agosto 2011 COGNOME avrebbe confermato che il contratto con RAGIONE_SOCIALE fosse ancora in essere.
In ogni caso, la sottoscrizione del contratto preliminare era la condizione che avrebbe reso esigibile la provvigione dell’agente all’avverarsi dell’evento allora futuro ed incerto. Di conseguenza, dalla mancata sottoscrizione del contratto preliminare con il terzo promissario acquirente, doveva derivare l’accertamento e la dichiarazione del mancato avveramento della condizione che avrebbe legittimato la corresponsione della provvigione all’agente .
2.Con il secondo motivo – così titolato: ‘Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c. e seguenti e 1754 c.c. e seguenti; violazione artt. 1337, 1366 e 1375 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.) ‘ -la ricorrente contesta alla decisione impugnata di avere erroneamente deciso sulle contestazioni mosse a RAGIONE_SOCIALE, alla quale ha attribuito un comportamento negligente e infedele nella cura dell’affare, in palese violazione della terzietà che si richiede al mediatore, ritenuto avere tenuto un comportamento in violazione dell’obbligo di buona fede, consistente nell’avere fatto ‘acriticamente proprie le argomentazioni della RAGIONE_SOCIALE nella propria missiva dell’8.08.2011′ .
Secondo l’istante, sia il giudice di prime cure che la sentenza impugnata hanno omesso di pronunciarsi sul punto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché degli artt. 1453 ss. e 1754 c.c. A tale riguardo lo stesso fa rilevare come nella proposta irrevocabile di acquisto del promissario acquirente si precisava che l’immobile era stato visionato tramite l’agenzia RAGIONE_SOCIALEnelle condizioni in cui attualmente si trova, visto e piaciuto’ successivamente agli accessi effettuati nell’ immobile stesso ed evidenzia di non avere mai
ricevuto convocazione avanti al notaio come da proposta di acquisto della RAGIONE_SOCIALE. Risulterebbe quindi erronea la decisione della Corte laddove ritiene che la doglianza sulla mancata convocazione dal notaio riguardi i rapporti con l’acquirente e non anche con il mediatore.
3. -Il primo motivo è infondato .
3.1. Deve anzitutto essere ricordato che l’interpretazione di un atto negoziale è un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, normalmente incensurabile in sede di legittimità, salvo che nell’ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e ogg etto di discussione tra le parti, alla stregua del c.d. “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., nella formulazione attualmente vigente, ovvero, ancora, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, previsti dall’art. 1362 ss. c.c. (Cass. n. 14355/2016, in motiv.; Cass. n. 9966/2022, in motiv.).
Il sindacato di legittimità può avere, quindi, ad oggetto solamente l’individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il giudice di merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. n. 23701/2016). Inoltre, al fine di riscontrare l’esistenza dei denunciati errori di diritto o vizi di ragionamento, non basta che il ricorrente faccia un astratto richiamo alle regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., occorrendo, invece, che specifichi, per un verso, i canoni in concreto inosservati e, per altro verso, il punto e il modo in cui il giudice di merito si sia da essi discostato (Cass. n. 7472 del 2011; più di recente, Cass. n. 27136 del 2017). Ne consegue l’inammissibilità dei motivi di ricorso che, pur denunciando la violazione delle norme ermeneutiche, si
risolvano, in realtà, nella mera proposta di una interpretazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice merito (Cass. n. 24539 del 2009), così come è inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati (Cass. n. 2465 del 2015, in motiv.).
In effetti, per sottrarsi al sindacato di legittimità sotto i profili di censura dell’ermeneutica contrattuale, quella data dal giudice al contratto non dev’essere l’unica interpretazione possibile o la migliore in astratto, ma solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, per cui, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. n. 16254/2012; conf., più di recente, Cass. n. 27136/2017).
3.2. Tutto ciò premesso, venendo al caso di specie, deve ritenersi che il ricorrente abbia adeguatamente censurato la decisione impugnata, ma che questa abbia fatto corretta applicazione, nel caso di specie, dei criteri ermeneutici, in conformità ai precedenti di questa Corte.
Ed infatti, per esaminare se l ‘art. 6 dell’incarico conferito da COGNOME a RAGIONE_SOCIALE consentiva l’automatico rinnovo per una sola volta o per più volte (al fine di verificare se la revoca dell’incarico fosse avvenuta prima della data di scadenza), attesa l’assenza di espressioni verbali normalmente usate nell’una o nell’altra ipotesi (la mancanza da un lato della specificazione della unicità del tacito rinnovo; l’assenza dall’altro lato di frasi indicanti una reiterazione, del tipo ‘ e così di seguito ‘, ‘ di volta in volta ‘, ‘ via via ‘) , la Corte
territoriale ha applicato il secondo comma dell’art. 1362 c.c. valutando il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto. A tal fine ha soprattutto considerato la risposta che la società RAGIONE_SOCIALE inoltrò a RAGIONE_SOCIALE in data 29.08.2011, il cui tenore mostrava di ritenere ancora in vita il mandato per più ragioni: per non avere contestato la rinnovazione tacita dell’incarico; per averne comunicato la risoluzione censurando il comportamento di RAGIONE_SOCIALE e in ultimo, ma soprattutto, per aver indicato le nuove condizioni di vendita nel momento in cui secondo l’assunto della società RAGIONE_SOCIALE la mediazione aveva cessato di operare per scadenza del termine.
Ad avviso della Corte di merito, da quanto sopra poteva trarsi la conclusione che entrambe le parti, secondo la ricostruzione della loro volontà, avevano considerato il contratto ancora in vigore nel mese di agosto 2011 e che, di conseguenza, la revoca d ell’incarico effettuata anteriormente alla scadenza dava diritto alla provvigione in favore di RAGIONE_SOCIALE, in base ai termini pattizi.
L’interpretazione sostenuta dalla Corte di merito non diverge da alcun criterio legale di ermeneutica contrattuale e, pertanto, si sottrae al sindacato di questa Corte, non essendo lamentato alcun omesso esame di un fatto rilevante per il giudizio oggetto di discussione ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., che nel caso di specie sarebbe comunque stato precluso ai sensi dell’art. 348 quater c.p.c.
3.3.La deduzione della ricorrente, secondo la quale il giudice di seconde cure avrebbe dovuto applicare l’art. 1370 c.c. in luogo dell’art. 13 62 comma 2 c.c. è priva di pregio.
Sebbene la giurisprudenza più recente abbia ritenuto non più così granitico il principio del c.d. gradualismo nell’impiego delle regole di interpretazione del contratto (Cass. S.U. n. 6882/2019,
pag. 25 della motivazione) per abbracciare un ‘percorso circolare’ che impone all’interprete , dopo avere compiuto l’esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l’intenzione delle parti (Cass. n. 9380/2016), il criterio fondato sul significato letterale delle parole rimane prioritario. È indubbio che, quando le espressioni letterali usate dai contraenti non siano chiare e l’interpretazione letterale e logica non sia sufficiente, la volontà delle parti debba essere ricercata considerando il loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto, quale indice rivelatore della loro volontà che il giudice è chiamato a ricostruire.
Avendo in questo modo superato il dubbio emergente dalle espressioni usate nel testo dell’accordo , alla stregua proprio della valutazione di tale comportamento, non vi era ragione di ricorrere al criterio dell’art. 1370 c.c., la cui applicazione postula la persistenza dell’incertezza riguardo al significato della clausola predisposta e che comunque appartiene al novero dei criteri interpretativo-integrativi. Oltretutto, secondo la tesi prospettata dalla ricorrente, l’art. 1362 c.c. comma secondo c.c. dovrebbe essere sostanzialmente disapplicato in caso di contratti per adesione o conclusi tramite moduli o formulari.
Neppure può dirsi che la Corte distrettuale avrebbe applicato erroneamente il secondo comma dell’art. 1362 c.c. per avere cronologicamente e logicamente invertito la successione degli eventi nello scambio epistolare intercorso fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, essendo la nota del 29.08.2011 una risposta de COGNOME ad una precedente missiva inoltrata da RAGIONE_SOCIALE, posto che il giudice a quo, al di là della sequenza dei fatti, ha puntualmente esaminato il contenuto di tale nota, come sopra riportato, a comprova di un comportamento de RAGIONE_SOCIALE contrario alla previa cessazione di efficacia dell’incarico .
Le argomentazioni relative alla confusione tra termine e condizione che vizierebbe la decisione impugnata -che vertono sulla insussistenza del diritto alla provvigione, sottoposto a condizione mai verificatasi, essendo mancata la conclusione del contratto -non emergono dalla motivazione, ma neppure risultano essere state sviluppate nei motivi di appello (o, quanto meno, la ricorrente nulla precisa al riguardo), sicché si prospettano come questioni nuove, inammissibili in questa sede (tra le tante: Cass. n. 2038/2019).
Il riferimento alla violazione dell’art. 1371 c.c., che compare nella rubrica del motivo, infine, non viene sviluppato nel corpo dello stesso.
4.- Anche il secondo motivo è destituito di fondamento.
4.1.Anzitutto va rilevato che l’omessa pronuncia su una domanda, un’eccezione o un’istanza ritualmente introdotta in giudizio integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. che deve essere fatta valere in sede di legittimità esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non (come nel caso in questione) ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , pena l’inammissibilità della stessa (Cass. nn. 2101/2019; 6835/2017).
Comunque sia, nella specie non vi è alcuna omessa pronuncia sulla dedotta violazione della richiesta terzietà in capo al mediatore, avendo il giudice di merito ritenuto che non può ravvisarsi alcuna violazione del principio di buona fede nella condotta del mediatore per aver segnalato al venditore che la società interessata all’acquisto dell’immobile aveva fatto eseguire degli accertamenti da un perito chimico, dai quali era emersa la presenza di amianto nelle lastre di controsoffittatura del capannone da acquistare, pur se il potenziale compratore aveva sottoscritto la proposta con la clausola ‘visto e piaciuto’.
Tanto nell’ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica) (Cass. n. 27482/2019), il mediatore è infatti tenuto, in forza dell’esplicita previsione dell’art. 1759 c.c. , a comunicare alle parti le circostanze a lui note relative alla valutazione alla sicurezza dell’affare che possono influire sulla conclusione di esso. Come affermato da questo Giudice, proprio la sua terzietà lo obbliga ‘ a comportarsi secondo buona fede e correttezza e a riferire, perciò, alle parti le circostanze, da lui conosciute o conoscibili secondo la diligenza qualificata ex art. 1175 c.c. propria della sua categoria, idonee ad incidere sul buon esito dell’affare ‘ (Cass. 15577/2022).
Nel caso de quo , RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto a segnalare alla ricorrente la situazione e -come si legge in sentenza – aveva rivolto un invito ad entrambe le parti per discutere della questione ed assumere le opportune determinazioni. Nessuna condotta non diligente o viziata da profili di scorrettezza è stata dunque ravvisata in capo al mediatore.
Tutte le altre doglianze del ricorrente, già rigettate dal giudice di appello, circa la presenza della clausola ‘visto e piaciuto’, il prezzo pattuito a corpo e la deduzione relativa alla mancata convocazione dal notaio da parte di NOME riguardano i rapporti con il potenziale acquirente NOME e non rilevano nei confronti del mediatore, onde -come correttamente argomentato dal giudice di merito -non si configura alcun vizio di omessa pronuncia per non avere il Tribunale riportato tali circostanze nello svolgimento del processo.
5.In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese, che seguono la soccombenza, possono essere liquidate come in dispositivo.
Stante l’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condannando la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda