Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25369 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25369 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19928/2021 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-ricorrente – contro
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale come per legge
-controricorrente – avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 3019/2021, pubblicata in data 26 aprile 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 maggio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Velletri, la ex moglie NOME COGNOME chiedendone la condanna al pagamento, in suo favore, della somma di euro 162.649,09, oltre interessi.
A sostegno della domanda esponeva che: a) in costanza di matrimonio, aveva stipulato, unitamente alla convenuta, un contratto di mutuo per l’acquisto di un immobile, in relazione al quale aveva versato un acconto di euro 50.000,00 all’atto della stipula del contratto preliminare; b) la venditrice Consap aveva trasferito alla Catufa la proprietà dell’immobile, che era stato alla stessa intestato per ragioni fiscali; c) aveva concluso con la convenuta un accordo verbale per effetto del quale, in caso di vendita dell’appartamento, il ricavato sarebbe stato diviso tra i coniugi nella misura del 50 per cento ciascuno; d) in adempimento del contratto di mutuo, aveva provveduto al pagamento delle relative rate, per l’importo complessivo di euro 134.759,28, oltre all’ulteriore somma di euro 27.889,81 per spese notarili e condominiali afferenti l’immobile; e) la convenuta, nel 2009, subito dopo il deposito del ricorso per la separazione giudiziale, aveva alienato l’immobile, incassandone interamente il ricavato, in violazione dell’accordo verbale raggiunto.
La convenuta, costituendosi in giudizio, negava di avere concluso un accordo verbale con l’attore , precisando che aveva anzi concordato con l’attore di locare l’immobile e di utilizzare le somme ottenute a titolo di canoni per il pagamento delle rate di mutuo; eccepiva, tra l’altro, la prescrizione del credito ex art. 2946 cod. civ. per decorrenza del termine decennale.
Il Giudice adito rigettava la domanda dell’attore, dichiarando inammissibili, perché tardivamente proposte, quelle avanzate dal Chioccia con la memoria ex art. 183, sesto comma, cod. proc. civ., con le quali si chiedeva di accertare che ‘ il diritto di credito scaturiva dall’avvenuto pagamento delle somme in qualità di coobbligato del mutuo, in applicazione dell’azione surrogatoria ex art. 1203 n. 3 cod. civ. o, in via subordinata, come indennizzo a seguito di indebito arricchimento ex art. 2041 cod. civ. ‘.
La Corte d’appello di Roma, investita del gravame proposto dal COGNOME, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha condannato NOME COGNOME al pagamento, in favore dell’appellante, della somma di euro 108.933,34, oltre interessi e maggior danno ex art. 1224, secondo comma, cod. civ.
Rilevando, in premessa, che l’appellante non aveva riproposto la domanda di rimborso della somma di euro 27.889,90 e che le domande come precisate con la memoria ex art. 183, sesto comma, n. 1, cod. proc. civ. erano ammissibili, la Corte romana ha ritenuto non dimostrata la circostanza che i proventi ricavati dall’immobile a titolo di canoni di locazione, riscossi dal COGNOME per conto della ex moglie e versati dal conduttore in contanti e in assegni, fossero stati destinati al pagamento dei ratei di mutuo; a fronte dell’avvenuto pagamento dei ratei del mutuo da parte del COGNOME, quale coobbligato e terzo datore d’ipoteca , ha reputato che si fosse verificata la successione a titolo particolare dell’appellante nella titolarità del credito con surrogazione legale nei diritti della creditrice nei confronti di NOME COGNOME.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della suddetta sentenza, con tre motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
La trattazione è stata fissata in camera di consiglio ai sensi
dell’art. 380 -bis .1. cod. proc civ., in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380bis .1. cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ‹‹ Errore in giudicando ed in procedendo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1203 n. 3 c.c. e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ .’ e censura la sentenza impugnata nella parte in cui riconosce il diritto, in capo al COGNOME, di agire in surrogazione nei suoi confronti e rimarca, al riguardo, che sin dalla costituzione in primo grado e in sede di interrogatorio formale, aveva evidenziato come l’immobile, subito dopo l’acquisto e sino all’anno 2006, era stato concesso in locazione al canone mensile di euro 1.200,00, somma che era stata utilizzata dal COGNOME proprio al fine di pagare i ratei mensili di mutuo; tale circostanza, non contestata dal COGNOME, avrebbe dovuto essere posta a fondamento della decisione
1.1. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.
1.2. C ostituisce ‘elemento valutativo riservato al giudice del merito’, apprezzare, ‘nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte’ (così Cass. , sez. 6-1, 07/02/2019, n. 3680) e tale ‘apprezzamento è censurabile in sede di legittimità esclusivamente per incongruenza o illogicità della motivazione, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni poste a fondamento della decisione’ .
Deve, inoltre, rilevarsi che anche la censura di falsa applicazione del principio di non contestazione, e dunque dell’art. 115, secondo comma, cod. proc. civ., soggiace alla necessità dell’osservanza
dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. Difatti, allorché sia denunciata una non corretta applicazione del principio di ‘non contestazione’ e ciò a prescindere dal contenuto della doglianza formulata, e dunque tanto nell’ipotesi in cui si lamenti che il giudice abbia ritenuto operante il principio in assenza dei suoi presupposti, quanto nel caso in cui ci si dolga, al contrario, dell’erronea esclusione della sua operatività -il ricorrente è tenuto non solo ad ‘indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese’, inserendo nel ricorso ‘la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi’ e ciò mercé ‘la riproduzione degli atti del giudizio nella misura necessaria’ a tale scopo ( cfr. Cass., sez. 3, 09/08/2016, n. 16655), ma anche ad ‘indicare specificamente il contenuto della comparsa di risposta avversaria e degli ulteriori atti difensivi’ (cfr. Cass., sez. 6 – 3, 22/05/2017, n. 12840; Cass., sez. 3, 29/05/2024, n. 15058), in modo da consentire a questa Corte di valutare la sussistenza dei presupposti per la corretta applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
1.3. Nella specie, tale onere non risulta essere stato adempiuto, in difetto di trascrizione in ricorso del contenuto degli scritti difensivi dai quali dovrebbe evincersi il contegno di ‘non contestazione’ dell’odierno controricorrente, allora appellante, non potendo ritenersi sufficiente la mera allegazione, da parte della ricorrente, di avere dedotto in primo grado che ‘l’unico accordo intercorso con l’attore sarebbe stato quello di locare l’immobile de quo al sig. NOME COGNOME dietro il pagamento della somma di euro 1.200,00 circa mensili e di utilizzare le somme ricavate dalla locazione per pagare le rate di mutuo’ (v. pag. 4 del ricorso).
Peraltro, non ci si può esimere dal rilevare che, se il principio di non contestazione solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude
tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento; l’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., non reca alcuna finzione di dimostrazione del fatto non specificatamente contestato, bensì si limita a stabilire una relevatio ab onere probandi a favore della parte che lo ha allegato; la circostanza narrata, in difetto di una specifica contestazione, dovrà essere valutata dal giudice nella formazione del suo convincimento, potendo, pur sola e indimostrata, fondare la decisione, ma potrà anche essere reputata inesistente, qualora constino agli atti prove in senso contrario (v. in tal senso Cass., 04/04/2012, n. 5363; Cass., 10/07/2009, n. 16201; Cass., sez. L, 15/11/2018, n. 29404; Cass., sez. 6 – L, 20/12/2016, n. 26395; Cass., sez. 6 -L, 09/07/2020, n. 14448; Cass., sez. 3, 17/02/2023, n. 5166; Cass., sez. 3, 07/06/2023, n. 16028).
1.4. Con specifico riferimento poi alla surrogazione legale e, segnatamente a quella prevista dall’art. 1203, primo comma, n. 3, cod. civ., destinata a operare a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito, ha interesse di soddisfarlo, mette conto evidenziare che le Sezioni unite (Cass., sez. U, 29/04/2009, n. 9946) hanno valorizzato, sul piano ermeneutico, il requisito dell’interesse, come condizione necessaria e sufficiente per l’accesso alla surrogazione legale ex art. 1203, n. 3, cod. civ., sempre che il diritto al rimborso trovi titolo in un rapporto giuridico tra solvens e debitore, preesistente al pagamento (Cass., 15/03/2004, n. 5245).
La norma, come chiarito da questa Corte (Cass., sez. 2013, n. 28061), non impone affatto che il solvens sia tenuto al pagamento del debito per la medesima causa debendi vantata dall ‘accipiens nei confronti dell’altro o degli altri obbligati, né che sia direttamente
obbligato nei confronti dell’ accipiens , richiedendo piuttosto la titolarità di un interesse, giuridicamente qualificato, alla estinzione dell’obbligazione, requisito che, a sua volta, postula l’esistenza non già di una obbligazione già attuale e liquida, o comunque giudizialmente accertata, ma solo di un rapporto del solvens con il debitore preesistente al pagamento.
Ebbene, nel caso qui in esame, l a Corte d’appello ha, invero, rilevato, per un verso, che il Tribunale aveva accertato che il COGNOME, che era ‘coobbligato in solido, garante e terzo datore d’ipoteca’, aveva provveduto al pagamento, con fondi propri, dei ratei di mutuo dovuti dal 2001 a 2007, versando alla Banca BHW la somma di euro 108.933,34, cosicché, per effetto del pagamento effettuato, aveva diritto di surrogarsi nei diritti vantati dalla creditrice nei confronti della COGNOME; per altro verso, che non fosse stata offerta la prova che i proventi dei canoni di locazione, riscossi dal marito per conto della moglie e versati dal conduttore in contanti o in assegni, fossero transitati sul conto del marito e fossero stati destinati al pagamento dei ratei di mutuo.
Le argomentazioni che sorreggono la decisione della Corte d’appello fa nno buon governo dell’art. 1203, primo comma, n. 3, cod. civ., la surrogazione legale operando anche a favore del coobbligato solidale e non essedo esclusa dal diritto di regresso verso gli altri condebitori, che è concesso in via alternativa (cfr. Cass., sez. 2, 06/06/1972, n. 1744; Cass., sez. 3, 13/05/2021, n. 12957) e sussistendo l’interesse in capo al COGNOME, quale terzo datore d’ipoteca, di pagare il debito al fine di evitare l’eventuale azione esecutiva del creditore nell’ipotesi in cui l ‘obbligazione di pagamento dei ratei di mutuo non fosse stata compiutamente adempiuta (Cass., sez. 3, 24/09/2019, n. 23648).
Inoltre, con riguardo alla deduzione che i ratei di mutuo sarebbero
stati pagati mediante i canoni di locazione riscossi, la Corte territoriale ha svolto un apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie, sorretto da adeguata motivazione scevra da vizi logici, che non può essere rimesso in discussione in questa sede con la censura in esame che, sotto l’apparente deduzione di un vizio di violazione di legge, tende, in sostanza, a sollecitare un riesame del merito della controversia, non consentito al giudice di legittimità. Difatti, la censura traligna dal modello legale di denuncia di un vizio riconducibile all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., perché pone a suo presupposto una diversa ricostruzione del merito degli accadimenti, senza neppure confrontarsi con la ricostruzione della quaestio facti (Cass., sez. U, 27/12/2019, n. 34476).
Né, d’altro canto, l’accertamento fattuale svolto dalla Corte territoriale può essere smentito dalle dichiarazioni rese dall’odierna ricorrente in sede di interrogatorio formale. In proposito, è ben noto che la funzione dell’interrogatorio formale, deferito ad una parte, sia quella di provocarne la confessione in sede giudiziale, non anche quella di addurre elementi favorevoli all’interpellato. Insomma, esso è uno strumento che, in linea di principio, può solo nuocere alla parte che vi è sottoposta, o al più -qualora essa neghi tout court le circostanze fattuali capitolate, oggetto dell’interrogatorio stes so -lasciare la situazione inalterata, non altro. Tutt’al più, le dichiarazioni rese dall’interpellato che, in linea di massima, vanno pur sempre ascritte al piano delle allegazioni della parte -in favore dello stesso, possono essere lette nell’ambito del complessivo governo delle risultanze istruttorie, riservato al giudice del merito secondo il suo prudente apprezzamento, ex art. 116 cod. proc. civ.; disposizione la cui violazione la ricorrente non ha neppure denunciato, ciò che impone di dichiarare, sotto tale profilo, l’inammissibilità della censura in esame (cfr. Cass., sez. 3, 16/09/2024, n. 24799; Cass., sez. 2,
19/12/2017, n. 30529).
Con il secondo motivo s i denuncia ‹‹ Errores in giudicando ed in procedendo per violazione dell’art. 2946 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; prescrizione del diritto alla restituzione di quanto pagato per intervenuta prescrizione decennale con riferimento all’anno 2001 -2002››.
La ricorrente si duole che la Corte territoriale non abbia dichiarato la prescrizione del diritto alla restituzione dei ratei di mutuo, sebbene l’eccezione fosse stata sollevata in primo grado e reiterata in appello, laddove nelle conclusioni della comparsa di costituzione si richiamava ‘ogni altra deduzione, anche istr uttoria, eccezione ed argomentazione formulate negli scritti difensivi e nei verbali del giudizio di primo grado’.
2.1. La censura è inammissibile per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc.
2.2. Questa corte ha da sempre affermato che l’eccezione di prescrizione deve sempre fondarsi su fatti allegati dalla parte e che il debitore che la solleva ha pertanto l’onere di allegare e provare il fatto che, permettendo l’esercizio del diritto, determina l’inizio della decorrenza del termine ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., restando escluso che il giudice possa accogliere l’eccezione sulla base di un fatto diverso (Cass., sez. 2, 18/06/2018, n. 15991; Cass., sez. L, 13/07/2009, n. 16326).
La ricorrente, in questa sede, si limita ad affermare che sarebbe intervenuta la prescrizione del diritto vantato dall’odierno controricorrente, precisando che il COGNOME aveva proposto la domanda per la restituzione dei ratei di mutuo nel 2012 e che la Corte di merito, operando la prescrizione decennale, avrebbe dovuto quanto meno considerare ormai prescritto il diritto al rimborso delle rate versate negli anni 2001 e 2002.
Ma, nella sentenza non si fa menzione alcuna della eccezione, cosicché la censura si appalesa inammissibile per evidente violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., poiché non viene riportato in ricorso il contenuto della comparsa di costituzione depositata , né risultano precisati i termini con i quali l’eccezione era stata dedotta nel giudizio di merito, in tal modo non ponendo questa Corte nella condizione di valutare la doglianza, non potendo reputarsi sufficiente a tal fine un mero ed apodittico richiamo alle difese svolte nel giudizio di primo grado ed alle conclusioni rassegnate in secondo grado (Cass., sez. 1, 16/06/2020, n. 11659).
3. Con il terzo motivo -rubricato: Errores in giudicando ed in procedendo per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc civ. e per omessa e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., nonché omesso accertamento di un fatto decisivo della controversia e, segnatamente, rispetto all’omessa valutazione di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. -la ricorrente attinge il passo della motivazione della sentenza gravata in cui la Corte d’appello ha affermato che ‹‹ il giudice di primo grado ha già accertato che con la sottoscrizione del contratto di mutuo, il Chioccia si è costituito coobbligato in solido, garante e terzo datore d’ipoteca ed ha versato alla Banca BHW la somma di euro 108.933,34 a titolo di ratei di mutuo dovuti dal 2001 al 2007…›› (pag. 9 della sentenza d’appello); sostiene che, sul punto, i giudici d’appello avrebbero desunto dalle prove conclusioni contrastanti con quanto, invece, risultante dall’esame completo dei fatti oggetto di indagine, anziché considerare raggiunta la prova s ull’accordo di destinazione de i canoni di locazione.
Il motivo non si sottrae alla declaratoria d’inammissibilità .
È anzitutto inammissibile in relazione alla ventilata violazione o
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in quanto le critiche rivolte alla valutazione degli elementi istruttori da parte del giudice del merito non sono coerenti con l’insegnamento d i Cass., sez. U, n. 20867/2020, che limita la denunciabilità per cassazione della violazione di tali disposizioni a casi ben definiti, non ricorrenti nella specie; dette ipotesi esulano dai profili qui censurati dalla ricorrente, che peraltro non spiega con sufficiente specificità come ed in qual modo le deduzioni della Corte romana, sul punto, contrasterebbero totalmente con quanto emerso nel corso dell’istruttoria.
Il mezzo risulta del pari inammissibile in relazione all’ulteriore profilo di omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. La giurisprudenza di questa Corte è infatti ormai consolidata (Cass., sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., sez. U, 18/04/2018, n. 9558; Cass., sez. U, 31/12/2018, n. 33679) nell’affermare che: a) il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, oltre ad avere carattere decisivo; b) l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie; c) neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma; d) nel giudizio di legittimità è denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, in
quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Non può, dunque, trovare ingresso, nel regime di sindacato minimale ex art. 360, primo comma, n. 5, novellato, cod. proc. civ., il vizio come dedotto dalla ricorrente.
All’inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Il controricorrente ha in memoria chiesto anche la liquidazione delle spese del procedimento di cui all’art. 373 cod. proc. civ.
La richiesta può essere accolta. Con esclusione del caso di accoglimento del ricorso con rinvio al giudice di merito, nel giudizio di legittimità può essere chiesta alla Corte di cassazione anche la liquidazione delle spese sostenute, davanti al giudice di appello, per lo svolgimento della procedura di sospensione dell’esecuzione della sentenza ai sensi dell’art. 373 cod. proc. civ.; affinché sia rispettato il principio del contraddittorio, tale richiesta è esaminabile a condizione che l’interessato produca, ai sensi dell’art. 372, secondo comma, c.p.c., una specifica e documentata istanza, comprensiva dei relativi atti, in modo da offrire alla controparte la possibilità di interloquire sul punto (così Cass., sez. 3, n. 3341/2009; Cass., sez. 2, n. 6792/2024).
Il deposito di cui all’art. 372 cod. proc. civ. deve essere effettuato -così la formulazione introdotta dall’art. 3, comma 27, lett. h , del d.lgs. n. 149 del 2022, applicabile al caso in esame in quanto l’adunanza è stata fissata dopo il 1° gennaio 2023 -‹‹ fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio››.
Tale termine, di natura perentoria (Cass., n. 29933/2023), è stato
rispettato nel caso in esame, essendo stata la nota di deposito dei documenti depositata in data 28 aprile 2025. Ne segue che vanno liquidate, nella misura indicata in dispositivo, in favore del controricorrente, le spese relative alle due fasi di sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata ex art. 373 cod. proc. civ., tenuto conto dell’attività in quella sede svolta emergente dalla documentazione allegata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese relative alle procedure di sospensione dell’esecuzione della sentenza ai sensi dell’art. 373 c.p.c.., che liquida in euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 19 maggio 2025
IL PRESIDENTE NOME COGNOME