Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 63 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 63 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/01/2024
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23334/2021 R.G. proposto da: COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
Ud.05/12/2023 CC
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 3067/2021 depositata il 11/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 3067/2021, depositata in data 11.8.2021, la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il reclamo proposto da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME avverso la sentenza n. 79/2021, depositata il 3.6.2021, con cui il Tribunale di Napoli ha dichiarato il fallimento della supersocietà di fatto composta dai soggetti sopra indicati.
Per quanto ancora rileva, il giudice di secondo grado ha, preliminarmente, disatteso l’eccezione dei reclamanti secondo cui il fallimento della supersocietà di fatto sarebbe stato dichiarato d’ufficio.
Il giudice d’appello ha, inoltre, ritenuto di individuare la affectio societatis tra i componenti della supersocietà di fatto, l’esteriorizzazione di tale società verso i terzi creditori, nonché il requisito dell’insolvenza, tal i da legittimare l’estensione del fallimento a tutti i soci, sia soggetti societari che persone fisiche.
In particolare, sono stati indicati in dettaglio gli elementi presuntivi sia dell’accordo comune tra i soci di fatto (cessioni di rami d’azienda da RAGIONE_SOCIALE alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE a corrispettivo irrisorio o senza erogazione del corrispettivo, e con artificiosa assunzione di passività gravanti sulla fallita; strettissimi legami familiari intercorrenti tra gli amministratori di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE tali da indurre a ritenere la piena consapevolezza nei soggetti interessati e l’adozione da parte loro di un disegno unitario rivolto al comune intento lucrativo), sia dell’esteriorizzazione della società verso i terzi creditori (svolgimento delle attività aziendali negli stessi o in limitrofi opifici industriali in Marcianise; concessione di fideiussioni in favore di RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME COGNOME e NOME COGNOME; utilizzo in comune e/o parzialmente coincidenti delle medesime sedi legali in Napoli; conferimento dell’incarico professionale al medesimo professionista- commercialista).
Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione, da un lato, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME dall’altro, lo stesso NOME COGNOME e NOME COGNOME affidandolo ciascuno a tre motivi con atti difensivi dal contenuto quasi identico.
Si è costituito, altresì, con controricorso, NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento dei ricorsi proposti dai soggetti sopra indicati.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 6 legge fall., e successive modifiche, nonché omessa, insufficiente ed errata motivazione.
Lamentano i ricorrenti che il Tribunale di Napoli (decisione condivisa dalla Corte d’Appello) ha accertato la sussistenza di una supersocietà di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, sebbene il ricorso proposto ex art. 147 legge fall. dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE avesse identificato quali soci della supersocietà di fatto, oltre ai soggetti sopra indicati, anche NOME COGNOME.
Ad avviso dei ricorrenti, vi è stata palese violazione dell’art. 6 legge fall. essendosi la procedura prefallimentare conclusa con una sentenza dichiarativa di fallimento pronunciata nei confronti di una supersocietà ‘nuova’ , essendo mutati nel corso della procedura i soci persone fisiche e società di capitali. Vi è stata, in sostanza, la modifica della domanda e, dunque, un illegittimo mutamento della causa petendi e del petitum .
2. Il motivo è inammissibile.
La circostanza che il fallimento RAGIONE_SOCIALE, nel chiedere l’estensione del fallimento ex art. 147 legge fall., avesse identificato quali soci della supersocietà di fatto di cui è causa RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME, e che il Tribunale di Napoli abbia, poi, ritenuto che la predetta società si fosse costituita tra tutti i soggetti sopra indicati, ma con l’esclusione di NOME COGNOME (sul rilievo del difetto dell’assunzione della qualità di socio in
capo a quest’ultimo soggetto) non determina certo né un mutamento degli elementi identificativi della domanda, né che la dichiarazione di fallimento sia stata pronunciata nei confronti di una società ‘nuova’. La Corte d’Appello ha ben evidenziato che non vi è stata alcuna violazione del principio del contraddittorio, atteso che tutti i soggetti poi dichiarati falliti, nei cui confronti il fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto l’estensione del fallimento il che esclude quindi che il fallimento sia stato dichiarato d’ufficio – si sono costituiti in giudizio ed hanno svolto con pienezza le proprie prerogative difensive.
Nel presente ricorso i ricorrenti non hanno fatto altro che reiterare apoditticamente le precedenti censure in ordine alla violazione del principio del contraddittorio e al divieto di procedibilità d’ufficio della dichiarazione di fallimento, non confrontandosi minimamente con le precise argomentazioni della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 147 comma 5° legge fall. , omessa, insufficiente ed errata motivazione, insussistenza della supersocietà di fatto.
Espongono i ricorrenti che gli elementi indicati dalla Corte d’Appello a fondamento della sussistenza di una supersocietà di fatto depongono, invece, a favore dell’esistenza di una holding di fatto nei cui confronti il curatore potrà eventualmente agire in responsabilità e che potrà eventualmente essere autonomamente dichiarata fallita, ove ne sia accertata l’esistenza a richiesta di un creditore.
Ad avviso dei ricorrenti vi è stata la palese violazione dell’art. 147 comma 5° legge fall. in ragione dell’omessa rigorosa dimostrazione del comune intento sociale perseguito, contrario, piuttosto che conforme, all’interesse dei soci risultante dalla natura indiziaria e presuntiva delle circostanze poste a fondamento della dichiarazione di fallimento.
4. Il motivo è inammissibile.
Per quanto concerne la dedotta ‘omessa insufficiente ed errata motivazione’, va osservato che la nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, ha ormai ridotto al ‘minimo costituzionale’ il sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché si è chiarito (cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 9017 del 2018) che è oggi denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; questa anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017; nello stesso senso anche le più recenti; Cass. n. 20042 del 2020 e Cass. n. 23620 del 2020; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 1522 del 2021 e Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022) o di sua ‘contraddittorietà’ (cfr. Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 33961 del 2022).
In particolare, il vizio di omessa o apparente motivazione della decisione sussiste qualora il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (cfr. Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n.
27501 del 2022; Cass. n. 26199 del 2021; Cass. n. 1522 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 23684 del 2020; Cass. n. 20042 del 2020; Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 9113 del 2012). Ne deriva che è possibile ravvisare una ‘motivazione apparente’ nel caso in cui le argomentazioni del giudice di merito siano del tutto inidonee a rivelare le ragioni della decisione e non consentano l’identificazione dell’iter logico seguito per giungere alla conclusione fatta propria nel dispositivo risolvendosi in espressioni assolutamente generiche, tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi seguita dal giudice. Un simile vizio, inoltre, deve apprezzarsi non rispetto alla correttezza della soluzione adottata o alla sufficienza della motivazione offerta, bensì unicamente sotto il profilo dell’esistenza di una motivazione effettiva (cfr. Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 27501 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 26893 del 2020; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017). È noto, poi, che giusta un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, per la conformità della sentenza al modello di cui all’art. 132, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non è indispensabile che la motivazione prenda in esame tutte le argomentazioni svolte dalle parti al fine di condividerle o confutarle, essendo necessario e sufficiente, invece, che il giudice abbia comunque indicato le ragioni del proprio convincimento in modo tale da rendere evidente che tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse siano state implicitamente rigettate (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 956 del 2023; Cass. n. 33961 del 2022; Cass. n. 29860 del 2022; Cass. n. 3126 del 2021; Cass. n. 25509 del 2014; Cass. n. 5586 del 2011).
Infine, è opportuno rimarcare che il vizio di motivazione non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte -nel caso di specie, è stata lamentata anche la ‘errata’ motivazione – spettando solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova; mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti. In altri termini, l’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 2323650 del 2022; Cass. n. 9351 del 2022; Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015). A tanto deve solo aggiungersi che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 9253 del 2017), così come il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia costituisce vizio di omesso esame di un fatto decisivo solo se le risultanze processuali
non esaminate siano tali da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde la ratio decidendi viene a trovarsi priva di fondamento (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 3845 del 2018; Cass. n. 20188 del 2017).
Effettuata questa doverosa premessa, la censura di omessa, insufficiente ed errata motivazione (svolta, peraltro, negli stessi termini anche nel primo motivo), oltre alla palese genericità, si pone in contrasto con tutti i principi sopra ricordati, come enunciati da questa Corte dopo la ri formulazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ.
A fronte della descrizione da parte della Corte d’Appello di tutti gli elementi della supersocietà di fatto -come sopra riportati in dettaglio nella parte narrativa – i ricorrenti hanno svolto censure che si appalesano pertanto inammissibili. Essi si sono, infatti, limitati, da un lato, ad una mera elencazione di alcuni elementi fattuali indicati dalla Corte d’Appello a fondamento della sussistenza della supersocietà di fatto, senza minimamente esaminarli e confutarli in concreto, e, dall’altro, a contestare apoditticamente la ricostruzione del giudice di primo grado con un ‘collage’ di alcuni passaggi motivazionali di precedenti di questa Corte e di contributi di dottrina (in ordine ai requisiti della supersocietà di fatto), senza alcuna aderenza al caso concreto.
Né, peraltro, è persuasiva la generica affermazione di parte ricorrente secondo cui, nel caso in esame, non sarebbe configurabile la fattispecie della supersocietà di fatto solo perché vi è stato un abuso da parte degli altri soci nei confronti della società poi fallita, a cui sono stati accollati debiti contratti nell’interesse degli altri soci.
Sul punto, deve osservarsi che l’abuso della società da parte di una o più persone (fisiche e/o giuridiche) che ne hanno il controllo (anche solo di fatto) nell’interesse proprio delle stesse, se per lo
più può costituire, per osservazione empirica, una prova contraria all’esistenza della supersocietà di fatto e, semmai, indice dell’esistenza di una holding di fatto, non esclude, tuttavia, la possibile sussistenza tra le stesse persone e la società così abusata di un rapporto societario di fatto, almeno quando vi sia stata un’iniziale affectio tra tali persone e la società e successivamente sia subentrato, in forza di una modifica o evoluzione degli originari accordi o per effetto di essi, l’esercizio di un abuso su quest’ultima, e cioè la violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale della stessa, da parte di chi, tra gli originari partecipi del rapporto societario di fatto con la società abusata, era, per una ragione o per l’altra, in condizione di farlo . La sussistenza di un rapporto societario non formalizzato (o di fatto) tra persone fisiche e una o più società di capitali (e la sua prosecuzione tra le stesse fino al recesso di una delle stesse o alla sua esclusione in conseguenza del suo fallimento ovvero alla cessazione in fatto dell’attività d’impresa comune) non è altresì esclusa dal fatto che queste ultime, sin dall’inizio oppure in seguito, siano state, in concreto, programmaticamente volte a farsi carico dei debiti conseguenti all’attività comune in misura superiore rispetto agli utili ad esse riservati o comunque ricevuti (e, simmetricamente, le persone fisiche ad assumere debiti in misura inferiore rispetto ai vantaggi patrimoniali ricevuti).
Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno neppure precisato se il dedotto abuso fosse stato programmato sin dall’origine , da quando i soggetti della invocata (dalla curatela) supersocietà di fatto avevano iniziato ad interagire o fosse stato solo il frutto della violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale da parte di chi, tra gli originari partecipi di un rapporto societario di fatto con la società abusata, era, per una ragione o per l’altra, in condizione di farlo.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 4 in relazione all’art. 132 n. 4 cod. proc. civ., per omessa motivazione relativamente alla prova dello stato di insolvenza della presunta supersocietà.
Espongono i ricorrenti che nelle ipotesi in cui si chieda il fallimento in estensione della supersocietà di fatto e dei singoli soci, occorre allegare lo stato di insolvenza autonomo o quantomeno dedurre che tra socio fallito e società di fatto vi sia un’identità di impresa tale da rendere inutile un autonomo accertamento dello stato di insolvenza.
Nel caso di specie, la Corte d’Appello si è limitata ad indicare l’ingente passivo accertato nella procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione senza procedere al necessario riscontro dell’autonoma insolvenza della supersocietà.
6. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è pur vero che la Corte d’Appello, nell’occuparsi del requisito dell’insolvenza della supersocietà di fatto ha fatto, in primis , riferimento alla situazione debitoria complessiva della fallita RAGIONE_SOCIALE (pag. 9). Tuttavia, esaminando la motivazione della sentenza impugnata nel suo complesso, è comunque possibile individuare debiti che, seppur formalmente assunti dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, erano in realtà stati ricondotti dal giudice di merito in toto alla supersocietà di fatto. In particolare, a pag. 7 della sentenza impugnata, il giudice di secondo grado ha evidenziato che ‘ Il sodalizio occulto è stato preordinato a svuotare la compagine RAGIONE_SOCIALE da ogni attività a beneficio degli altri soci di fatto, mediante l’ottenimento da parte della prima, di un ingente finanziamento (€ 860.000,00) e di un contributo a fondo perduto (€ 557.000,00) da parte dell’Agenzia per l’RAGIONE_SOCIALE e la successiva trasmissione dei beni e dei fondi della società fallita agli altri soci di fatto, mediante operazioni negoziali fittizie e/o simulate. Il risultato
finale è costituito da un ingente passivo lasciato a carico della RAGIONE_SOCIALE in favore dell’Agenzia Predetta per le somme erogate a finanziamento dell’ente societario e non restituite, nonché in favore dell’Erario per ingenti imposte non versate, a fronte del beneficio patrimoniale ricevuto da soci occulti mediante il trasferimento – in maniera diretta oppure indiretta – delle attività della medesima RAGIONE_SOCIALE‘ . In sostanza, il debito sopra indicato da finanziamento non restituito, benché formalmente intestato alla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, era imputabile al sodalizio occulto e al meccanismo accertato dal giudice di merito di far assumere debiti alla fallita a beneficio degli altri soci di fatto: dunque proprio l’emersione del sodalizio ne ha rivelato la complessiva insolvenza. Non vi è dubbio che la Corte d’Appello, nel descrivere il già menzionato meccanismo, abbia implicitamente accertato un autonomo stato di insolvenza riconducibile alla supersocietà di fatto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna i ricorrenti e il controricorrente NOME COGNOME al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del fallimento controricorrente in € 10.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge; a i sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti e del controricorrente NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 5.12.2023