LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Supersocietà di fatto: abuso e fallimento in estensione

La Corte di Cassazione ha chiarito che l’abuso gestionale di una società a vantaggio dei suoi controllori non esclude a priori la configurabilità di una supersocietà di fatto tra la società abusata e gli stessi controllori. In un caso di presunto svuotamento patrimoniale, la Corte ha annullato la decisione d’appello per un’analisi superficiale, affermando la necessità di esaminare in concreto tutti gli indizi di un sodalizio occulto. La sentenza è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione dei fatti.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Supersocietà di Fatto: Quando l’Abuso Configura un Sodalizio Occulto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 74/2024, è tornata a pronunciarsi su un tema complesso e cruciale del diritto fallimentare: la supersocietà di fatto. Questa figura giuridica permette di estendere il fallimento di un’impresa a soggetti che, pur non apparendo formalmente, hanno agito come veri e propri soci. La pronuncia chiarisce un punto fondamentale: l’abuso di una società, anche quando volto a depauperarla a vantaggio dei controllori, non esclude automaticamente l’esistenza di un sodalizio occulto, ma può, al contrario, esserne una manifestazione.

I Fatti di Causa: una Gestione Familiare e Due Società

Il caso trae origine dal fallimento della società “Alfa S.r.l. in liquidazione”. Il Tribunale, in prima istanza, aveva esteso il fallimento ai fratelli Rossi e alla società “Beta S.r.l.”, da loro controllata. La decisione si fondava sulla convinzione che tra la fallita Alfa S.r.l., i fratelli e la Beta S.r.l. esistesse una supersocietà di fatto. Gli elementi a supporto erano molteplici: la gestione di fatto di Alfa S.r.l. da parte dei fratelli (nonostante l’amministratrice formale fosse la madre), prelievi ingiustificati dai conti societari, e una stretta interconnessione operativa tra le due società (stesso oggetto sociale, stessa sede, insegna, contatti telefonici e sito web).

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, le condotte evidenziate non provavano un intento comune di esercitare un’impresa (la c.d. affectio societatis), ma piuttosto un’attività di spoliazione di Alfa S.r.l. a vantaggio della famiglia Rossi e della loro società Beta S.r.l. In altre parole, la società fallita era vista come una vittima, non come un partner, il che escludeva l’esistenza di una società comune.

La Decisione della Corte di Cassazione e la supersocietà di fatto

La Curatela fallimentare ha presentato ricorso in Cassazione, e la Suprema Corte ha accolto le sue ragioni, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici di legittimità hanno mosso due critiche principali alla decisione impugnata.

Il Principio dell’Abuso Societario nella supersocietà di fatto

Il punto centrale della decisione della Cassazione è che la Corte d’Appello ha errato nel considerare l’abuso e lo svuotamento della società fallita come elementi automaticamente contrari all’esistenza di una supersocietà di fatto. La Suprema Corte ha chiarito che un rapporto societario non formalizzato può evolvere. Anche partendo da un’iniziale affectio societatis, il rapporto può degenerare nell’abuso da parte di chi si trova in una posizione di controllo.

Questo abuso, che si manifesta nella violazione dei principi di corretta gestione, non è incompatibile con la persistenza del vincolo sociale occulto. Anzi, proprio la sistematica deviazione dell’attività a favore degli interessi personali dei controllori può essere la prova di un patto societario di fatto, il cui scopo comune era proprio quello di sfruttare una società per trarne vantaggi personali, scaricandone i debiti.
La Corte d’Appello, quindi, avrebbe dovuto condurre un’analisi più approfondita di tutti gli indizi presentati dalla curatela (identità di sede, commistione gestionale, uso comune di beni, ecc.) invece di fermarsi a una lettura superficiale e astratta del principio di affectio societatis.

La Riproposizione delle Domande in Appello

Un secondo motivo di accoglimento ha riguardato un aspetto processuale. La curatela, in primo grado, aveva chiesto in via subordinata che venisse dichiarato il fallimento della cosiddetta “holding di fatto” (cioè il gruppo di controllo che dirigeva le varie società). La Corte d’Appello aveva ritenuto questa domanda abbandonata perché non riproposta in modo specifico. La Cassazione ha dissentito, affermando che il richiamo esplicito, nelle conclusioni dell’atto di reclamo, al ricorso introduttivo dove la domanda era stata formulata, era sufficiente a manifestare la volontà di mantenerla viva. Questo conferma un approccio meno formalistico alla riproposizione delle domande nei procedimenti camerali fallimentari.

Le Motivazioni della Corte

La Cassazione ha motivato la sua decisione sottolineando che la Corte d’Appello si è fermata a una “superficiale lettura della massima” giurisprudenziale, senza calarla nella complessa realtà fattuale. L’errore è stato non indagare se l’abuso fosse programmato sin dall’inizio o fosse una deviazione successiva del rapporto. Secondo la Suprema Corte, la partecipazione agli utili e alle perdite, elemento essenziale della società, può essere regolata in modo tacito e anche squilibrato tra i soci di fatto. Un accordo che veda una parte (la società di capitali) caricarsi dei debiti e un’altra (le persone fisiche) godere dei vantaggi non è necessariamente nullo e può costituire il nucleo di un patto societario occulto. Il giudice di merito ha il dovere di esaminare tutti gli elementi concreti per ricostruire l’effettiva organizzazione economica tra i soggetti coinvolti, senza escludere a priori la configurabilità di una supersocietà di fatto solo perché una delle entità ne è stata danneggiata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un importante monito per i giudici di merito: l’accertamento di una supersocietà di fatto richiede un’indagine fattuale approfondita e non può essere liquidato con formule astratte. Il fatto che un’impresa sia stata sistematicamente sfruttata e danneggiata dai suoi controllori non è un argomento per negare il vincolo sociale, ma può, al contrario, essere la chiave per comprenderne la reale natura. La decisione rafforza gli strumenti a disposizione delle curatele fallimentari per aggredire i patrimoni di coloro che, operando dietro le quinte, hanno causato l’insolvenza di un’impresa, assicurando una maggiore tutela dei creditori.

L’abuso di una società da parte dei suoi controllori esclude sempre l’esistenza di una supersocietà di fatto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’abuso e lo sfruttamento di una società a vantaggio di chi la controlla non sono incompatibili con l’esistenza di una supersocietà di fatto. Anzi, tale abuso può essere proprio la manifestazione di un patto societario occulto tra la società abusata e i soggetti controllori.

Come si prova l’esistenza di una supersocietà di fatto?
La prova deve basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino un’attività d’impresa esercitata in comune. Tra questi elementi rientrano la commistione dei patrimoni, la gestione unitaria, l’identità di sede, l’uso comune di beni, la sovrapposizione dell’oggetto sociale e la generazione di un affidamento nei terzi circa l’esistenza di un unico centro imprenditoriale.

In un reclamo fallimentare, come deve essere riproposta una domanda non esaminata in primo grado per non essere considerata rinunciata?
La riproposizione, pur dovendo essere specifica, non richiede formule sacramentali. È sufficiente che la parte manifesti in modo non equivoco la volontà di riaprire la discussione su quella domanda. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto idoneo il richiamo specifico, nelle conclusioni, all’atto introduttivo in cui la domanda era stata originariamente formulata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati