Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1684 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1684 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 30104-2019 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
Oggetto
Mansioni -Superiore inquadramento
R.G.N. 30104/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 22/11/2023
CC
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 209/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/04/2019 R.G.N. 237/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/11/2023 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che :
La Corte d’appello di L’Aquila ha accolto l’appello di NOME COGNOME e, in riforma della decisione di primo grado, ha riconosciuto il diritto del lavoratore ad essere inquadrato nella settima categoria del CCNL metalmeccanica – aziende industriali con decorrenza dal gennaio 2007 e nella qualifica professional del CCSL RAGIONE_SOCIALE con decorrenza dal gennaio 2012; ha condannato la società datrice di lavoro, RAGIONE_SOCIALE, al pagamento delle differenze retributive nei limiti della prescrizione quinquennale.
La Corte territoriale ha riconosciuto il diritto al superiore inquadramento sulla base di una accurata ricostruzione delle mansioni svolte dal dipendente nell’arco di tempo considerato e del raffronto delle stesse con le declaratorie contrattuali.
Avverso la sentenza la società datoriale ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Collegio si è riservato di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., come modificato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso è dedotto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulta dal testo della sentenza o dagli atti processuali che ha costituito oggetto di discussione tra le parti ed ha carattere decisivo, ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5 c.p.c., nonché violazione o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c., per non avere la Corte di merito esaminato parti delle deposizioni rese dai testi COGNOME, COGNOME e COGNOME che negano, per il periodo 2007-2008, il fatto costitutivo del diritto controverso, cioè il concreto svolgimento da parte del lavoratore di attività di ‘alta specializzazione ed importanza’ caratterizzate dai requisiti della pienezza e della continuità dello svolgimento nonché da un particolare grado di autonomia nell’esecuzione. 6. Con il secondo motivo di ricorso le medesime censure sono
formulate in riferimento al ruolo di Responsabile Riduzione Costi e di Pillar Leader del Pilastro Focused Improvement; si contesta la pretesa trasversalità delle attività ravvisata dai giudici di appello ed anche la ritenuta alta specializzazione e/o la rilevante importanza delle mansioni, rilevandosi come le stesse fossero state pacificamente attribuite al lavoratore nell’anno 2009 e quindi dal medesimo disimpegnate in
mancanza del requisito della ‘notevole esperienza acquisita a seguito di prolungato esercizio delle funzioni’.
Le censure sono ripetute nel terzo motivo in riferimento alla deposizione dei testi COGNOME e COGNOME; si contesta l’accertamento della Corte d’appello sulla impostazione e sullo sviluppo di numerosi progetti da parte del dipendente e il carattere di trasversalità dell’attività dal medesimo svolta.
I motivi sono tutti inammissibili.
Essi, nella parte in cui denunciano l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c.), non si conformano al modello legale del nuovo vizio “motivazionale”, quale risultante a seguito delle modifiche introdotte con il decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134. Al riguardo, le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014, hanno precisato che l’art. 360 n. 5 c.p.c., come riformulato a seguito dei recenti interventi, “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, con la conseguenza che “nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma,
n. 4 c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.
10. Le censure mosse, lungi dal rispettare i requisiti appena riportati, criticano sostanzialmente la valutazione delle prove come eseguita dai giudici di appello e, in particolare, la lettura e l’apprezzamento, che si assumono parziali, delle dichiarazioni rese dai testimoni, proponendo una diversa opzione valutativa e un’inammissibile istanza di riesame del materiale probatorio, inammissibili in questa sede di legittimità.
11. Neppure è fondata la censura di violazione degli artt. 115, 116 c.p.c., che presuppone, come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto delle regole di formazione della prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice utilizzi prove non acquisite in atti (art. 115 c.p.c.) o valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116
c.p.c., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nei motivi di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova.
Le considerazioni svolte conducono alla declaratoria di inammissibilità del ricorso.
La regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
Il rigetto del ricorso costituisce presupposto processuale per il raddoppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 (cfr. Cass. S.U. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.