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Super-società di fatto: fallimento e requisiti

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 204/2024, ha annullato la decisione di una Corte d’Appello che negava l’esistenza di una super-società di fatto tra un imprenditore individuale e le società di capitali da lui controllate. La Corte ha stabilito che l’abuso della personalità giuridica e l’ingerenza gestionale non escludono la configurabilità di un rapporto societario occulto, ma vanno analizzati come possibili modalità operative dello stesso. Il caso è stato rinviato per un nuovo esame che valuti correttamente gli elementi costitutivi della società di fatto, come il fondo comune e la condivisione dei risultati economici, anche in presenza di assetti formali simulati.

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La Super-società di fatto: quando il fallimento si estende ai soci occulti

L’ordinanza n. 204/2024 della Corte di Cassazione offre un’analisi cruciale sulla figura della super-società di fatto, un tema di grande rilevanza nel diritto fallimentare e societario. Questa pronuncia chiarisce i confini e i requisiti per estendere il fallimento di un’impresa a soci occulti, anche quando questi si celano dietro complesse strutture societarie e contratti di affitto d’azienda. La decisione sottolinea come l’abuso della personalità giuridica di una società, usata come “schermo”, non escluda a priori l’esistenza di un rapporto sociale occulto, ma anzi possa rappresentarne una modalità operativa.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dal fallimento di una società a responsabilità limitata (Società A), gestita formalmente dal padre di un imprenditore individuale. Quest’ultimo, proprietario dei rami d’azienda (pasticceria e ristorazione), li aveva concessi in affitto prima alla Società A e, successivamente, a una seconda società (Società B), amministrata formalmente da sua madre.

Il curatore fallimentare, notando una continua e pervasiva ingerenza gestionale dell’imprenditore in entrambe le società, ha richiesto l’estensione del fallimento sia a lui personalmente sia alla Società B, sostenendo l’esistenza di una super-società di fatto tra tutti i soggetti coinvolti.

Il Tribunale in primo grado ha accolto la richiesta, ma la Corte d’Appello ha riformato la decisione. Secondo i giudici d’appello, la forte ingerenza dell’imprenditore configurava piuttosto un’amministrazione di fatto o una holding personale, ma non provava gli elementi essenziali della società di fatto, come un fondo comune, la condivisione dei rischi e un’effettiva affectio societatis.

## I Principi sulla Super-società di fatto secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la visione della Corte d’Appello, accogliendo il ricorso del curatore. I giudici supremi hanno riaffermato i principi cardine per l’identificazione di una società di fatto, anche nella sua forma “complessa” di super-società di fatto.

Perché si configuri tale entità, è necessaria la prova dei suoi presupposti costitutivi, delineati dall’art. 2247 c.c.:
1. L’esercizio in comune di un’attività economica: I soci devono collaborare per un obiettivo imprenditoriale condiviso.
2. Un fondo comune: È necessario che i soci abbiano conferito beni, denaro o servizi (anche attraverso l’opera di un amministratore di fatto) per lo svolgimento dell’attività. Questo fondo può consistere nell’attribuzione del godimento di beni o nell’esecuzione della propria opera.
3. La partecipazione ai risultati economici: I soci devono condividere, secondo accordi anche taciti, sia gli utili che le perdite derivanti dall’attività comune.

La Corte ha chiarito che l’esistenza di questi elementi può essere provata anche tramite presunzioni e comportamenti concludenti, specialmente quando la struttura formale (come un contratto d’affitto d’azienda) è usata per mascherare la realtà sostanziale.

## L’Abuso della Società non esclude la Super-società di fatto

Il punto più innovativo della sentenza risiede nella relazione tra l’abuso della personalità giuridica e la super-società di fatto. La Corte d’Appello aveva ritenuto che l’uso della società come mero “schermo” da parte dell’imprenditore per continuare la propria attività fosse un elemento contrario all’esistenza di una società comune.

La Cassazione, al contrario, ha stabilito che l’utilizzazione abusiva di una società di capitali non è incompatibile con la sussistenza di un rapporto societario di fatto. Anzi, può essere proprio il meccanismo attraverso cui la società occulta opera. L’aver svuotato una società a vantaggio dell’interesse personale dell’imprenditore o di un gruppo non esclude che, alla base, vi fosse un accordo societario per gestire un’impresa comune, seppur con una ripartizione anomala di rischi e benefici.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha censurato la sentenza d’appello per un vizio di falsa applicazione della legge. I giudici di secondo grado, pur avendo accertato fatti significativi come la continua e preponderante ingerenza gestoria dell’imprenditore, la confusione contabile e patrimoniale e il disinteresse degli amministratori formali, hanno erroneamente escluso la figura della super-società di fatto senza un’adeguata analisi. Hanno interpretato tali elementi solo come indici di un’amministrazione di fatto o di una holding, tralasciando di verificare se gli stessi potessero, invece, costituire la prova del modo in cui la società occulta operava concretamente. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse l’obbligo di esaminare in modo effettivo se, al di là delle apparenze, sussistessero i fatti costitutivi del rapporto societario: conferimenti a un fondo comune (anche tramite l’uso promiscuo di beni e la rinuncia a diritti), uno scopo comune e la condivisione dei risultati economici (positivi e negativi).

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha cassato la sentenza con rinvio alla Corte d’Appello, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi enunciati. Questa ordinanza rappresenta un importante monito: il diritto non si ferma alle costruzioni formali, ma guarda alla sostanza dei rapporti economici. L’utilizzo di società di capitali come “schermi” o “scatole vuote” gestite da un dominus non è una garanzia di immunità dal fallimento personale. Se viene provato che dietro a tali strutture si cela un’attività d’impresa esercitata in comune con altri soggetti, tutti i partecipanti potranno essere chiamati a rispondere illimitatamente dei debiti, con conseguente estensione del fallimento. La sentenza rafforza così gli strumenti a tutela dei creditori, ribadendo la prevalenza del principio di effettività sulla forma giuridica.

Quando si può parlare di “super-società di fatto” tra una persona fisica e una società di capitali?
Si può parlare di super-società di fatto quando viene dimostrato che, al di là degli assetti formali, una persona fisica e una o più società di capitali esercitano in comune un’attività economica, attraverso un fondo comune (costituito da apporti di beni, servizi o denaro) e con la programmata partecipazione ai risultati patrimoniali (utili e perdite).

L’abuso di una società, usata come “schermo”, esclude l’esistenza di una super-società di fatto?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’uso abusivo di una società (ad esempio, per schermare l’attività di un unico imprenditore) non esclude la possibile sussistenza di un rapporto societario di fatto. Anzi, tale abuso può essere proprio la modalità con cui la società occulta opera e persegue i suoi fini.

Come si accerta l’insolvenza di una super-società di fatto scoperta dopo il fallimento di un socio?
Quando, dopo il fallimento di un imprenditore (individuale o societario), si scopre che l’impresa era in realtà riferibile a una società di fatto occulta, l’insolvenza di quest’ultima può essere direttamente desunta dai debiti assunti dal socio già fallito per l’esercizio dell’impresa comune e dall’impossibilità di farvi fronte con mezzi normali. L’insolvenza del socio apparente coincide, di fatto, con quella della società occulta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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