Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6458 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6458 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23989/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME, rappresentati e difesi dall ‘avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME NOME COGNOME in persona del tutore NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 188/2020 depositata il 14/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME e NOME COGNOME convenivano davanti al Tribunale di Bergamo le sorelle NOME COGNOME e NOME COGNOME nonché il figlio della prima, NOME COGNOME quale erede del padre NOME COGNOME chiedendo fossero condannati alla consegna di un appartamento al secondo piano di un fabbricato in San Pellegrino Terme e di una autorimessa di pertinenza, di proprietà di essi attori in forza di sentenza del medesimo Tribunale n.831 del 2005, confermata dalla Corte di Appello di Brescia con sentenza n.1426 del 2011 passata in giudicato, di divisione del patrimonio relitto dal dante causa delle parti, NOME COGNOME ma di fatto ancora nella disponibilità dei convenuti. Gli attori chiedevano altresì che i convenuti fossero condannati al risarcimento dei danni da illegittima occupazione degli immobili suddetti e del restante patrimonio immobiliare del de cuius. Le domande venivano rigettate. Veniva altresì rigettata la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME per la condanna degli attori al pagamento di crediti aventi vario titolo. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza n.188 del 2020, accoglieva solo in parte l’appello di NOME COGNOME e degli eredi di NOME COGNOME, NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME condannando NOME COGNOME
COGNOME e NOME COGNOME al pagamento, a titolo di risarcimento per aver estromesso gli appellanti ‘dal godimento della quota di 4/13 dell’intero compendio prima del passaggio in giudicato della domanda di divisione’, di 14.440 euro, oltre interessi. La Corte di Appello rigettava l’appello incidentale di NOME COGNOME.
In particolare la Corte di Appello, riguardo alla indennità ‘per la detenzione senza titolo che viene attribuita dagli appellanti a NOME COGNOME, affermava che l’assunto degli appellanti secondo cui l’appartamento e l’autorimessa erano stati occupati senza titolo da NOME COGNOME il quale ne aveva mantenuto il possesso dopo avervi abitato con i genitori, NOME COGNOME e NOME COGNOME fino alla loro morte, non poteva essere ritenuto fondato in forza del principio sancito dall’art. 1146 c.c., per cui il possesso continua nell’erede, dato che tale articolo è ‘posto a favore del possessore ed erede e non dei terzi’ e non poteva essere ritenuto incontestato ai sensi dell’art. 115 c.p.c. dato che NOME COGNOME aveva negato di aver occupato i beni in questione ed aveva sempre sostenuto di aver vissuto invece nell’appartamento del primo piano dell’edificio. La Corte di Appello aggiungeva che l’assunto degli appellanti non poteva essere ritenuto dimostrato dalla dichiarazione resa da NOME COGNOME in un atto risalente al 2010 nella originaria causa di divisione -dichiarazione ai sensi della quale esisteva una situazione di fatto consolidatasi nel tempo per cui l’immobile in questione costitutiva ‘abitazione di residenza di NOME COGNOME , del marito NOME COGNOME e del loro figlio NOME COGNOME – trattandosi di dichiarazione da cui era dato solo ricavare che la famiglia COGNOME aveva occupato l’appartamento e l’autorimessa nel periodo antecedente alla morte dei genitori di NOME COGNOME mentre non era dato ricavare che quest’ultimo avesse continuato ad occupare detti
immobili dopo la sentenza di divisione. La Corte di Appello dichiarava inammissibili ai sensi dell’art. 345 c.p.c. le produzioni degli appellanti dei documenti ‘n.ri. 39/43’ relativi a richieste di informazioni inviate da COGNOME NOME al Comune di San Pellegrino Terme e delle risposte del Comune sul pagamento delle imposte locali per gli immobili de quibus trattandosi di documenti che avrebbero potuto essere prodotti in primo grado.
NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME ricorrono con quattro motivi per la cassazione della sentenza della Corte di Appello;
NOME COGNOME anche quale erede della madre NOME COGNOME e NOME COGNOME quale tutore di NOME COGNOME resistono con separati controricorsi;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c. per avere la Corte di Appello ritenuto inammissibili i documenti relativi alla richiesta inviata da COGNOME NOME nel 2016 al Comune di San Pellegrino Terme e alla risposta fornita dal Comune -risposta secondo cui NOME COGNOME era subentrato nel 2013 alla madre nella ‘intestazione della tassa rifiuti’ dell’appartamento – malgrado si trattasse di documenti formati dopo la scadenza -il 20 maggio 2011- dei termini per il deposito della memoria istruttoria di primo grado;
con il secondo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione o falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 1146 e 2697 c.c. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione le parti’.
Si sostiene che la Corte di Appello avrebbe dovuto valutare, in riferimento all’art. 116 c.p.c, ‘il contegno tenuto dalle parti e in particolare la costante opposizione di NOME COGNOME al rilascio della unità’. Si contesta la valutazione di non decisività data dalla
Corte di Appello della già citata dichiarazione resa nel 2010 da NOME COGNOME. Si sostiene che la Corte di Appello ha errato nel non presumere, ai sensi dell’art. 1146 c.c., in assenza di prova del contrario, che NOME COGNOME avesse mantenuto il possesso dell’appartamento quale erede dei genitori;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta ‘violazione dell’art. 1102 c.c. ed omesso esame della domanda principale di decorrenza dell’indennizzo antecedentemente al 21 aprile 2010’ per avere la Corte di Appello condannato gli appellati a pagare l’indennità di occupazione dal 21 aprile 2010 invece che dal 27 giugno 2007 senza motivare ‘il mancato accoglimento della data anteriore nella quale i ricorrenti chiedevano di poter utilizzare il bene’;
4. con il quarto motivo di ricorso si lamenta ‘nullità della sentenza’ per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto ‘non necessario’ condannare gli appellati al ‘rilascio degli immobili dei quali NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME sono proprietari e che possono ottenere coattivamente per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di divisione’;
5. con il quinto motivo di ricorso si lamenta che la Corte di Appello abbia rigettato nel merito la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME invece di dichiarare tale domanda inammissibile; 6. il primo motivo di ricorso è infondato.
Ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nella versione applicabile ratione temporis, ‘Non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile’.
La Corte di Appello ha dichiarato che la produzione del documento datato 21 gennaio 2013, (v. ricorso pagina 12), avvenuta con la citazione di appello, mediante la quale gli appellanti avevano inteso dimostrare che NOME COGNOME aveva chiesto di intestare
a sé il pagamento della Tari relativa all’immobile di cui trattasi dall’anno 2013, era inammissibile con la motivazione per cui tale documento ‘avrebbe potuto essere introdotto nel giudizio di primo grado’. I ricorrenti sostengono che tale decisione sia errata in quanto le preclusioni istruttorie nel giudizio di primo grado si erano verificate il 20 maggio 2011, allorché era scaduto il termine per il deposito della memoria istruttoria di cui all’art. 183 sesto comma. c.p.c.
Il motivo è infondato perché, come rilevato dalla controricorrente NOME COGNOME il Tribunale di Bergamo dopo avere, l’11 ottobre 2011, rinviato la causa al 16 dicembre 2014 per la precisazione delle conclusioni, aveva poi riaperto l’istruttoria con ordinanza 5 giugno 2015.
Si osserva inoltre che la produzione di nuovi documenti in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 3, c.p.c., nella disciplina, “ratione temporis” applicabile, anteriore alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., nella l. n. 134 del 2012, presuppone non solo che non sussista tardività della produzione rispetto al verificarsi della preclusione per istanze istruttorie ai sensi dell’art. 183, sesto comma, n. 2, c.p.c. ma altresì la insussistenza dei presupposti per la rimessione in termine da parte del giudice di primo grado;
il secondo motivo di ricorso è in parte inammissibile e in parte infondato.
La doglianza di violazione dell’art. 116 c.p.c. per non avere la Corte di Appello valutato ‘il contegno tenuto dalle parti e in particolare la costante opposizione di NOME COGNOME al rilascio della unità’ immobiliare è inammissibile in ragione del fatto che ‘la violazione dell’art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) ricorre solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero,
all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (Cass, n.18092 del 31/08/2020) il che nella specie non è dedotto.
Il motivo è poi inammissibile per la parte in cui veicola una contestazione circa la valutazione di non decisività data dalla Corte di Appello della dichiarazione resa nel 2010 da NOME COGNOME nel giudizio di divisione, atteso che ‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (Cass. n.32505 del 22/11/2023). Nel caso di specie la Corte di Appello ha motivato in modo chiaro e coerente la valutazione di irrilevanza della dichiarazione di NOME COGNOME, ai sensi della quale esisteva una situazione di fatto consolidatasi nel tempo per cui l’immobile in questione costituiva ‘abitazione di residenza di NOME COGNOME , del marito NOME COGNOME e del loro figlio NOME COGNOME, evidenziando trattarsi di dichiarazione da cui era dato solo ricavare che la famiglia COGNOME aveva occupato l’appartamento e l’autorimessa nel periodo antecedente alla morte dei genitori di NOME COGNOME mentre non era dato ricavare che quest’ultimo avesse continuato ad occupare detti immobili dopo la sentenza di divisione.
È poi infondato l’assunto dei ricorrenti per cui la Corte di Appello avrebbe errato nel non presumere, ai sensi dell’art. 1146 c.c., in assenza di prova del contrario, che NOME COGNOME avesse mantenuto il possesso dell’appartamento quale erede dei genitori e che quindi non dovesse risarcire il danno da illegittima occupazione dell’appartamento medesimo.
Ai sensi dell’art. 1146 cod. civ., il possesso continua, con effetto dall’apertura della successione, nell’erede. Come è stato notato, la continuità del possesso nell’erede risponde all’esigenza che governa la vicenda successoria, di non interruzione dei rapporti giuridici del defunto. La Corte di Appello ha correttamente osservato che la norma non opera contro l’erede nel senso di consentire a chi vanta un diritto al risarcimento del danno per l’illecita occupazione di un bene da parte di un soggetto di poter presumere che l’erede di quel soggetto abbia protratto la condotta illecita del proprio dante causa. Siffatta presunzione si ridurrebbe alla presunzione del protrarsi di una condotta illecita da un soggetto al suo erede;
8. il terzo motivo ricorso è infondato.
La Corte di Appello ha riconosciuto agli attuali ricorrenti la somma di 14.400, in moneta ‘attuale’, a titolo di risarcimento del danno per ‘l’estromissione del godimento dalla quota di 4/13 loro spettante sull’intero compendio prima del passaggio in giudicato della domanda di divisione, ossia prima del 19.6.2012 (v. sentenza impugnata p.9). Ha poi fatto decorrere gli interessi su tale somma dal 21 aprile 2010 con la motivazione che ‘la richiesta di godimento diretto da parte degli appellanti con la introduzione del presente giudizio, atto di citazione notificato il 21.4.2010’.
I ricorrenti sostengono che la Corte di Appello avrebbe immotivatamente respinto la loro domanda di far decorrere gli interessi dal 27 giugno 2007 giorno in cui avrebbero inviato alle controparti una lettera ‘con la quale chiedevano di utilizzare il compendio’.
In primo luogo, dalla frase sopra riportata emerge che, al contrario di quanto sostengono i ricorrenti, la indicazione della data del 21 aprile 2010 non è immotivata.
In secondo luogo, i ricorrenti evocano una loro lettera del 27 giugno 2007, asseritamente trascurata dalla Corte di Appello, senza tuttavia specificare nel corpo del motivo quando la lettera sarebbe stata prodotta e quale ne fosse il preciso contenuto.
9. il quarto motivo di ricorso con cui si lamenta ‘nullità della sentenza’ per avere la Corte di Appello erroneamente ritenuto ‘non necessario’ condannare gli appellati al ‘rilascio degli immobili dei quali NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME sono proprietari’ potendo già gli appellati e attuali ricorrenti ‘ottenere coattivamente per effetto del passaggio in giudicato della sentenza di divisione’ – è infondato.
La Corte di Appello ha in sostanza rigettato la domanda di condanna al rilascio per difetto di interesse (art. 100 c.p.c.). La decisione è conforme alla giurisprudenza di questa Corte per cui ‘la sentenza contenente l’assegnazione dei beni ai condividenti costituisce titolo esecutivo, sicché ciascuno di costoro acquista non solo la piena proprietà dei beni facenti parte della quota toccatagli, ma anche la potestà di esercitare tutte le azioni inerenti al godimento del relativo dominio, compresa quella diretta ad ottenere in via esecutiva il rilascio dei beni costituenti la quota del condividente che, in conseguenza della compiuta divisione, non abbia più nessun titolo idoneo a giustificarne l’ulteriore detenzione’ (Cass. Sez. 2, ordinanza n.20961 del 22/08/2018);
10. il quinto motivo di ricorso è inammissibile per difetto di interesse (art.100 c.p.c.): la Corte di Appello ha rigettato la domanda riconvenzionale di NOME COGNOME e con il motivo in esame il ricorrente lamenta che la Corte di Appello avrebbe dovuto invece dichiarare tale domanda inammissibile. L’interesse al ricorso come specificazione dell’interesse ad agire
deve essere personale, attuale e concreto. Nel caso non è prospettato e non è individuabile alcun interesse concreto ossia alcuna effettiva utilità per il ricorrente a sentir dichiarare inammissibile invece che infondata l’avversa domanda;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere al controricorrente NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €5500,00, per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna i ricorrenti a rifondere al controricorrente NOME COGNOME quale tutore di NOME COGNOME le spese del giudizio di legittimità, liquidate in €5500,00, per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma 28 febbraio 2025.