Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9562 Anno 2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7109/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
pec:
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del liquidatore e NOME COGNOME, già soci di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME, rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME ed NOME COGNOME e domiciliati presso il domicilio digitale indicato dai difensori
pec:
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9562 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2025
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2196/2021 depositata il 25/08/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/01/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME.
Rilevato che:
il Tribunale di Verona emise, su ricorso della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, un decreto ingiuntivo, nei confronti di NOME COGNOME, titolare dell’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, per il pagamento della somma di € 48.969,92 costituita da l riaddebito dei costi che la stessa avrebbe sostenuto in nome e per conto dell’impresa individuale (utenze, divise, pubblicità, canoni di locazione, spese bancarie) nel corso di un rapporto di ‘affiliazione’ con la RAGIONE_SOCIALE, concessionaria di RAGIONE_SOCIALE.
Il COGNOME, nella qualità, propose opposizione chiedendo: il rigetto delle pretese previa qualificazione del rapporto come di ‘agenzia’, avendo il contratto ad oggetto la promozione di contratti di autonoleggio presso l’aereoporto di Bolzano e nella città di Trento con diritto alla corresponsione di provvigioni; la declaratoria di incompetenza del Tribunale di Verona in favore di quello di Bolzano; il riconoscimento di un rapporto di sublocazione; la condanna della preponente al pagamento di provvigioni ancora dovute per il secondo trimestre 2009 , l’illegittimità delle detrazioni provvigionali ed il riconoscimento dell’indennità di cessazione del rapporto di agenzia.
Il Tribunale di Verona revocò il decreto, accertò essere l’impresa individuale COGNOME debitrice della società RAGIONE_SOCIALE per € 48.969,92 e che la RAGIONE_SOCIALE a sua volta doveva all’agenzia , a titolo di provvigioni, la somma di € 7.726,52; disposta la
compensazione, condannò NOME COGNOME al pagamento della differenza dovuta, compensando in parte le spese.
Il COGNOME propose appello ed eccepì, preliminarmente, che, nelle more della sentenza di primo grado, la società RAGIONE_SOCIALE era stata cancellata dal registro delle imprese e che la quietanza allegata al bilancio di chiusura era da interpretarsi come rinuncia al credito da parte dei soci.
Si costituirono i soci, NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto dell’appello .
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 2196 del 25/8/2021 , ha confermato la qualificazione del contratto intercorso tra le parti come di ‘ franchising ‘ , consistente nella erogazione e svolgimento diretto dei servizi di noleggio a seguito della concessione, previo corrispettivo, di diritti di proprietà industriale e intellettuale, relativi a marchi, denominazioni, insegne, modelli di utilità, brevetti, etc. Quindi, essendo lo scopo quello di commercializzare le auto Hertz sulla base del sistema gestionale e di commercializzazione collaudato da RAGIONE_SOCIALE, doveva escludersi il rapporto di agenzia e la locazione sull’immobile , essendo tutto assorbito dalla causa del contratto di franchising. Fu rigettata anche la domanda risarcitoria per pretesa insufficienza del parco macchine e la doglianza relativa alla compensazione tra i crediti e i debiti.
L’appellante soccombente propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Resistono con controricorso i soci dell’estinta RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE
La parte controricorrente ha depositato atto denominato ‘Memorie illustrative’ che non può considerarsi tale, in difetto dei requisiti di legge.
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso -360, comma 1 n. 5 c.p.c. motivazione apparente e contraddittoria-travisamento del fatto presupposto- – il ricorrente -nella qualità- impugna il capo di sentenza che ha ritenuto la successione dei soci nella posizione giuridica soggettiva della società estinta, successione di cui, ad avviso della ricorrente, non ricorrerebbero i presupposti. La statuizione sarebbe erronea in quanto la motivazione delle sentenze di questa Corte, richiamate dalla decisione a sostegno del fenomeno della successione, sia nel lato passivo sia nel lato attivo, si basa su l dato materiale dell’essere i crediti non apposti in bilancio, mentre nel caso di specie i crediti erano portati da fatture emesse dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell ‘impresa individuale RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, fatture riportate nella contabilità della società e quindi parte integrante del bilancio di liquidazione. Essendo detti crediti presenti nella contabilità della società, la dichiarazione dei soci di non aver più nulla a pretendere, non poteva essere considerata quale quietanza liberatoria e rinuncia dei soci a proseguire l’azione giudiziaria e a divenire titolari iure successionis di eventuali diritti di credito di cui era titolare la società stessa.
Il motivo è infondato.
La corte di merito ha nell’impugnata sentenza motivato in ordine alla rinuncia al credito, facendo applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui l’estinzione della società dà luogo ad un fenomeno successorio: dal lato passivo ciò comporta che dei debiti sociali rispondano i soci e che, dal lato attivo, i crediti sociali si trasferiscano ai soci pro-indiviso; le sopravvenienze attive vanno valutate caso per caso, tenendo conto del fatto che la rinuncia non può presumersi ipso facto ma deve risultare da un’espressa
remissione del debito, cioè da una manifestazione negoziale di volontà inequivoca.
La corte del merito ha escluso la rinuncia dei soci a far valere i crediti della società in ragione del conferimento al liquidatore del mandato a riscuotere ‘ eventuali future sopravvenienze attive allo stato non prevedibili ‘ , da interpretarsi non come volontà di rinunciare ai diritti oggetto del giudizio ma quale mandato a riscuotere future sopravvenienze attive non prevedibili.
La corte di merito, nel respingere la tesi della rinuncia dei soci a far valere crediti della società si è invero conformata al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui ‘ Dopo la riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una
più rapida conclusione del procedimento estintivo ‘ (Cass.,SU nn. 6070, 6071 e 6072 del 2013).
Con il secondo motivo il ricorrente -nella qualità- denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 110 cpc 2272 c.c. e 2315 c.c. in relazione all’art. 2312 c.c. e 2495 c.c.
Nel ribadire invero le censure già mosse nel primo motivo di ricorso, richiamando quanto contenuto nella quietanza liberatoria con espressa rinuncia dei soci a far valere i crediti della società, si limita ad una richiesta di riesame del merito delle questioni, a tale stregua ponendosi al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo -violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del 1° comma dell’art. 115 c.p.c. il ricorrente -nella qualitàlamenta che la corte del merito, violando il principio regolatore dell’onere della prova ed il principio di non contestazione , ha ritenuto che i crediti, richiesti dai soci della cessata RAGIONE_SOCIALE, riguardassero sopravvenienze attive e non crediti portati dal bilancio di liquidazione. Il motivo, contemplando doglianze concernenti esclusivamente questioni di fatto, è inammissibile.
All’inammissibilità e infondatezza dei motivi nei suindicati termini, assorbiti o rigettati ogni altra questione e diverso profilo, consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, nella qualità, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 4 .600,00, di cui euro 4.400,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore dei controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione