Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1129 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1129 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 12831/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME (ora RAGIONE_SOCIALE) (P. IVA P_IVA, in persona del legale rappresentante COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME, giusta procura in atti;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE) (P.IVA P_IVA), in persona del legale rappresentante;
-intimato –
COGNOME MARCO (RAGIONE_SOCIALE EDILI DITTA INDIVIDUALE), (P.IVA P_IVA;
-intimato – avverso la sentenza n. 1995/2018 del TRIBUNALE DI BERGAMO, depositata il 02.10.2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
La vicenda giudiziale qui al vaglio può sintetizzarsi nei termini seguenti.
1.1. Il Giudice di pace di Treviglio rigettò l’opposizione a decreto ingiuntivo avanzata da RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Nunzio RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’ingiungente RAGIONE_SOCIALE
1.2. Il Tribunale di Bergamo, accolta l’impugnazione della RAGIONE_SOCIALE, rigettò la domanda della F.RAGIONE_SOCIALE COGNOME
1.3. Il diverso opinamento rispetto al Giudice di primo grado consiglia riprendere, sia pure in breve, gli argomenti decisivi posti a sostegno della decisione d’appello.
Prima di ciò va evidenziato che il Tribunale di Bergamo disattese l’eccezione d’inammissibilità dell’impugnazione, proposta ai sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., poiché, spiega il Giudice, l’appellante aveva puntualmente individuato la violazione della regola sull’onere probatorio, evidenziando, altresì, il malgoverno di risultanze istruttorie su punti specifici e decisivi, indicando nel dettaglio i passaggi della sentenza assoggettati a critica.
Andando al merito il Tribunale motiva evidenziando quanto appresso.
Il Giudice di primo grado aveva invertito il carico dell’onere probatorio, spettando al creditore della prestazione negoziale dare prova del contratto, non potendosi desumere esso dalla circostanza che delle opere fossero state realizzate (nella specie un soppalco con accessori); lavori che nella specie l’opponente assumeva essere state appaltate a NOME COGNOME il quale, aveva subappaltato alcune d’esse (una scala con ringhiera e una ringhiera con cancelletto) alla società opposta.
Nessuno dei capitoli di prova dedotti dall’appellata era diretto a provare il contratto e il primo Giudice non aveva valutato le prove che dimostravano che l’appalto era stato assegnato al COGNOME il quale aveva subappaltato la fornitura della scala e della ringhiera alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME
Non era stato attribuito il giusto peso logico alla circostanza che il contratto d’appalto col COGNOME concerneva la realizzazione di un ufficio soppalcato e che la scala e il parapetto risultavano inclusi nel preventivo dell’appaltatore.
Sul piano corroborativo viene sottolineato che la scala e il parapetto non potevano costituire un extra, bensì elementi essenziali per rendere fruibile il soppalco destinato a ufficio. Le fatture azionate col monitorio erano state inviate sei mesi dopo la conclusione dei lavori. Nell’interrogatorio formale il legale rappresentante della COGNOME aveva reso significativa ammissione (il COGNOME aveva fatto da tramite) e omesso di rispondere a riguardo del rapporto COGNOME /COGNOME. Lo scrutinio della prova testimoniale induceva a reputare fondata la tesi dell’appellante (il teste NOME COGNOME indicato dalla pretesa creditrice, aveva inverosimilmente dichiarato che la messa in opera della scala avrebbe costituito esigenza sopraggiunta solo in corso d’opera; i testi di parte opponente, per contro, avevano confermato che scala e parapetto facevano parte del progetto globale originario, e uno dei due aveva chiarito che l’incarico era stato dato al COGNOME; i due predetti testi erano attendibili, in quanto non avevano legami con la parte, della quale non erano neppure dipendenti).
La RAGIONE_SOCIALE di Fratelli Manuel (ora RAGIONE_SOCIALE propone ricorso sulla base di quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
La controparte è rimasta intimata.
Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ. per non avere il Tribunale accolto l’eccezione d’inammissibilità del gravame avanzata dall’appellata, la quale, col ricorso, richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’appellante è tenuto a indicare le singole questioni sottoposte al vaglio d’appello, non trattandosi di un ‘novum iudici um ‘, ma di una ‘revisio’ fondata su specifici vizi.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., affermando che il Giudice di secondo grado, non apprezzando adeguatamente le emergenze di causa, non aveva considerato che la RAGIONE_SOCIALE aveva provato il rapporto con la committente e i lavori svolti, nel mentre la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai provato di aver corrisposto il dovuto per scala e ringhiera al Pettina. Infine, viene soggiunto che il ‘lavoratore NOME COGNOME‘ non era tenuto a provare l’entità del debito della controparte, nel rispetto del principio di solidarietà tra committente e appaltatore, di cui all’art. 29, co. 2, d. lgs. n. 276/2003.
Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., addebitandosi al Tribunale di avere malamente vagliato le risultanze di prova, ivi inclusa la circostanza che la controparte non aveva mai chiesto di provare di aver pagato il corrispettivo al COGNOME.
Con il quarto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1655 e 1676 cod. civ. e 29, d. lgs. n. 276/2003.
Secondo l’assunto impugnatorio , l’obbligo del pagamento intimato derivava, in ogni caso, dal principio di solidarietà dettato dall’art. 1676 cod. civ. Ciò ancor più alla luce della disposizione di cui al comma 2 del citato art. 29.
Il primo motivo risulta manifestamente destituito di giuridico fondamento.
La ricorrente, invero, senza incidere sulla ‘ratio decidendi’ del Tribunale, si intrattiene a enunciare il principio di diritto sopra richiamato. Per contro, come si è visto, il Giudice dell’appello ha analiticamente spiegato, senza essere puntualmente e convincentemente smentito, le ragioni per le quali l’appello appariva specifico e, quindi ammissibile, proprio nel rispetto dell’evocato principio.
<> (Sez. 2, n. 23831/2023).
8. Il secondo motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento.
L’evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito manifesti la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio, di talché, nella sostanza, peraltro neppure efficacemente dissimulata, la doglianza investe inammissibilmente l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito, in questa sede non sindacabile. La critica, in sostanza, presuppone che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito sia tale da integrare il rivendicato inquadramento normativo, e che, quindi, ancora una volta, l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, risulti tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/019, 6806/019).
Quanto, poi, al richiamo all’art. 29, co. 2, d. lgs. 276/2003 si dirà a riguardo del quarto motivo.
9. Il terzo motivo è infondato.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite in epoca recente (sent. n. 20867, 30/09/2020, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in
contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
10. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Sul punto è bastevole richiamare il condiviso arresto di questa Corte, con il quale si è chiarito che, in caso di subappalto, il subcommittente non può eccepire, a fronte della richiesta di versamento del corrispettivo del contratto, l’inadempimento del subappaltatore nei confronti dei propri dipendenti ed ausiliari, correlato al rischio di subire l’azione diretta da parte di costoro, in quanto la norma di cui all’art. 1676 c.c. presuppone che la relativa responsabilità solidale del subcommittente operi nei limiti di quanto ancora dovuto al subappaltatore, sicché, una volta versato il corrispettivo del contratto, viene meno anche la detta responsabilità solidale. (In applicazione del suesteso principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, a fronte della richiesta di pagamento del corrispettivo da parte del subappaltatore, aveva ritenuto giustificata l’eccezione di inadempimento sollevata dal subcommittente, che aveva preteso la dimostrazione, da parte del creditore, della regolarità contributiva dei suoi dipendenti, nel dichiarato timore di subirne l’azione diretta) -Sez. 2, n. 35962, 22/11/2021, Rv. 663259 –
Avuto riguardo all’art. 29, co. 2, d. lgs. n. 276/2003 basterà ricordare che in tema di responsabilità solidale del committente con
l’appaltatore di servizi, la locuzione “trattamenti retributivi” di cui all’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276 del 2003, dev’essere interpretata in maniera rigorosa, nel senso della natura strettamente retributiva degli emolumenti che il datore di lavoro risulti tenuto a corrispondere ai propri dipendenti, con conseguente esclusione del valore dei pasti allorché il servizio mensa rappresenti un’agevolazione di carattere assistenziale, anziché un corrispettivo obbligatorio della prestazione lavorativa, per la mancanza di collegamento causale tra l’utilizzazione della mensa ed il lavoro svolto, sostituendosi ad esso un nesso meramente occasionale con il rapporto. (Nella specie, la S.C., con riferimento agli artt. da 63 a 78 del c.c.n.l. attività ferroviarie del 16 aprile 2003, ha cassato, sul punto, la sentenza di appello, escludendo che rientrassero nella retribuzione le somme per buoni pasto) -Sez. L., n. 23303, 18/09/2019, Rv. 655019 -01, ex multis -.
Val la pena, infine, in ogni caso, soggiungere che l’art. 9, l. n. 99/2013 recita: <>. Con ciò facendo inequivoco richiamo ai lavoratori autonomi, ausiliari dell’imprenditore. Ipotesi che qui, in radice, non ricorre poiché l’attività della parte ricorrente è stata svolta in forma societaria (in accomandita semplice, ora trasformata in società a responsabilità limitata).
Al complessivo rigetto del ricorso non consegue pronuncia sulle spese poiché la controparte è rimasta intimata.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 19 dicembre