Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8884 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8884 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 30345/2022
promosso da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore , COGNOME NOME, e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con studio in Catanzaro, INDIRIZZO, in virtù di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME ;
– intimati – avverso la sentenza n. 1338/2022 della Corte di appello di Catanzaro, pubblicata in data 24/11/2022 e notificata in data 25/11/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME; letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 27/10/2015, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Lamezia
Terme la RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) e il suo Presidente, impugnando la delibera assembleare tenutasi in data 27/09/2015, ritenuta viziata da inesistenza e/o annullabilità in difetto della preventiva comunicazione dell’avviso di convocazione agli attori, che assumevano di possedere la qualità di soci, per come prescritto dall’art. 10 dello Statuto.
I convenuti, nel costituirsi, eccepivano il difetto di legittimazione attiva degli istanti e chiedevano il rigetto della domanda, siccome infondata. A detta dei convenuti, non poteva riconoscersi la qualifica di associati ai signori COGNOME e COGNOME, per il mancato versamento delle quote associative di spettanza, secondo quanto stabilito dall’art. 4 dello Statuto, né poteva ritenere sanata la decadenza maturata per effetto del pagamento tardivo effettuato dagli stessi con bonifico del 31/08/2015, anche in considerazione del venir meno del rapporto di fiducia che caratterizza il vincolo associativo.
Con la sentenza n. 951/2019, il Tribunale dichiarava nulla la delibera impugnata e condannava i convenuti alla rifusione, in favore degli attori, delle spese di lite, liquidate in complessivi € 440,00, oltre 15% a titolo di rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito dichiaratosi antistatario.
Avverso la predetta sentenza proponevano appello la RAGIONE_SOCIALE e il Presidente COGNOME NOME.
Si costituivano in giudizio NOME COGNOME e NOME COGNOME, argomentando per l’infondatezza dell’appello e deducendo la temerarietà della condotta processuale degli appellanti, ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Con la sentenza in questa sede impugnata, la Corte territoriale respingeva l’appello, condannando la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME al pagamento, in solido tra loro, delle spese del grado, liquidate in complessivi € 4.996,00 per onorari, oltre accessori di legge.
In motivazione, il giudice del gravame dava preliminarmente atto che la sentenza n. 951/2019, emessa dal Tribunale di Lamezia Terme, era divenuta cosa giudicata limitatamente alla declaratoria di inammissibilità dell’eccezione di nullità della delibera del RAGIONE_SOCIALE del 26/10/2015, siccome non impugnata in parte qua . Lo stesso giudice confermava, poi, il rigetto dell’eccezione di carenza di legittimazione attiva di NOME COGNOME e NOME COGNOME, spiegando la differenza rispetto all’eccezione sulla effettiva titolarità della situazione giuridica sostanziale.
Con riferimento al primo motivo di appello, mediante il quale gli appellanti avevano dedotto la violazione da parte del giudice di primo grado del principio sancito dall’art. 112 c. p. c., la Corte di merito riteneva l’infondatezza della censura, perché il Tribunale aveva statuito entro i limiti della domanda attorea, nel rispetto della disposizione codicistica citata, atteso che NOME COGNOME e NOME COGNOME con la stessa avevano chiesto di dichiarare giuridicamente inesistente e/o annullare l’adunanza assembleare tenutasi in data 27/09/2015 e conseguentemente annullare e/o revocare e/o dichiarare illegittime e prive di effetti le delibere ivi assunte.
La Corte territoriale riteneva parimenti infondato il secondo motivo di appello a supporto della richiesta degli appellanti di rigetto della domanda attorea. Sebbene per ragioni diverse da quelle addotte dal primo giudice, la Corte ha condiviso la statuizione di invalidità della delibera assembleare del 27/09/2015, ritenendo che, dal combinato disposto degli artt. 7, commi 1 e 2, e 16, comma 2, lettera i), dello Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE, si evinceva che il mancato pagamento della quota associativa era causa di decadenza dalla qualità di socio ma che, affinché il socio potesse essere escluso, era necessaria una deliberazione del Consiglio direttivo, ricorribile innanzi al RAGIONE_SOCIALE, che ne constatasse la verificazione. Pur rilevando che NOME COGNOME e
NOME COGNOME non avevano dimostrato documentalmente di essere soci dell’ente prima del 2015, la Corte dava rilievo al fatto che l’Associazione e il suo Presidente, nel contestare la qualità di soci in capo agli attori al momento di convocazione dell’assemblea e a quello di proposizione della domanda giudiziale, non avevano specificamente contestato tale qualità per il periodo antecedente, producendo, anzi, la delibera con la quale il Consiglio direttivo ne decretava l’esclusione.
Tenuto, pertanto, conto che era rimasta sfornita di prova la circostanza che NOME COGNOME e NOME COGNOME fossero stati esclusi dall’ente mediante apposita delibera precedente all’adunanza, la convocazione dell’assemblea del 27/09/2015 doveva essere comunicata agli appellati, in quanto soci dell’ente, con conseguente invalidità della delibera impugnata ex art. 2377 c.c. per violazione dello Statuto e, in particolare, dell’art. 10, comma 2, dello Statuto, in base al quale ai singoli associati risultanti dai registri dell’ente dev’essere data comunicazione personalmente dell’adunanza fissata, a nulla rilevando l’assenza di NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’elenco degli associati del 2015, che, in assenza di prova della deliberazione dell’esclusione, era, per la Corte, plausibile ipotizzare essere dovuta all’erronea convinzione in capo all’ente dell’automatica decadenza dalla qualità di socio al verificarsi di una causa di esclusione e alla conseguente loro cancellazione dal registro.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE e il suo Presidente, affidato a quattro motivi.
Gli intimati non si sono difesi con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso sono formulate le seguenti censure: «I MOTIVO: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 147 del 2022 ed in subordine, del D.M. n. 55/2014, poiché la Corte d’Appello di Catanzaro, nel liquidare le spese di lite in Euro
4.996,00 oltre accessori di legge, ha violato i parametri di cui alla Tabella n. 12 allegata al D.M. n. 147/2022, non tenendo conto del valore della causa quantificato in euro 1.000,00 e della fascia media. Impugnazione della sentenza ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5» (v. p. 5 e ss. del ricorso introduttivo).
Con il secondo motivo di ricorso è formulata la seguente censura: «II MOTIVO: la nullità della sentenza per non avere la Corte territoriale motivato lo scostamento dalla fascia media prevista dal DM 147/2002 o in subordine dal DM 55/2014, ai sensi dell’art. 360 c.1 n. 4 c.p.c., in quanto resa in base a motivazione solo apparente o comunque in violazione del c.d. minimo costituzionale della motivazione» (v. p. 8 e ss. del ricorso introduttivo)
Con il terzo motivo di ricorso sono formulate le seguenti censure: «III MOTIVO: a) Violazione e falsa applicazione dell’art. 5, lettera D, dello Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE entrato in vigore il primo gennaio 2014. Impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 3. …omissis… b) Nullità della sentenza per error in iudicando relativamente all’art. 5, lettera D ed E, nonché del punto 2, dello Statuto dell’RAGIONE_SOCIALE» (v. p. 11 e ss. del ricorso introduttivo)
Con riferimento al punto a) i ricorrenti hanno dedotto che la Corte di appello ha ritenuto necessaria la delibera di esclusione del socio anche per il caso di decadenza in conseguenza del mancato pagamento della quota associativa, mentre invece tale evenienza era prevista dall’art. 5 dello Statuto solo per il caso di espulsione, così operando una statuizione affetta da illogicità, dal momento che ipotizza l’obbligatorietà di procedure non previste dallo Statuto, che, peraltro, nessuna delle parti aveva mai prospettato.
Con riferimento al punto b), i ricorrenti hanno ribadito che la Corte territoriale ha errato nel confondere l’ipotesi della decadenza del socio, che si verificava nei casi tassativamente previsti dalle lettere
A, B, C e D dell’art. 5 dello Statuto, tra cui compariva il mancato versamento della quota associativa, e l’ipotesi di esclusione contemplato nella lettera e), le cui disposizioni erano tassativamente stabilite e non soggette a diversa interpretazione. Tutte le altre ipotesi, tra cui il mancato pagamento della quota associativa, per i ricorrenti, comportavano, dunque, la decadenza tout court del socio dalla sua qualità, senza la necessità dell’espletamento di attività da parte del direttivo.
Inoltre, secondo la RAGIONE_SOCIALE e il suo Presidente, la Corte d’appello ha preso a fondamento della decisione uno Statuto esibito dalle controparti sia in primo che in secondo grado (cfr. allegato n. 10 del fascicolo su cui si fonda il ricorso), che non era quello adottato ufficialmente dalla RAGIONE_SOCIALE, tant’è che lo stesso non presentava gli elementi essenziali, quali il timbro e la vidimazione del notaio rogante lo Statuto, la norma transitoria di entrata in vigore e gli estremi identificativi, tutti elementi che, per converso, erano presenti nello Statuto depositato dagli odierni ricorrenti dal quale si evincevano anche gli estremi del repertorio riportati nell’intestazione, ritualmente depositato in entrambi i gradi di giudizio (cfr. allegato n. 6 fascicolo su cui si fonda il ricorso).
Con il quarto motivo di ricorso è formulata la seguente censura: « IV MOTIVO: violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, in quanto la Corte di Appello di Catanzaro ha erroneamente applicato la regola del giudizio fondata sull’onere della prova, ritenendo sussistente la qualità di soci degli odierni resistenti, senza che quest’ultimi fornissero anche rigorosa dimostrazione della qualità di socio al momento e della legittimazione processuale» (v. 17 e ss. del ricorso introduttivo e, in particolare, p. 18, ove, per evidente errore materiale, vi è il riferimento a un quinto motivo di ricorso, trattandosi invece dell’illustrazione del quarto).
I ricorrenti hanno censurato la sentenza nella parte in cui, dopo aver ritenuto infondata l’eccezione di difetto di legittimazione passiva degli intimati, da valutarsi in base alla prospettazione di questi ultimi e non in virtù della effettiva titolarità del rapporto dedotto in giudizio, la Corte d’appello, a pagina 8, ha poi rilevato che era vero che, in effetti, NOME COGNOME e NOME COGNOME non avevano dimostrato documentalmente di essere soci dell’ente prima del 2015, ma i convenuti, nel contestare la qualità di soci in capo agli intimati al momento di convocazione dell’assemblea e al momento della proposizione della domanda giudiziale, non avevano specificamente contestato la circostanza che in precedenza gli stessi fossero soci, in particolare, producendo la delibera del 15/10/2015, con la quale il Consiglio direttivo ne decretava l’esclusione.
Secondo i ricorrenti, la motivazione resa dalla Corte di merito, oltre ad essere viziata da un totale travisamento dei fatti e delle allegazioni delle parti, presenta anche profili di illogicità, poiché nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, la controparte – in aperta violazione dell’art. 2697 c.c. – non ha fornito elementi idonei a dimostrare la qualità di socio.
In particolare, le parti hanno dedotto che la Corte territoriale ha palesemente violato il principio dell’onere della prova, in quanto spettava ai soci dimostrare la loro qualità, ed invece, invertendo l’onere probatorio, ha rigettato l’appello, poiché gli attuali ricorrenti non avevano fornito la prova della delibera consiliare che decretava l’esclusione dei resistenti, mentre invece avrebbe dovuto fermarsi a considerare che COGNOME NOME e COGNOME NOME non avevano fornito la prova documentale (oltre che della propria legittimazione processuale) della loro qualità di soci antecedente all’anno 2015.
Per evidenti ragioni logico-sistematiche, occorre prima di tutto esaminare il terzo e il quarto motivo di ricorso principale, che
attengono alla controversia oggetto di giudizio, per poi esaminare i motivi che riguardano la statuizione sulle spese di lite.
Il terzo motivo di ricorso principale è in parte inammissibile e in parte infondato.
5.1. Come sopra evidenziato, costituisce materia del contendere devoluta al giudice di secondo grado l’accertamento della qualità di soci in capo agli attuali intimati, al momento in cui è stata convocata l’assemblea del 27/09/2015, perché solo in questo caso la mancata convocazione degli stessi avrebbe viziato la delibera adottata.
La Corte d’appello ha dato risposta positiva a tale quesito, evidenziando che dal combinato disposto degli artt. 7, commi I e II, e 16, comma II, lettera i), dello Statuto, il mancato pagamento delle quote associative è causa di decadenza dalla qualità di socio, ma richiede pur sempre una deliberazione del Consiglio direttivo.
Secondo i ricorrenti, invece, il mancato pagamento delle quote associative per gli anni 2014 e 2015, ai sensi dell’art. 5 dello Statuto, comporta l’automatica decadenza degli intimati dalla qualità di soci, che non richiede l’adozione di alcun atto da parte degli organi associativi.
5.2. Occorre subito evidenziare che gli Statuti, depositati dai ricorrenti unitamente al ricorso per cassazione, ed elencati ai nn. 6 e 10, richiamati anche nel ricorso per cassazione, si riferiscono a due diverse Associazioni, essendo il primo relativo all’Associazione RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, e il secondo all’Associazione regionale, la RAGIONE_SOCIALE. Solo quest’ultima è parte nel presente giudizio e, come si legge all’art. 1 del suo Statuto, costituisce un’articolazione a livello territoriale di quella RAGIONE_SOCIALE.
La Corte d’appello, nell’illustrare le ragioni della decisione, ha (correttamente) fatto riferimento agli artt. 7 e 16 dello Statuto
dell’Associazione regionale (p. 7 della sentenza impugnata e doc. 10 allegato al ricorso per cassazione).
I ricorrenti, nel formulare i motivi di censura, hanno richiamato, invece, l’art. 5 dello Statuto dell’Associazione RAGIONE_SOCIALE, che, comunque, per la parte esaminata, è di contenuto identico all’art. 7 dello Statuto dell’Associazione regionale (cfr. p. 11 e ss. del ricorso per cassazione doc. 6 allegato al ricorso per cassazione).
Le deduzioni contenute nel ricorso per cassazione, in ordine alla ritenuta non corrispondenza tra lo Statuto approvato dall’Associazione regionale e quello prodotto dagli attuali intimati in primo e in secondo grado (doc. 10 allegato al ricorso per cassazione), non sono accompagnate dalla specificazione, necessaria ai fini dell’autosufficienza, che tale eccezione era stata già ritualmente formulata nei precedenti gradi di merito, sicché, non emergendo neppure dalla decisone impugnata, deve ritenersi inammissibile per novità (v., da ultimo Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8206 del 22/04/2016).
5.3. Com’è noto, l’interpretazione dello statuto di un’RAGIONE_SOCIALE – come quello di una fondazione o di una società va condotta alla stregua dei criteri indicati dagli artt. 1362 e ss. c.c., trattandosi di atto di autonomia negoziale, sulla base di accertamenti di fatto rimessi al giudice di merito, sindacabile in cassazione entro i limiti del vizio di motivazione, come attualmente inteso a seguito delle modifiche apportate all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., o di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in riferimento ai citati canoni di ermeneutica contrattuale (v. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 11756 del 19/05/2006; , cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 16409 del 04/07/2017, con riferimento alle fondazioni; v. anche Cass., Sez. L, Sentenza n. 17067 del 03/08/2007, con riguardo alle RAGIONE_SOCIALE con personalità giuridica).
Posto che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9461 del 09/04/2021).
5.4. Nel caso di specie, come sopra evidenziato, i ricorrenti, affermando che lo Statuto riteneva necessaria l’adozione di una delibera che facesse perdere la qualità di socio solo per il caso di esclusione, hanno anche dedotto che la Corte d’appello ha operato una statuizione affetta da illogicità, dal momento che ha ipotizzato l’obbligatorietà di procedure non previste dallo Statuto, che, peraltro, nessuna delle parti aveva mai prospettato,
La parte, dunque, da una parte, ha contrapposto la propria interpretazione a quella del giudice di merito, proponendo una diversa valutazione in fatto, che però non è consentita al giudice di legittimità, per i motivi già illustrati, dall’altra, ha attinto la motivazione, ritenuta illogica, deducendo che si fonda su previsioni statutarie inesistenti.
Quest’ultima censura, tuttavia, è senza dubbio infondata, tenuto conto che il giudice di merito risulta avere esaminato le previsioni contenute nello Statuto dell’Associazione regionale (doc. 10 allegato al ricorso), operando una valutazione complessiva delle
relative clausole, pervenendo alle conclusioni sopra richiamate, dopo aver rilevato che l’art. 7 prevede la cessazione della qualità di socio per il mancato pagamento della quota associativa e l’art. 16, tra i compiti attribuiti al consiglio regionale, reca anche quello di deliberare la decadenza dalla qualifica di socio per mancato pagamento della quota associativa.
Anche il quarto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
6.1. In primo luogo la censura non ha colto la ratio della decisione impugnata, che ha ritenuto sussistente la qualità di soci dedotta dagli attuali intimati.
Il giudice di merito non ha posto a carico dei ricorrenti l’onere di provare l’assenza di qualità di soci in capo alle controparti, statuendo di conseguenza per il mancato adempimento di tale onere, ma ha semplicemente ritenuto non contestata e, anzi, provata per documenti la precedente qualità di soci degli intimati, sulla base delle allegazioni e delle produzioni acquisite la processo, provenienti proprio dagli attuali ricorrenti.
6.2. Inoltre, occorre tenere conto che, com’è noto, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, e non anche quando, a seguito di una valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto non necessitante di prova, in quanto non contestato, o comunque provato un fatto (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020). Il ricorrente per cassazione non può, infatti, rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo
quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023).
Nel caso di specie, non è utilmente invocata alcuna violazione delle regole di riparto dell’onere della prova, risolvendosi la censura in una contestazione delle risultanze istruttorie, operata dal giudice di merito, e dunque in una critica delle valutazioni in fatto inammissibile in sede di legittimità.
6.3. Non è neppure ravvisabile il prospettato vizio di motivazione, pure dedotto solo nell’illustrazione del motivo (e non nella rubrica), tenuto conto che dalla lettura della statuizione impugnata si evincono chiaramente gli argomenti posti a fondamento della decisione assunta e sopra riportati.
Il primo motivo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e risultano fondati, sia pure nei termini di seguito evidenziati.
7.1. Com’è noto, l’art. 91, comma 1, c.p.c., stabilisce che le spese di lite sono liquidate dal giudice con la sentenza che chiude il processo davanti a lui.
L’intima connessione tra sentenza e liquidazione delle spese di lite ha per corollario la necessità che il giudice, quando provveda alla liquidazione suddetta, applichi la legge vigente al momento in cui la sua decisione viene a giuridica esistenza, a nulla rilevando che l’attività difensiva si sia svolta sotto l’impero d’una legge diversa (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 17577 del 04/07/2018).
In tale ottica, questa Corte ha più volte affermato, con riferimento ai parametri introdotti dal d.m. n. 55 del 2014, che tali parametri trovano applicazione ogni qual volta la liquidazione
giudiziale del compenso al difensore intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del d.m. cit., ancorché la prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, purché a tale data la prestazione professionale non sia stata ancora completata. Ne consegue che, qualora il giudizio di primo grado si sia concluso con sentenza prima della entrata in vigore del detto d.m., non operano i nuovi parametri di liquidazione, dovendo le prestazioni professionali ritenersi esaurite con la sentenza, sia pure limitatamente a quel grado. Resta fermo che, in caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021; Cass., Sez. 6L, Ordinanza n. 31884 del 10/12/2018).
Lo stesso principio deve ritenersi applicabile con riferimento ai decreti ministeriali adottati successivamente al 2014.
7.2. Nel caso di specie, il procedimento di appello è stato definito con sentenza pubblicata il 24/11/2022, sicché, come dedotto dai ricorrenti, trova applicazione il d.m. n. 147 del 2022, entrato in vigore il 23/10/2022, che reca modifiche al d.m. n. 55 del 2014, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, l. n. 247 del 2012, contenente le tabelle dei nuovi parametri forensi.
7.3. Come pure precisato da questa Corte, successivamente all’adozione del d.m. n. 55 del 2014, non trova fondamento normativo alcun vincolo alla determinazione secondo i valori medi ivi indicati (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 89 del 07/01/2021).
Ciò non toglie, tuttavia, che il giudice è chiamato a quantificare il compenso tra il minimo ed il massimo delle tariffe, a loro volta derogabili con apposita motivazione, la quale è doverosa allorquando si decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi, affinché siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di questo (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021).
In tale quadro, la determinazione del valore della causa, che individua lo scaglione di riferimento ai fini della liquidazione delle spese di lite, può ritenersi implicita e corrispondente a quella indicata dalle parti, ove il giudice non ritenga di discostarsi da essa, ma, nel caso in cui non concordi con tale dichiarazione, egli è chiamato a motivare la scelta operata, non essendo altrimenti comprensibile il criterio di valutazione in concreto adottato (in generale sulla portata dell’obbligo di motivazione, v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
7.4. Nella specie, i ricorrenti hanno dedotto che gli intimati in primo grado hanno dichiarato che il valore della causa era pari ad € 1.000,00, come pure risulta dall’esame dell’atto di citazione davanti al Tribunale (v. doc. 1 del fascicolo di primo grado). Tale dichiarazione è stata fatta propria dal giudice di primo grado, che ha liquidato l’importo di € 440,00 per compenso al difensore della parte vincitrice (v. doc. 8 del fascicolo di primo grado).
La stessa dichiarazione di valore della causa si rinviene nell’atto di appello (doc. 1 del fascicolo di secondo grado).
Nella statuizione in questa sede impugnata si legge quanto segue: «Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo, applicando i parametri minimi di riferimento, in considerazione del livello di complessità della controversia e delle difese» (v. p. 9 della sentenza impugnata).
Come dedotto dai ricorrenti, le somme liquidate a titolo di compenso per il difensore della parte vincitrice in appello, pari ad €
4.996,00, risultano grandemente superiori agli importi massimi previsti dal d.m. n. 147 del 2022 per le cause di valore pari ad € 1.000,00, anche considerando l’aumento per la difesa prestata a due parti, e la motivazione si presenta del tutto apparente, perché è fatto richiamo ai « parametri minimi di riferimento», senza però l’indicazione di quali siano stati tali parametri, né le ragioni della scelta di uno scaglione diverso da quello risultante dalla dichiarazione di valore delle parti.
In conclusione, devono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso e, dichiarati in parte infondati e in parte inammissibili gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata, nei limiti dei motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro in diversa composizione anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso e -dichiarati in parte inammissibili e in parte infondati gli altri – cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione