Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3525 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3525 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25904/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’
Avvocato
NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
– intimati
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce n. 25/2022 depositata il 3/10/2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/1/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Brindisi, con sentenza in data 29 dicembre 2021, dichiarava il fallimento di RAGIONE_SOCIALE su istanza di RAGIONE_SOCIALE creditrice della somma di € 32.298,53.
La Corte d’appello di Lecce, una volta preso atto che la reclamante RAGIONE_SOCIALE si era limitata a lamentare l’insussistenza del presupposto oggettivo dello stato di insolvenza,
sostenendo di trovarsi in una condizione di crisi aziendale transitoria e del tutto fisiologica determinata dall’emergenza sanitaria legata alla pandemia da Covid-19 verificatasi pochi mesi dopo la sua costituzione, riteneva che tale condizione si desumesse inequivocabilmente, oltre che dall’esito negativo dei pignoramenti effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’ulteriore esposizione debitoria per circa € 70.000 nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e I.N.A.I.L., dagli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza, che aveva acclarato la mancata presentazione dei bilanci relativi agli anni 2019 e 2020, circostanza certamente sintomatica delle difficoltà economiche della società debitrice.
Aggiungeva che l’esistenza di simili difficoltà risultava confermata anche dalla riscontrata sospensione dell’attività aziendale e dalla mancata assunzione di dipendenti per lo svolgimento della medesima attività.
Giudicava, pertanto, che gli elementi acquisiti dimostrassero chiaramente lo stato di impotenza funzionale non transitoria in cui versava la società, che era incapace di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni in assenza delle condizioni necessarie per la produzione di un sia pur minimo reddito.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto del reclamo, pubblicata in data 3 ottobre 2022, prospettando un articolato motivo di doglianza. Gli intimati fallimento di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non hanno svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso presentato, sotto la rubrica ‘ violazione di legge per omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. con riferimento al presupposto oggettivo ex art. 5 l.f. ‘, lamenta l’omesso esame di una serie di fatti decisivi, costituiti dall’esito positivo dei pignoramenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE per la somma di € 10.383,08, che aveva ridotto il credito
dell’istante al di sotto del limite minimo previsto dall’art. 15, ultimo comma, l. fall., dall’avvenuta presentazione, nell’ambito delle procedure esecutive, di un’istanza di conversione del pignoramento, a dimostrazione della capacità di RAGIONE_SOCIALE di adempiere le proprie obbligazioni, e dal fatto che la società era stata costituita soltanto nel dicembre 2019, a pochi mesi dal diffondersi della pandemia, che aveva determinato una crisi transitoria della sua attività.
Questi elementi avrebbero dovuto concorrere -in tesi di parte ricorrente – a una valutazione negativa in ordine alla sussistenza in capo alla fallita del presupposto oggettivo di cui all’art. 5 l. fall., essendo dimostrativi di un’impotenza transitoria e del tutto ‘fisiologica’ della società piuttosto che di un suo stato di insolvenza strutturale e permanente.
5. Il motivo è inammissibile.
5.1 L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass., Sez. U., 8053/2014).
Il primo profilo di doglianza si limita a individuare i fatti storici che la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare, costituiti dall’esito
parzialmente positivo delle procedure esecutive esperite dalla creditrice istante prima di presentare istanza di fallimento e dalla presentazione di un’istanza di conversione ai sensi dell’art. 495 cod. proc. civ., ma non indica il dato, testuale o extratestuale, da cui gli stessi risultavano esistenti, il come e il quando tali fatti erano stati oggetto di discussione processuale tra le parti e i documenti asseritamente prodotti in giudizio da cui i medesimi emergevano.
Il motivo, così formulato, risulta perciò inammissibile per difetto di autosufficienza, non soddisfacendo l’obbligo previsto dall’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. di indicare specificamente gli atti processuali e i documenti su cui lo stesso è fondato.
La doglianza, inoltre, è viziata dalla sua genericità, dato che non rappresenta in alcun modo il valore della potenziale capienza del patrimonio della compagine debitrice in sede esecutiva.
5.2 D’altra parte, questi fatti non assumevano carattere decisivo -nel senso che, se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia -, in quanto l’esito negativo dei pignoramenti costituisce soltanto uno dei plurimi elementi valorizzati dalla Corte territoriale (assieme all’esistenza di un’esposizione debitoria verso gli istituti previdenziali e assistenziali, alla mancata presentazione dei bilanci, al la sospensione dell’attività aziendale e alla mancanza di dipendenti) al fine di ritenere dimostrata l’ esistenza di una condizione di insolvenza.
L’eventuale ricavo nel corso delle procedure esecutive delle disponibilità indicate (per € 10.383,08) non assumeva rilievo neppure ai fini di verificare l’esistenza di debiti scaduti e non pagati di importo superiore al limite indicato dall’art. 15, ultimo comma, l. fall., sia perché nessun motivo di reclamo era stato presentato al fine di dedurre il mancato superamento di tale limite (circa il fatto che il reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento non abbia carattere pienamente devolutivo poiché l’ambito dell’impugnazione resta circoscritto alle sole questioni tempestivamente dedotte dal
reclamante si vedano Cass. 12706/2014 nonché Cass. 31531/2021), sia perché i giudici distrettuali, comunque, hanno rilevato l’esistenza di un” ulteriore esposizione debitoria per circa 70.000 euro complessivi nei confronti di Inps e Inail ‘.
5.3 Non è possibile poi sostenere che la Corte distrettuale abbia omesso di prendere in esame il fatto che la società fosse stata costituita ad immediato ridosso della pandemia (e si trovasse, quindi, in una condizione di crisi aziendale transitoria e del tutto fisiologica determinata dall’emergenza sanitaria), in quanto la decisione impugnata, pur registrando questi fatti e le deduzioni ad essi ricollegate, ha ravvisato (sulla base della mancata presentazione dei bilanci per gli anni 2019 e 2020, della sos pensione dell’attività aziendale e dalla mancata assunzione di dipendenti per l’espletamento della medesima attività) una difficoltà economica della società debitrice tale da configurare un’impotenza funzionale non transitoria.
Nessun omesso esame può quindi essere predicato, ma, al più, un esame non conforme alla lettura che l’odierna ricorrente vorrebbe dare delle emergenze processuali; interpretazione, questa, che tuttavia non è coerente con la censura sollevabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., che consente di lamentare l’omissione dell’ esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non la valorizzazione di tale fatto in un senso differente da quello voluto dalla parte (Cass. 14929/2012, Cass. 23328/2012).
In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
La mancata costituzione in questa sede delle parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge
24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 15 gennaio 2025