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Stato di insolvenza: quando la crisi è permanente?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di una società edile contro la propria dichiarazione di fallimento. La società sosteneva una crisi temporanea dovuta alla pandemia, ma la Corte ha ritenuto che la mancata presentazione dei bilanci, l’assenza di dipendenti e l’esposizione debitoria complessiva dimostrassero uno stato di insolvenza strutturale e non transitorio. Il ricorso è stato respinto anche per motivi procedurali, non avendo indicato con precisione gli atti processuali a supporto delle proprie tesi.

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Stato di Insolvenza: Crisi Aziendale Temporanea o Fallimento Certo? La Cassazione Chiarisce

L’attuale contesto economico pone le imprese di fronte a sfide continue. Distinguere una difficoltà passeggera da una condizione irreversibile è fondamentale, soprattutto quando si parla di stato di insolvenza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre spunti preziosi per comprendere come i giudici valutino questa linea sottile, chiarendo che non basta invocare una crisi esterna, come la pandemia, per evitare una dichiarazione di fallimento. L’analisi deve essere complessiva e basata su elementi concreti che dimostrino la reale capacità dell’azienda di restare sul mercato.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata semplificata, operante nel settore edile e costituita alla fine del 2019, veniva dichiarata fallita dal Tribunale su istanza di una società creditrice per un debito di circa 32.000 euro. La società fallita presentava reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo di trovarsi in una crisi puramente transitoria e ‘fisiologica’, causata dall’emergenza sanitaria da Covid-19, scoppiata pochi mesi dopo la sua costituzione. A suo dire, non sussisteva un vero e proprio stato di insolvenza.

La Corte d’Appello, tuttavia, respingeva il reclamo. I giudici evidenziavano una serie di elementi critici che, letti nel loro insieme, delineavano un quadro ben più grave di una semplice crisi temporanea: esito negativo di pignoramenti, un’ulteriore esposizione debitoria di circa 70.000 euro verso enti previdenziali (INPS e INAIL), la mancata presentazione dei bilanci per due anni consecutivi, la sospensione dell’attività aziendale e l’assenza di dipendenti. Secondo la Corte, questi fattori dimostravano una chiara ‘impotenza funzionale non transitoria’ a far fronte alle proprie obbligazioni.

Il Ricorso in Cassazione e lo Stato di Insolvenza

Non arrendendosi, la società proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un ‘omesso esame di un fatto decisivo’. Secondo la tesi difensiva, la Corte d’Appello avrebbe ignorato alcuni elementi cruciali che, se valutati, avrebbero portato a una conclusione diversa:

1. L’esito parzialmente positivo di alcune procedure esecutive, che avevano permesso al creditore di recuperare una somma (circa 10.000 euro), riducendo il debito.
2. La presentazione di un’istanza di conversione del pignoramento, interpretata come una dimostrazione della volontà e capacità di adempiere.
3. Il contesto della pandemia, che avrebbe giustificato la crisi come un evento eccezionale e transitorio per un’azienda appena nata.

Questi elementi, nel loro complesso, avrebbero dovuto convincere i giudici della natura temporanea della difficoltà, escludendo così lo stato di insolvenza permanente richiesto per la dichiarazione di fallimento.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi fondamentali: uno di natura procedurale e uno di merito.

Il Principio di Autosufficienza del Ricorso

Innanzitutto, il ricorso è stato giudicato inammissibile per difetto di ‘autosufficienza’. La legge processuale (art. 366 c.p.c.) richiede che chi ricorre in Cassazione debba indicare specificamente gli atti e i documenti su cui si fonda la sua censura, precisando ‘il come e il quando’ tali fatti siano stati oggetto di discussione nel processo. La società ricorrente si era limitata a enunciare i fatti che riteneva omessi, senza fornire alla Corte gli strumenti per verificare dove e come questi fossero stati provati e discussi nei gradi di giudizio precedenti. La Cassazione non può ‘andare a caccia’ delle prove negli atti processuali; il ricorso deve contenere tutto il necessario per essere deciso.

La Valutazione dello Stato di Insolvenza e la non Decisività dei Fatti

Anche superando l’ostacolo procedurale, la Corte ha chiarito che i fatti indicati non erano comunque ‘decisivi’. Lo stato di insolvenza non si valuta su un singolo debito o su un singolo pagamento, ma attraverso un’analisi complessiva della situazione finanziaria e patrimoniale dell’impresa.

Il parziale recupero di una somma da parte di un creditore non era sufficiente a negare l’esistenza di un’esposizione debitoria molto più ampia e generalizzata (come quella verso gli enti previdenziali). Inoltre, la Corte d’Appello non aveva omesso di considerare il contesto pandemico; al contrario, lo aveva valutato, ma lo aveva bilanciato con altri elementi di segno opposto (mancata presentazione dei bilanci, stop all’attività, assenza di personale), concludendo che la crisi era strutturale e non congiunturale.

La Cassazione ribadisce un principio chiave: il vizio di ‘omesso esame’ si ha quando un fatto storico non viene proprio visto dal giudice, non quando viene visto e valutato in un modo che non piace alla parte. In questo caso, i fatti erano stati esaminati, ma il loro peso era stato ritenuto insufficiente per ribaltare un quadro generale di grave e irreversibile difficoltà economica.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre importanti lezioni pratiche. Per un’impresa in difficoltà, non è sufficiente appellarsi a cause di forza maggiore per scongiurare il fallimento. È necessario dimostrare, con dati contabili e prove concrete, una reale prospettiva di ripresa. La valutazione dello stato di insolvenza è un giudizio globale che tiene conto di tutti gli indicatori disponibili. Per gli avvocati, emerge ancora una volta l’importanza di redigere ricorsi ‘autosufficienti’, che forniscano alla Corte di Cassazione un quadro chiaro e completo, senza omettere i riferimenti procedurali essenziali, pena l’inammissibilità del gravame.

Una crisi aziendale dovuta a un evento eccezionale come la pandemia esclude automaticamente lo stato di insolvenza?
No. Secondo la sentenza, un evento esterno come la pandemia viene considerato dai giudici, ma il suo impatto è bilanciato con altri indicatori. Se, nonostante la crisi esterna, l’azienda manifesta altri segnali di impotenza finanziaria strutturale (come mancata presentazione dei bilanci, sospensione dell’attività, debiti consistenti verso enti previdenziali), lo stato di insolvenza può essere comunque dichiarato.

Un pagamento parziale a un creditore è sufficiente a dimostrare che non sussiste lo stato di insolvenza?
No. La Corte ha chiarito che un pagamento parziale, pur essendo un elemento, non è decisivo se inserito in un contesto generale di grave difficoltà. La valutazione dello stato di insolvenza si basa su un’analisi complessiva della situazione debitoria e della capacità dell’impresa di operare regolarmente, non su singoli episodi.

Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile per ‘omesso esame di un fatto’ anche se il fatto esiste?
Un ricorso è inammissibile se non rispetta il principio di autosufficienza. Ciò significa che il ricorrente non solo deve indicare il fatto che ritiene sia stato omesso dal giudice precedente, ma deve anche specificare con precisione in quali atti del processo quel fatto è stato provato e discusso. Se non lo fa, la Corte di Cassazione non può esaminare la censura nel merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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