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Stato di insolvenza: quando è crisi irreversibile?

La Corte di Cassazione conferma la dichiarazione di fallimento di una società immobiliare, respingendo il ricorso del suo amministratore. Secondo la Corte, lo stato di insolvenza deve essere valutato come una condizione strutturale e non una mera difficoltà temporanea, anche se causata da eventi esterni come una pandemia. La decisione chiarisce che l’incapacità di far fronte regolarmente alle proprie obbligazioni, e non la causa del dissesto, è l’elemento chiave per la dichiarazione di fallimento. Anche il ritiro dell’istanza da parte del creditore non è sufficiente a provare il superamento della crisi.

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Stato di Insolvenza: Oltre la Crisi Temporanea, la Sentenza della Cassazione

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale per il diritto fallimentare: la distinzione tra una difficoltà economica passeggera e un vero e proprio stato di insolvenza. La Corte di Cassazione, con una decisione chiara e ben motivata, ribadisce i principi fondamentali per la dichiarazione di fallimento, sottolineando come l’incapacità di adempiere alle obbligazioni debba essere di natura strutturale e non meramente transitoria. Questo caso, nato nel contesto delle difficoltà economiche post-pandemiche, offre spunti di riflessione essenziali per imprenditori e professionisti.

I Fatti di Causa

Una società immobiliare veniva dichiarata fallita dal Tribunale di primo grado su istanza di una società creditrice. L’amministratore unico della società fallita presentava reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo che le difficoltà finanziarie dell’impresa non configurassero un vero e proprio stato di insolvenza, ma piuttosto una crisi temporanea e reversibile, aggravata dalla sospensione delle attività edilizie imposta dall’emergenza pandemica. A sostegno della sua tesi, l’amministratore evidenziava anche una dichiarazione di desistenza depositata dal creditore istante nel corso del giudizio d’appello.

La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava il reclamo. I giudici di secondo grado osservavano che la società non aveva fornito alcuna prova concreta della transitorietà della crisi. I pagamenti documentati erano tutti precedenti alla richiesta di fallimento, il conto corrente presentava un saldo negativo e non vi erano elementi che dimostrassero un recupero della liquidità. La desistenza del creditore veniva ritenuta irrilevante, poiché non era stato dimostrato l’effettivo pagamento del debito.

Contro questa decisione, l’amministratore proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione delle norme che definiscono lo stato di insolvenza e l’errata valutazione dell’onere probatorio a carico del creditore.

La Decisione della Corte e la Definizione di Stato di Insolvenza

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici di legittimità hanno colto l’occasione per ribadire con fermezza i contorni giuridici dello stato di insolvenza, distinguendolo nettamente da una semplice, seppur grave, difficoltà di adempimento.

La Natura Strutturale della Crisi

Il punto centrale della decisione è che lo stato di insolvenza si manifesta quando l’impresa si trova in una situazione di impotenza funzionale, strutturale e non meramente transitoria. Non basta non riuscire a pagare un debito; è necessario che l’impresa abbia perso la capacità di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni con mezzi normali, a causa del venir meno delle condizioni di liquidità e di accesso al credito necessarie per l’attività.

L’Irrilevanza delle Cause Esterne

La Corte ha specificato che l’indagine del giudice non deve concentrarsi sulle cause del dissesto (come la crisi pandemica), né sulla loro imputabilità all’imprenditore. Ciò che conta è l’oggettiva esistenza di questa incapacità strutturale. Anche un singolo inadempimento, se sintomatico di una crisi più profonda e generalizzata, può essere sufficiente a dimostrare l’insolvenza.

Le Motivazioni

La Suprema Corte ha ritenuto infondati entrambi i motivi di ricorso, fornendo una motivazione solida e coerente con la giurisprudenza consolidata. I giudici hanno spiegato che la Corte d’Appello ha applicato correttamente i principi, indagando sulla natura – strutturale o transitoria – dell’impotenza finanziaria della società. L’apprezzamento dei fatti che porta il giudice di merito a ritenere sussistente l’insolvenza non è sindacabile in sede di Cassazione, se supportato da una motivazione logica e giuridicamente corretta, come nel caso di specie.

Inoltre, è stato chiarito che la valutazione dello stato di insolvenza deve essere effettuata con riferimento al momento della sentenza dichiarativa di fallimento, tenendo conto anche di eventuali fatti sopravvenuti durante l’istruttoria. La desistenza del creditore istante, in assenza della prova dell’effettivo pagamento, non è stata considerata un fatto idoneo a dimostrare il superamento della crisi, ma solo un atto processuale tra le parti che non incide sulla valutazione oggettiva della salute dell’impresa da parte del tribunale.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre una lezione importante per le imprese in difficoltà. La linea di demarcazione tra una crisi di liquidità superabile e uno stato di insolvenza irreversibile è sottile ma fondamentale. Non è sufficiente addurre cause esterne, come una crisi economica generale o una pandemia, per evitare una dichiarazione di fallimento. È necessario dimostrare con prove concrete e oggettive che l’impresa possiede ancora le risorse e le capacità per riprendersi e far fronte regolarmente ai propri impegni. La decisione ribadisce il ruolo del giudice fallimentare come garante della stabilità del mercato, il cui compito è accertare la condizione oggettiva dell’impresa, a prescindere dalle cause che l’hanno determinata o dagli accordi intervenuti tra debitore e singolo creditore.

Una difficoltà economica temporanea, come quella causata dalla pandemia, è sufficiente per dichiarare il fallimento?
No. Per dichiarare il fallimento, il tribunale deve accertare uno stato di insolvenza, che consiste in un’incapacità strutturale e non meramente transitoria dell’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Una difficoltà temporanea, anche se grave, non è di per sé sufficiente.

Se il creditore che ha chiesto il fallimento ritira la sua istanza, il procedimento si ferma?
Non necessariamente. La dichiarazione di desistenza del creditore non è sufficiente a provare il superamento dello stato di insolvenza. Il tribunale deve comunque valutare la situazione finanziaria complessiva dell’impresa, poiché il ritiro dell’istanza non dimostra che il debito sia stato effettivamente pagato o che la crisi strutturale sia stata risolta.

Per accertare lo stato di insolvenza, a quale momento bisogna fare riferimento?
L’accertamento dello stato di insolvenza deve essere compiuto con riferimento alla situazione esistente alla data della sentenza dichiarativa di fallimento, e non a quella di presentazione del ricorso. Il giudice può e deve tenere conto anche di indici e fatti sopravvenuti nel corso dell’istruttoria prefallimentare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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