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Stato di insolvenza: non basta la crisi Covid

Una società, dichiarata fallita, ha impugnato la decisione sostenendo che le sue difficoltà fossero temporanee e causate dalla pandemia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando che lo stato di insolvenza era una condizione strutturale e preesistente, come dimostrato da debiti accumulati prima del 2020, revoca di affidamenti bancari e procedure esecutive già in corso. La crisi sanitaria, pertanto, non poteva essere usata come scudo per un dissesto già consolidato.

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Stato di Insolvenza: la Crisi Covid non Giustifica un Dissesto Preesistente

L’emergenza pandemica ha rappresentato una sfida senza precedenti per il tessuto economico, ma non può diventare uno scudo per giustificare situazioni di crisi aziendale preesistenti. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per evitare la dichiarazione di fallimento, non basta invocare le difficoltà del periodo Covid se lo stato di insolvenza era già una realtà consolidata e irreversibile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Una società a responsabilità limitata, operante nel settore della fornitura di ossigeno, veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Salerno su istanza di tre suoi ex dipendenti. La società presentava reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo che la propria crisi fosse solo una difficoltà finanziaria transitoria, aggravata dalla pandemia di Covid-19 e dalle relative misure restrittive. A suo dire, la normativa emergenziale, che sospendeva i licenziamenti, avrebbe dovuto precludere anche la dichiarazione di fallimento.

La Corte d’Appello, tuttavia, rigettava il reclamo, confermando la sentenza di primo grado. I giudici di secondo grado ritenevano che la crisi della società non fosse affatto temporanea, ma strutturale e precedente alla pandemia. Contro questa decisione, la società proponeva ricorso per cassazione, basandolo su cinque motivi.

La Decisione della Corte e lo Stato di Insolvenza Preesistente

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, chiudendo definitivamente la vicenda e confermando la correttezza della dichiarazione di fallimento. Il cuore della decisione risiede nella distinzione netta tra una difficoltà finanziaria temporanea, potenzialmente causata da un evento eccezionale come la pandemia, e uno stato di insolvenza radicato e permanente.

I giudici hanno smontato la tesi difensiva della società, evidenziando come i suoi problemi finanziari fossero ben antecedenti all’emergenza sanitaria. La Corte ha ritenuto che i primi tre motivi di ricorso fossero inammissibili perché miravano, in realtà, a ottenere un nuovo giudizio sui fatti, attività preclusa in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di merito, con una motivazione ritenuta priva di vizi dalla Cassazione, aveva accertato che lo stato di insolvenza della società risaliva a un periodo ben anteriore all’emergenza Covid-19. Questa conclusione non era basata su supposizioni, ma su prove concrete emerse durante il giudizio:

1. Debiti verso i Dipendenti: La società aveva debiti non pagati nei confronti dei lavoratori risalenti al biennio 2018-2019.
2. Debiti Tributari: Erano presenti debiti con il fisco maturati prima del periodo d’imposta 2020.
3. Crisi di Liquidità Strutturale: La revoca delle facilitazioni bancarie e la pendenza di procedure esecutive fin dal 2019 dimostravano una cronica assenza di liquidità e l’incapacità di onorare i debiti.
4. Sospensione dell’Attività: La sospensione dell’attività produttiva era un ulteriore sintomo del dissesto irreversibile.

La Cassazione ha chiarito che la legislazione emergenziale sul Covid-19 non è stata introdotta per sanare situazioni di insolvenza già conclamate, ma per sostenere le imprese sane colpite dalla crisi. Invocare il factum principis (l’atto dell’autorità) per giustificare gli inadempimenti non era pertinente, poiché la causa del dissesto era interna e precedente.

Anche gli altri motivi di ricorso, relativi alla legittimazione dei creditori istanti e alla violazione di norme procedurali, sono stati giudicati inammissibili. La Corte ha ribadito il principio consolidato secondo cui, ai fini della dichiarazione di fallimento, non è necessario un accertamento definitivo del credito, ma è sufficiente una verifica sommaria da parte del giudice fallimentare.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione per gli imprenditori e i professionisti del settore. Lo stato di insolvenza è una condizione oggettiva che viene valutata sulla base della storia finanziaria complessiva dell’azienda. Eventi esterni eccezionali, per quanto gravi, non possono mascherare una crisi strutturale e preesistente. I tribunali sono tenuti a un’analisi rigorosa degli indici di crisi, distinguendo con attenzione le difficoltà congiunturali da quelle strutturali. La decisione conferma che la finalità della legge fallimentare è quella di regolare in modo ordinato l’uscita dal mercato di imprese non più vitali, a tutela della concorrenza e dei creditori, un principio che nemmeno una crisi globale come quella pandemica può sovvertire.

La crisi dovuta al Covid-19 può impedire una dichiarazione di fallimento?
No, secondo la Corte la disciplina emergenziale Covid-19 non esclude la dichiarazione di fallimento se lo stato di insolvenza era preesistente e irreversibile già prima della pandemia.

Come ha fatto il tribunale a stabilire che lo stato di insolvenza era precedente alla pandemia?
Il tribunale ha basato la sua decisione su prove concrete come debiti verso dipendenti e fisco risalenti al periodo 2018-2019, la revoca di affidamenti bancari e la pendenza di procedure esecutive iniziate già nel 2019.

Per dichiarare il fallimento su istanza di un creditore, è necessario che il suo credito sia stato accertato in modo definitivo?
No, non è richiesto un accertamento definitivo del credito in sede giudiziale o un titolo esecutivo. È sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice fallimentare al solo scopo di verificare la legittimazione del creditore a presentare l’istanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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