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Stato di insolvenza: cause irrilevanti per fallimento

Una società, dichiarata fallita per la seconda volta, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che il proprio stato di insolvenza fosse dovuto alla cattiva gestione di un precedente fallimento, poi revocato. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: per la dichiarazione di fallimento, ciò che conta è l’oggettiva incapacità dell’impresa di far fronte ai propri debiti, indipendentemente dalle cause che l’hanno determinata. La Corte ha inoltre condannato la società per abuso del processo.

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Stato di insolvenza: perché le cause non contano

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale nel diritto fallimentare: la rilevanza delle cause che determinano lo stato di insolvenza di un’impresa. Una società può evitare il fallimento dimostrando che la sua crisi finanziaria non è dovuta a una sua colpa, ma a fattori esterni o a responsabilità di terzi? La risposta della Suprema Corte è netta e riafferma un principio consolidato: ai fini della dichiarazione di fallimento, ciò che conta è la condizione oggettiva di incapacità di pagare i debiti, non le ragioni che l’hanno provocata.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda una società a responsabilità limitata operante nel settore delle lavanderie industriali, dichiarata fallita dal Tribunale su istanza di una creditrice. Questa dichiarazione era particolarmente complessa, poiché seguiva la chiusura di un precedente fallimento, dichiarato anni prima e successivamente revocato in appello.

La società ha impugnato la nuova sentenza di fallimento, sostenendo che le sue difficoltà finanziarie non derivassero da una cattiva gestione, ma fossero la diretta conseguenza della precedente procedura fallimentare. In particolare, lamentava che la curatela del primo fallimento avesse gestito male il patrimonio aziendale, prosciugando la liquidità e impedendo di fatto la ripresa dell’attività una volta tornata in bonis. Nonostante queste argomentazioni, sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno confermato la sussistenza dello stato di insolvenza.

I Motivi del Ricorso e lo stato di insolvenza

La società ha quindi presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:

1. Violazione di legge: Sosteneva che la Corte d’Appello avesse erroneamente dichiarato tardiva la sua eccezione sulla mancanza dei requisiti di fallibilità.
2. Nullità della sentenza: Lamentava una motivazione contraddittoria e illogica, poiché i giudici, pur riconoscendo che non si potesse fare riferimento alla situazione passata, avevano comunque ravvisato uno stato di insolvenza attuale senza considerare le responsabilità della precedente gestione fallimentare.
3. Omesso esame di documenti: Affermava che la Corte non avesse tenuto in alcuna considerazione la documentazione prodotta che dimostrava le difficoltà oggettive incontrate nel riavviare l’attività, come l’impossibilità di aprire un conto corrente bancario.

In sostanza, tutti i motivi miravano a spostare l’attenzione dall’oggettiva incapacità di pagare i debiti alle cause esterne che, a dire della ricorrente, l’avevano determinata.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, smontando una per una le argomentazioni della società. La decisione si fonda su principi cardine del diritto processuale e fallimentare.

Innanzitutto, la Corte ha chiarito che il primo motivo era infondato perché non coglieva la vera ratio decidendi della sentenza d’appello. I giudici di merito non avevano respinto l’eccezione perché tardiva, ma perché infondata nel merito: i documenti provavano che l’indebitamento totale superava ampiamente la soglia di legge per la fallibilità.

Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo, la Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: l’accertamento dello stato di insolvenza è una valutazione di fatto, riservata al giudice di merito e non sindacabile in Cassazione se supportata da una motivazione logicamente coerente e giuridicamente corretta. I giudici hanno sottolineato che, per integrare lo stato di insolvenza, è sufficiente una situazione oggettiva di impotenza finanziaria, strutturale e non transitoria, che impedisce all’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

Il punto cruciale della decisione è che le cause dell’insolvenza sono irrilevanti ai fini dell’apertura del fallimento. Anche se la crisi fosse imputabile a terzi o a eventi sfortunati, ciò non eliminerebbe la necessità di tutelare i creditori attraverso la procedura concorsuale. Il ricorso della società, nel tentativo di far riesaminare i fatti e le prove, chiedeva alla Cassazione una valutazione di merito che non le compete.

Infine, la Corte ha condannato la ricorrente per abuso del processo ai sensi dell’art. 96 c.p.c., poiché il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato, confermando la proposta di definizione accelerata del giudizio. Questa condanna serve a sanzionare l’uso distorto dello strumento processuale, che in questo caso ha solo ritardato la conclusione della vicenda.

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per gli imprenditori in difficoltà. La legge fallimentare si concentra sulla tutela del ceto creditorio di fronte a un’incapacità oggettiva e strutturale di un’impresa di far fronte ai propri impegni. Cercare di attribuire la colpa della crisi a fattori esterni non è una strategia valida per evitare la dichiarazione di fallimento. Lo stato di insolvenza è un dato di fatto economico e finanziario; una volta accertato, la procedura fallimentare diventa la via maestra per la gestione della crisi. Inoltre, la decisione evidenzia i rischi di presentare ricorsi palesemente infondati, che possono portare a sanzioni economiche per responsabilità processuale aggravata.

Le cause che portano allo stato di insolvenza sono rilevanti per la dichiarazione di fallimento?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione, ai fini dell’apertura del fallimento, ciò che rileva è l’oggettiva incapacità dell’impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. Le cause dell’insolvenza, anche se non imputabili all’imprenditore, sono irrilevanti.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene giudicato palesemente infondato?
Se il ricorso è giudicato inammissibile o manifestamente infondato, la Corte può condannare la parte ricorrente al pagamento di una somma in favore della controparte e della cassa delle ammende per abuso del processo, ai sensi dell’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c. Questo avviene quando si presume una responsabilità aggravata per aver intrapreso un’azione legale senza fondamento.

Può un imprenditore evitare il fallimento dimostrando che l’insolvenza non è colpa sua?
No. La sentenza chiarisce che l’assenza di colpa da parte dell’imprenditore non è un elemento che può escludere la dichiarazione di fallimento. La procedura fallimentare ha lo scopo di gestire una crisi oggettiva e tutelare i creditori, indipendentemente dalle responsabilità che hanno portato a tale crisi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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