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Spese legali amministratore: no rimborso con condanna

Un ex sindaco, condannato penalmente per reati legati alle sue funzioni, ha citato in giudizio il Comune per ottenere il rimborso delle spese legali da lui sostenute. Nonostante una delibera comunale iniziale avesse autorizzato la difesa, la Corte di Cassazione ha negato il diritto al rimborso. La condanna penale definitiva è stata considerata decisiva, in quanto dimostra che le azioni contestate esulano dal corretto esercizio delle funzioni istituzionali, interrompendo il nesso che giustificherebbe l’accollo delle spese legali dell’amministratore da parte dell’ente pubblico.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese legali amministratore: quando il Comune non è tenuto al rimborso

Il tema delle spese legali dell’amministratore pubblico coinvolto in un procedimento penale è da sempre delicato. Un amministratore che agisce nell’esercizio delle sue funzioni ha diritto alla tutela legale a carico dell’ente che rappresenta? E cosa accade se il processo si conclude con una condanna? Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, stabilendo un principio netto: nessun rimborso è dovuto dall’ente pubblico in caso di condanna penale definitiva dell’amministratore.

I fatti di causa: la vicenda dell’ex sindaco

Un ex sindaco di un piccolo comune era stato coinvolto in un procedimento penale per reati legati all’omesso controllo su un impianto di smaltimento di rifiuti urbani. Il procedimento si era concluso con una sentenza di condanna, confermata in appello. Inizialmente, la Giunta municipale aveva autorizzato il conferimento di un incarico difensivo a un avvocato per assistere il sindaco. Tuttavia, a seguito della condanna, il Comune si era rifiutato di pagare il compenso al legale.

L’ex amministratore, costretto a saldare personalmente la parcella dell’avvocato per un importo di oltre 5.000 euro, aveva quindi citato in giudizio il Comune per ottenerne la restituzione. La sua richiesta era stata respinta sia in primo grado che in appello.

La questione delle spese legali dell’amministratore e i motivi del ricorso

L’ex sindaco ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diverse argomentazioni. In primo luogo, ha sostenuto che il rapporto professionale era stato instaurato direttamente tra il Comune e l’avvocato, come dimostrato dalla delibera della Giunta. Di conseguenza, pagando la parcella, egli avrebbe estinto un debito non suo e avrebbe quindi diritto alla restituzione. In secondo luogo, ha affermato che l’esito del giudizio penale non dovrebbe essere rilevante per la decisione sul rimborso, e che in ogni caso il suo diritto al rimborso discendeva dalle norme sul mandato e da specifiche disposizioni di legge che tutelano i dipendenti pubblici.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, rigettando tutte le argomentazioni dell’ex sindaco. Le motivazioni della decisione sono state chiare e articolate.

Innanzitutto, la Corte ha sottolineato che l’interpretazione della domanda giudiziale spetta ai giudici di merito. Il ricorrente non era riuscito a dimostrare che la sua richiesta fosse effettivamente una domanda di restituzione per pagamento di un debito altrui. Anzi, la sua stessa condotta – aver pagato pur contestando il debito – escludeva la possibilità di invocare un “errore scusabile”, requisito necessario per questo tipo di azione.

Il punto cruciale della decisione, però, riguarda il nesso tra la condotta dell’amministratore e l’esercizio delle sue funzioni. La Corte di Appello aveva basato la sua decisione su due ragioni autonome (le cosiddette rationes decidendi):

1. L’inapplicabilità delle norme invocate (in particolare l’art. 18 del d.l. 67/1997) agli amministratori di enti locali.
2. L’insussistenza dei presupposti di fatto, proprio a causa della condanna penale. La condanna, infatti, dimostra in modo incontrovertibile che la condotta dell’amministratore non era riconducibile all’adempimento dei compiti istituzionali, ma costituiva un reato.

Poiché il ricorrente non ha efficacemente contestato la prima ragione, questa è diventata definitiva (giudicato), rendendo la decisione di rigetto inattaccabile. Di conseguenza, l’esame degli altri motivi, incluso quello sulla rilevanza della condanna penale, è diventato superfluo. Tuttavia, la Corte ha ribadito che la condanna penale è idonea a escludere la riconducibilità dei fatti contestati ai compiti istituzionali, facendo così venir meno il presupposto per il rimborso delle spese legali.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce un principio fondamentale in materia di spese legali dell’amministratore: l’esito del giudizio penale è dirimente. Una condanna definitiva interrompe il legame tra l’attività dell’amministratore e l’interesse pubblico, che è il fondamento del diritto al rimborso. In altre parole, se un amministratore viene condannato, si presume che non abbia agito nell’interesse dell’ente, ma contro la legge, e pertanto deve sostenere personalmente i costi della propria difesa. La delibera iniziale di un ente che autorizza l’assistenza legale perde di efficacia di fronte a un giudicato di condanna.

Un amministratore pubblico ha sempre diritto al rimborso delle spese legali sostenute per un processo penale connesso al suo incarico?
No. Secondo la sentenza, il diritto al rimborso è escluso in caso di condanna penale passata in giudicato, poiché la condanna dimostra che i fatti non rientrano nei limiti di un mandato validamente conferito e nell’interesse dell’ente.

Una delibera comunale che autorizza l’incarico a un avvocato per difendere un amministratore è sufficiente a garantire il pagamento delle spese da parte dell’ente?
No. La delibera iniziale non è sufficiente se il processo si conclude con una condanna. La sentenza chiarisce che l’esito del giudizio penale è determinante e una condanna fa venire meno il presupposto per l’accollo delle spese da parte della pubblica amministrazione.

È possibile per un amministratore, dopo aver pagato di tasca propria l’avvocato, chiedere la restituzione della somma al Comune sostenendo che il debito non era suo?
La Corte ha ritenuto inammissibile questa linea difensiva nel caso specifico. Se un amministratore paga consapevolmente un debito che ritiene non essere suo (come in questo caso, avendo contestato le richieste di pagamento), non può poi agire per la ripetizione dell’indebito per errore scusabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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