Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17059 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 17059 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
La Corte di Appello di Palermo ha riformato la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva accolto le domande proposte dal COGNOME e dagli altri ricorrenti indicati in epigrafe (ex dipendenti o eredi di ex dipendenti in quiescenza dell’EAS) volte ad ottenere il pagamento, da parte del Fondo Pensioni Sicilia, del trattamento pensionistico integrativo disposto dalla delibera del Consiglio di Amministrazione dell’EAS n. 3034 del 2 4.6.1986, non più corrisposta dal gennaio 2014, a seguito dell’entrat a in vigore della legge n. 21/2014.
I ricorrenti avevano dedotto che detto trattamento era stato ripristinato con legge regionale n. 8/2018, avendo il legislatore regionale previsto che il Fondo speciale ad esaurimento del personale in quiescenza, istituito presso il Fondo Pensioni con legge regionale n. 9/2015, potesse provvedere anche all’erogazione del suddetto trattamento, con esclusione di quello spettante ai dirigenti ed ai superstiti degli aventi diritto.
La Corte territoriale ha ritenuto infondate le eccezioni di difetto di giurisdizione e di prescrizione sollevate dalla parte appellante ed ha ritenuto
corretta la dichiarazione di contumacia del Fondo Pensioni contenuta nella sentenza di primo grado.
Ricostruito il quadro normativo di riferimento, il giudice di appello ha evidenziato che l’EAS, in attuazione dell’art. 1 del regolamento organico ed in conformità con il principio di equiparazione dei propri dipendenti a quelli della Regione, aveva versat o all’INPS i contributi previdenziali ed assistenziali relativi al proprio personale ed aveva corrisposto un trattamento sostitutivo (fino a quando non fossero stati raggiunti i requisiti minimi previsti dall’INPS ai propri dipendenti che al momento del collocamento a riposo avevano maturato i requisiti di quiescenza previsti per i dipendenti regionali), oltre al predetto trattamento integrativo, dopo l’inizio del trattamento di quiescenza.
Il giudice di appello ha osservato che con la messa in liquidazione dell’EAS, disposta con legge regionale n. 9/2004 si era realizzato il passaggio degli oneri alla Regione e con delibera n. 87/2009 la Giunta Regionale aveva assegnato al Dipartimento Regionale del Personale, dei Servizi Generali di Quiescenza, Previdenza ed Assistenza della Presidenza della Regione le competenze del trattamento pensionistico integrativo e/o sostitutivo dei dipendenti EAS già in quiescenza e da collocare a riposo, come previsto dalla delibera n. 335/2011, nell’ambito della gestione residuale dell’Ente in liquidazione.
Richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 45/2016, ha ritenuto che il divieto di erogazione di trattamenti di previdenza e quiescenza integrativi o sostitutivi previsto dall’art. 8 della legge n. 21/2014 non si applichi al trattamento pensionistico integrativo in questione ed ha escluso che per il periodo in contestazione (2014/2018) il relativo onere gravasse sul Fondo Pensioni.
Ha pertanto ritenuto assorbita la questione inerente all’esclusione del pagamento del trattamento ai dirigenti ed ai superstiti dei dipendenti EAS per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge n. 8/2018.
Avverso tale sentenza gli ex dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE e gli eredi degli ex dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Il Fondo Pensioni Sicilia è rimasto intimato.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale pronunciato oltre i limiti delle domande e delle difese formulate dalle parti.
Deduce che la questione relativa all’individuazione dell’Ente obbligato a provvedere all’erogazione del trattamento economico non era mai stata oggetto di contestazione, non avendo l’Amministrazione appellante eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva e non avendo rivolto alcuna censura alla statuizione di condanna contenuta nella sentenza di primo grado.
Sostiene che il giudice di appello ha motivato la riforma della sentenza di primo grado sulla base di una questione nuova, non ricompresa tra i motivi di appello, e sollevata d’ufficio senza essere stata sottoposta al contraddittorio.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale violato il giudicato interno ed esterno.
Deduce che la questione dell’individuazione dell’organo obbligato al pagamento dei ratei del trattamento integrativo era stata affrontata e risolta dal Tribunale, che aveva condannato il Fondo Pensioni Sicilia al pagamento in favore dei ricorrenti a decorrere dal 1.1.2014.
Sostiene che le parti avevano prestato acquiescenza a tale statuizione, sulla quale si era formato il giudicato interno.
Evidenzia che altre pronunce del Tribunale di Palermo, ormai passate in giudicato, si erano espresse in senso analogo a quella oggetto del giudizio di appello.
Le prime due censure, che vanno trattate congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono inammissibili.
Non è infatti configurabile alcun giudicato esterno, non risultando che le altre pronunce del Tribunale di Palermo che si sono espresse in senso analogo a quella oggetto del giudizio di appello siano state emesse tra le stesse parti del presente giudizio.
Inoltre, come evidenziato da questa Corte (Cass. n. 24358/2018), il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. n. 22863 del 2008); si è inoltre precisato che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).
Questa Corte ha inoltre chiarito che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione» (Cass. n. 16853/2018 e negli stessi termini Cass. n. 24783/2018 e Cass. n. 12202/2017).
Alla luce di tali principi si deve, pertanto, ritenere che la questione dell’individuazione dell’organo obbligato al pagamento dei ratei del trattamento integrativo sia priva di autonomia.
Dalla sentenza impugnata risulta che con il terzo motivo di appello il Fondo RAGIONE_SOCIALE aveva dedotto l’insussistenza del fondamento normativo e della copertura finanziaria, quali imprescindibili elementi per l’erogazione del trattamento pensionistico integrativo ed aveva richiamato la previsione contenuta n ell’art. 67 della legge n. 9/2005, secondo cui solo il trattamento pensionistico sostitutivo, e non quello integrativo, era a carico del Fondo RAGIONE_SOCIALE, peraltro in via straordinaria e temporanea.
Il Fondo RAGIONE_SOCIALE aveva dunque censurato la sentenza di primo grado contestando di essere tenuto a corrispondere il trattamento pensionistico integrativo; la questione della individuazione dell’Ente obbligato a provvedere all’erogazione del trattam ento economico era stata dunque devoluta in giudizio nell’ambito di tale censura.
Non sussiste pertanto nemmeno la denunciata ultrapetizione.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite nei confronti dell’Amministrazione regionale nonostante la contumacia della medesima.
Il motivo è fondato.
La Corte territoriale ha infatti ritenuto contumace il Fondo Pensioni nel giudizio di primo grado; pertanto, a fronte del rigetto delle domande degli originari ricorrenti, non avrebbe dovuto adottare alcuna statuizione riguardo alle spese del giudizio di primo grado.
Va, quindi, accolto il terzo motivo di ricorso e vanno dichiarati inammissibili i primi due motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 cod. proc. civ. con l’esclusione della condanna degli appellati al pagamento delle spese del giudizio di primo grado.
Gli appellati vanno condannati al pagamento delle spese del giudizio di appello, che si liquidano in € 3500,00, oltre spese generali, IVA e CPA; le spese del giudizio di legittimità vanno compensate in ragione dell’esito del giudizio.
P. Q. M.
La Corte accoglie il terzo motivo e dichiara inammissibili i primi due motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, esclude la condanna degli appellati al pagamento delle spese del giudizio di primo grado; condanna gli appellati al pagamento delle spese del giudizio di
appello, che si liquidano in € 3500,00, oltre spese generali, IVA e CPA e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della