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Spese di lite: chi paga se il decreto è revocato?

Una società si opponeva a un decreto ingiuntivo. Il Tribunale revocava il decreto ma condannava la società a pagare una somma quasi identica e a sostenere le spese di lite. La Corte d’Appello ha confermato la decisione, chiarendo che per l’attribuzione delle spese di lite non conta la sola revoca del decreto, ma l’esito complessivo e sostanziale della causa. Poiché la pretesa del creditore era stata in gran parte accolta, il debitore è stato correttamente identificato come parte soccombente.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Spese di lite: Chi Paga Davvero se il Decreto Ingiuntivo Viene Revocato?

Nel complesso mondo del contenzioso civile, una delle domande più frequenti riguarda la ripartizione delle spese di lite. Chi deve pagare l’avvocato della controparte? La risposta si basa sul principio di soccombenza, ma la sua applicazione non è sempre scontata. Una recente sentenza della Corte di Appello di Firenze chiarisce un punto cruciale: la revoca di un decreto ingiuntivo non significa automaticamente aver vinto la causa ai fini delle spese legali. Analizziamo insieme questo caso per capire la logica dei giudici.

I Fatti del Caso: un Debito Contestato

Una società finanziaria otteneva un decreto ingiuntivo per circa 2 milioni di euro nei confronti di una società cliente, a seguito di un rapporto di conto corrente ipotecario. La società debitrice si opponeva al decreto, contestando vari aspetti del rapporto bancario, tra cui l’applicazione di interessi anatocistici, commissioni non dovute e la violazione di norme sulla trasparenza.

Il Tribunale di primo grado, al termine della causa di opposizione, accoglieva parzialmente le ragioni della società debitrice. Revocava il decreto ingiuntivo opposto, ma condannava comunque la stessa società a pagare alla finanziaria una somma di poco inferiore a quella inizialmente richiesta (1.999.011,30 euro invece di 2.020.657,80 euro).

Nonostante la revoca del decreto, il Tribunale considerava la società debitrice come la parte sostanzialmente soccombente e la condannava a pagare la quasi totalità delle spese di lite, quantificate in 35.000 euro, oltre a farsi carico del 50% delle spese della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU).

L’Appello: Una Questione di Principio sulle Spese di Lite

Insoddisfatta della condanna alle spese, la società debitrice presentava appello. La sua tesi era semplice: poiché il decreto ingiuntivo era stato revocato, essa doveva essere considerata la parte vincitrice del giudizio. Di conseguenza, le spese di lite avrebbero dovuto essere addebitate alla finanziaria o, al massimo, compensate tra le parti.

L’appello si concentrava esclusivamente su questo punto, sostenendo un’errata applicazione del principio di soccombenza da parte del primo giudice.

Le Motivazioni della Corte d’Appello sul Principio di Soccombenza

La Corte di Appello ha rigettato l’impugnazione, confermando integralmente la decisione del Tribunale. I giudici hanno chiarito che il procedimento per decreto ingiuntivo e la successiva (ed eventuale) causa di opposizione costituiscono un unico processo.

Di conseguenza, per stabilire chi sia il vincitore e chi il perdente, non si può guardare solo all’esito formale della revoca del decreto. È necessario, invece, valutare l'”esito globale del processo”.

La Corte ha specificato che la soccombenza va determinata confrontando la pretesa creditoria iniziale con quanto effettivamente accertato dalla sentenza finale. Nel caso di specie, la finanziaria aveva chiesto il pagamento di una somma e, alla fine del processo, ha ottenuto una condanna per un importo solo marginalmente inferiore. La domanda del creditore è stata, quindi, sostanzialmente accolta.

La revoca del decreto ingiuntivo è una conseguenza tecnica del fatto che il giudizio di opposizione accerta il credito con cognizione piena, sostituendo il provvedimento monitorio. Ma se l’accertamento conferma quasi integralmente il debito, il debitore che ha promosso l’opposizione risulta, nella sostanza, la parte che ha avuto torto. Citando la giurisprudenza della Cassazione (in particolare la sentenza n. 24482/2022), la Corte ha ribadito che la valutazione finale della soccombenza deve basarsi sull’esito complessivo della lite, e non sui risultati delle singole fasi processuali.

Conclusioni: La Visione Complessiva della Soccombenza

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica: nel determinare chi paga le spese di lite, i giudici adottano un approccio sostanziale e non meramente formale. La revoca di un decreto ingiuntivo non è una vittoria automatica per il debitore. Se la sostanza della pretesa del creditore viene confermata, anche con una lieve riduzione dell’importo, il debitore sarà considerato soccombente e, di conseguenza, sarà tenuto a rimborsare le spese legali alla controparte. Questa visione garantisce che l’onere delle spese ricada su chi ha dato origine a un contenzioso poi rivelatosi infondato nel merito.

Se un decreto ingiuntivo viene revocato, la parte che ha fatto opposizione vince sempre la causa ai fini delle spese di lite?
No. Secondo la Corte, la revoca del decreto ingiuntivo non è di per sé sufficiente a determinare la vittoria. È necessario valutare l’esito complessivo del giudizio di opposizione. Se la richiesta di pagamento del creditore viene confermata in larga parte, anche per un importo leggermente inferiore, il debitore è considerato la parte sostanzialmente soccombente.

Come si stabilisce chi è la parte “soccombente” (perdente) in un’opposizione a decreto ingiuntivo?
La valutazione non si basa sulla singola fase processuale (monitoria o di opposizione), ma sull’intero processo visto come un unicum. La soccombenza si determina confrontando la pretesa iniziale del creditore con quanto stabilito nella sentenza finale. La parte la cui posizione risulta più lontana da quella accertata dal giudice è considerata soccombente.

La ripartizione delle spese della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) segue sempre la regola generale delle spese di lite?
Non necessariamente. In questo caso, il giudice di primo grado aveva ripartito le spese della CTU al 50% tra le parti, poiché l’attività del perito era stata necessaria per ricalcolare il debito, portando a una minima riduzione a favore del debitore. La Corte d’Appello ha ritenuto corretta e favorevole al debitore questa decisione, anche a fronte della sua soccombenza principale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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