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Spese di giustizia: liquidazione con regole pubbliche

Una società che fornisce servizi tecnologici per intercettazioni e monitoraggio alle Procure della Repubblica otteneva un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento delle sue prestazioni. La Corte d’Appello confermava il decreto, qualificando il rapporto come un contratto di diritto privato. La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso del Ministero, ha ribaltato la decisione, stabilendo che tali prestazioni costituiscono ‘spese di giustizia’. Di conseguenza, la loro liquidazione non può avvenire tramite un’azione privatistica come il decreto ingiuntivo, ma deve seguire l’apposita procedura amministrativa prevista dal Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002). La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza senza rinvio, dichiarando l’azione originaria improponibile.

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Spese di giustizia: la liquidazione segue regole pubbliche

Quando un’azienda fornisce servizi tecnologici essenziali per le indagini penali, come il noleggio di apparecchiature per intercettazioni, il suo credito verso lo Stato è regolato dal diritto privato o da norme pubblicistiche? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha chiarito che si tratta di spese di giustizia, la cui liquidazione deve obbligatoriamente seguire un percorso amministrativo specifico, escludendo la via del contratto commerciale e del decreto ingiuntivo.

I fatti di causa

Una società specializzata in servizi tecnologici avanzati forniva a diverse Procure della Repubblica apparecchiature per registrazioni, radiolocalizzazione e monitoraggio ambientale, cruciali per le attività investigative. A fronte di fatture non pagate per un importo considerevole, la società otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo nei confronti del Ministero della Giustizia. Il Ministero si opponeva, ma il Tribunale rigettava l’opposizione.

La decisione della Corte d’Appello

Il Ministero impugnava la decisione di primo grado. La Corte d’Appello, riformando la sentenza, accoglieva l’appello della società fornitrice. I giudici di secondo grado ritenevano che il rapporto tra le parti fosse riconducibile a un contratto di diritto privato. Secondo questa interpretazione, la stipulazione non richiedeva una gara d’appalto e la forma scritta poteva considerarsi soddisfatta dallo scambio di offerte e accettazioni. Di conseguenza, il decreto ingiuntivo basato sulle fatture era legittimo e, trattandosi di una transazione commerciale, erano dovuti anche gli interessi moratori previsti dal D.Lgs. 231/2002.

Il ricorso in Cassazione e la natura delle spese di giustizia

Il Ministero della Giustizia ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi. Il motivo principale, e decisivo, riguardava la violazione delle norme contenute nel Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002). Secondo il Ministero, la Corte d’Appello aveva errato nel qualificare il rapporto come contratto privato. Le prestazioni fornite, essendo funzionali all’attività giudiziaria, rientrano a pieno titolo nella categoria delle spese di giustizia, e più precisamente in quelle ‘straordinarie’. Pertanto, la loro liquidazione deve seguire una procedura pubblicistica specifica, che non ammette il ricorso al procedimento monitorio.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il primo motivo di ricorso, assorbendo gli altri. Gli Ermellini hanno ribadito un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, secondo cui le spese per servizi di intercettazione e monitoraggio sono soggette alla disciplina del D.P.R. 115/2002.

La Corte ha spiegato che l’art. 5 di tale Testo Unico agisce come una ‘norma di chiusura’, ricomprendendo tra le spese straordinarie ogni costo correlato al processo non specificamente disciplinato altrove. Le attività fornite dalla società, essendo ‘strettamente funzionali ed inerenti al processo penale’, acquisiscono un rilievo pubblicistico che le sottrae alla logica della libera contrattazione privata.

La quantificazione e liquidazione di tali compensi non è mai affidata a un accordo privatistico, ma deve svolgersi nel rispetto di ‘previsioni autoritative’. Il fornitore, che in questo contesto agisce come ausiliario del magistrato, non può quindi agire in via monitoria per ottenere il pagamento, ma deve attivare la procedura di liquidazione prevista dagli articoli 168 e seguenti del Testo Unico, che culmina con un decreto di pagamento emesso dall’autorità giudiziaria. La Corte ha infine sottolineato che anche le recenti modifiche legislative (D.Lgs. 120/2018) non hanno introdotto un nuovo principio, ma hanno semplicemente reso più esplicito un sistema normativo già chiaro e completo.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Ministero, ha cassato la sentenza d’appello e, decidendo nel merito, ha dichiarato che la causa non poteva essere proposta tramite decreto ingiuntivo. Il rapporto tra il fornitore di servizi per le indagini e lo Stato non è un contratto commerciale, ma una prestazione soggetta alle regole pubblicistiche sulle spese di giustizia. Il fornitore deve quindi utilizzare l’apposito procedimento amministrativo per ottenere il pagamento del proprio compenso, senza poter ricorrere agli strumenti tipici del diritto privato. Visto il recente consolidarsi di tale orientamento, le spese dell’intero giudizio sono state interamente compensate tra le parti.

Una società che fornisce attrezzature per intercettazioni alla Procura può chiedere il pagamento con un decreto ingiuntivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il compenso per tali servizi rientra nelle ‘spese di giustizia’ e deve essere liquidato tramite la procedura amministrativa specifica prevista dal Testo Unico sulle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002), non attraverso un’azione monitoria di diritto privato.

Il rapporto tra la Pubblica Amministrazione e un fornitore di servizi per le indagini è un contratto privato?
No. La Corte ha stabilito che queste attività sono strettamente funzionali al processo penale e hanno un rilievo pubblicistico. Pertanto, si collocano al di fuori della libera contrattazione privata e sono soggette a una disciplina di diritto pubblico.

Sono dovuti gli interessi commerciali (D.Lgs. 231/2002) per il ritardo nel pagamento di questi servizi?
No. Poiché non si tratta di una transazione commerciale di diritto privato, ma di una liquidazione di spese di giustizia, non si applica la disciplina sugli interessi moratori prevista per i contratti commerciali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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