Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24236 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 24236 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/08/2025
COGNOME.
– Intimata – avverso la sentenza della Corte d ‘ appello di Perugia n. 461/2018 depositata il 19/06/2018.
Condominio
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 23967/2019 R.G. proposto da: NOME
COGNOME avv. NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CLCNDR54B10L117C).
– Ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE.
– Controricorrente – e contro
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 10 aprile 2025.
Udito il Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale ha chiesto che la Corte dichiari inammissibile il ricorso.
Udito l’avvocato NOME COGNOME.
Udito l’avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Terni, con sentenza n. 190 del 2016, in accoglimento della domanda proposta da NOME COGNOME il quale assumeva di avere acquistato un appartamento all’ultimo piano del condominio di INDIRIZZO a Terni, di proprietà dei convenuti e di essere stato tenuto a pagare, in luogo dei venditori, una somma identica a quella richiesta in questo giudizio in parte a titolo di oneri condominiali non versati e in parte a titolo di quota per spese straordinarie per la sostituzione de lla caldaia dell’impianto di riscaldamento centralizzato dell’edificio condominiale – condannò in solido NOME COGNOME e NOME COGNOME, rimasta contumace, a corrispondere all’attore euro 3.335,83, oltre agli accessori e alle spese del giudizio.
La Corte d’appello di Perugia, in parziale accoglimento dell’impugnazione di NOME COGNOME nella resistenza di NOME COGNOME e in contumacia di NOME COGNOME ha stabilito che la condanna dei venditori disposta dal primo giudice doveva essere pro quota e non in solido, e per il resto ha confermato la decisione di primo grado e ha condannato NOME COGNOME al pagamento di 4/5 delle spese del giudizio di appello, con compensazione del resto.
Questi, in sintesi, per quanto ancora rileva, i punti chiave della decisione: (i) l’art. 63 disp. att. c.p.c. nella versione anteriore alla legge n. 220 del 2012, come interpretato dalla S.C., poneva le spese condominiali per l’anno in corso e per quello antecedente alla
cessione a carico solidale del venditore e del compratore e consentiva la condanna di entrambi i venditori in sede di esercizio di azione di rivalsa da parte del compratore; (ii) la contribuzione straordinaria, ai fini del riparto delle spese condominiali tra venditore e compratore, deve essere individuata con riferimento ai condòmini che hanno preso parte o potevano prendere parte all’assemblea che ha deliberato gli interventi : quando l’assemblea ha deliberato la spesa, l’atto di vendita (datato 27/12/2005) non era ancora stato stipulato; (iii) come ha stabilito il primo giudice, manca la prova del credito (risarcimento del danno da infiltrazioni) fatto valere dall’appellante in compensazione (giudiziale) non essendo a tal fine sufficiente la scrittura privata che COGNOME ha prodotto in giudizio; (iv) l’appello è fondato esclusivamente nella parte in cui non ha considerato che, tra i venditori dell’ appartamento , l’obbligazione è parziaria , ai sensi dell’art. 1299 c.c. , e non solidale; (v) le spese del giudizio di primo grado sono state correttamente liquidate secondo il principio della soccombenza non essendo intervenuto alcun mutamento di giurisprudenza sul tema del riparto degli oneri condominiali idoneo a giustificarne la compensazione. Anche per la liquidazione delle spese del giudizio di appello va applicato il principio della soccombenza.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, con tre motivi.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
NOME COGNOME non ha svolto difese.
Il PM ha depositato conclusioni scritte e ha chiesto che la Corte dichiari il ricorso inammissibile.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso censura , ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 1243 comma 2, 1203 n. 3 c.c., 63 disp. att. c.c., e omesso esame circa un fatto decisivo per il
giudizio: la sentenza sarebbe viziata perché non ritiene possibile la compensazione per la mancanza di liquidità ed esigibilità del credito opposto dal convenuto alla pretesa dell’attore, senza considerare che il secondo comma dell’art. 1243 c.c. consente al giudice di procedere alla quantificazione e successiva compensazione del controcredito fatto valere dal debitore.
Sotto altro profilo, si ascrive alla Corte d’appello di non avere considerato che il credito dedotto da parte convenuta in compensazione (quello spettante a COGNOME a titolo di risarcimento del danno da infiltrazioni causate dal condominio), determinato nel corso del giudizio nella medesima somma reclamata dal condominio per quote condominiali non versate, trovava riscontro nella scrittura privata, intercorsa tra i venditori COGNOME e il compratore NOME, coeva alla stipula del rogito di compravendita, nonché nelle prove orali assunte in fase istruttoria e nella produzione delle comunicazioni dell’amministratore del condominio.
2. Il secondo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione degli artt. 1123, 2041 c.c., e omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: la sentenza non avrebbe considerato che non si verte in un’ipotesi di delibera di esecuzione di lavori assunta prima della promessa di vendita dell’immobile condominiale taciuta all’acquirente , ma si tratta della decisione di eseguire lavori il cui pagamento è stato effettuato dopo la stipula dell’atto di compravendita.
Inoltre, la sentenza avrebbe omesso di pronunciare sull’aspetto, rappresentato nell’atto di citazione in appello, connesso all’arricchimento senza giusta causa verificatosi a vantaggio del compratore e a danno dei venditori, dato che, a fronte della spesa per la sostituzione della caldaia decisa dai condòmini in data 15/12/2006
(due settimane prima del l’atto di compravendita), l’unico beneficiario del nuovo impianto di riscaldamento sarebbe stato il compratore.
3 . Il terzo motivo censura, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 92 comma 2 c.p.c.: la sentenza avrebbe errato nel non compensare le spese del giudizio perché non avrebbe tenuto conto del mutamento della giurisprudenza intervenuto in tema di individuazione del momento determinante ai fini dell’attribuzione a carico del venditore o del compratore dell’onere del pagamento dei lavori decisi dall’assemblea del condominio.
Il primo motivo, che comprende due diverse censure, è in parte inammissibile e in parte manifestamente infondato.
Detto che le sentenze dei giudici di merito si fondano su accertamenti di fatto omogenei, il motivo è inammissibile quanto all ‘ impugnazione ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. operando la previsione di cui all’art. 348-ter comma 5 c.p.c., che esclude che possa essere così censurata la sentenza di appello ‘ che conferma la decisione di primo grado ‘ e che risulti fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della sentenza di primo grado (cosiddetta doppia conforme).
Il motivo in punto di error in iudicando è manifestamente infondato: la Corte d’appello , alla stregua della valutazione delle risultanze istruttorie, insindacabile in sede di legittimità, ha escluso che parte debitrice COGNOME, anche attraverso la produzione della scrittura privata intercorsa tra venditore e compratore, abbia dimostrato l’esistenza di un suo credito , liquido, nei confronti del condominio (per danni da infiltrazioni), d’importo pari agli oneri versati dal compratore (COGNOME) al posto dei venditori (COGNOME).
Il secondo motivo, frammentato in distinte censure, è in parte inammissibile e in parte infondato.
È inammissibile, per le ragioni sopra indicate (v. punto 4), la censura di omesso esame circa un fatto decisivo.
È infondata la doglianza attinente all’eccezione di arricchimento senza giusta causa del compratore, quale unico beneficiario del nuovo impianto di riscaldamento centralizzato.
L’oggetto della causa, infatti, riguarda il riparto delle spese tra chi vende e chi acquista un immobile posto all’interno dell’ edificio condominiale: rispetto a questo tema, è mal posta l’eccezione del venditore di arricchimento senza giusta causa del compratore, che si assume essere il solo beneficiario della spese (nella specie: sostituzione della caldaia dell’impianto di riscaldamento condominiale) perché deliberata dai condomìni poco prima del trasferimento della proprietà del singolo appartamento.
L’ipotetico indebito arricchimento di una delle parti a danno dell’altra, idoneo a legittimare l’ eccezione del soggetto leso, sarebbe (astrattamente) prospettabile in relazione alla compravendita, ma questo specifico profilo, indubitabilmente, sta al di fuori del perimetro del presente giudizio.
Con riferimento al terzo rilievo critico, attinente al riparto, tra venditore e compratore, delle spese per lavori deliberati dal condominio prima del perfezionamento della compravendita dell’ appartamento in proprietà individuale, è orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di riparto delle spese condominiali per l’esecuzione di lavori consistenti in innovazioni, straordinaria manutenzione o ristrutturazione sulle parti comuni, laddove, successivamente alla delibera assembleare che abbia dispost o l’esecuzione di tali interventi, sia venduta un’unità immobiliare sita nel condominio, i costi di detti lavori gravano, secondo un criterio rilevante anche nei rapporti interni tra compratore e venditore, su chi era proprietario dell’immobile compravenduto al
momento dell’approvazione di detta delibera, la quale ha valore costitutivo della relativa obbligazione, anche se poi le opere siano state, in tutto o in parte, realizzate in epoca successiva all’atto traslativo, con conseguente diritto dell ‘ acquirente a rivalersi nei confronti del proprio dante causa, per quanto pagato al condominio in forza del principio di solidarietà passiva ex art. 63 disp. att. c.c., salvo che sia diversamente convenuto tra venditore e compratore, pur rimanendo comunque inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro (Sez. 2, Ordinanza n. 11199 del 28/04/2021, Rv. 661213 -02).
È stato inoltre chiarito (tra le altre, da Sez. 2, Ordinanza n. 14531 del 09/05/2022, Rv. 664789 – 01) che l’ art. 63 comma 2 disp. att. c.c., nel regime previgente rispetto alla legge n. 220 del 2012, delinea, a carico dell ‘ acquirente, un regime di responsabilità solidale per il pagamento degli oneri condominiali dovuti dall ‘ alienante, limitata al biennio antecedente all ‘ acquisto, che opera solo nei rapporti esterni con il condominio, ma non anche nel rapporto interno tra acquirente e alienante, sicché, in tale rapporto, salvo che non sia diversamente convenuto dalle parti, l ‘ acquirente risponde soltanto delle obbligazioni condominiali sorte successivamente al momento dell ‘ acquisto e, qualora sia chiamato a rispondere di quelle sorte in epoca anteriore, ha comunque diritto di regresso nei confronti del suo dante causa.
Sulla base di queste premesse, è adesso possibile rispondere all’ultima doglianza : il giudice di merito ha correttamente riconosciuto il diritto di regresso del compratore nei confronti dei venditori dopo avere stabilito che , quando l’assemblea del condominio deliberò la sostituzione della caldaia, la compravendita dell’appartamento nello stabile condominiale non era ancora intervenuta.
6. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte d’appello ha regolato le spese dei due gradi di merito attenendosi al principio della soccombenza, attribuibile in via largamente prevalente agli originari convenuti, non prima di avere constatato che, in realtà, sul tema del riparto, tra venditore e compratore dell’unità immobiliare situata nel condominio, delle spese deliberate dal condominio non si erano registrate le oscillazioni giurisprudenziali rappresentate dall’appellante.
A questa prima considerazione se ne aggiunge un’altra, recentemente ribadita da Cass. Ord. Sez. 2 n. 12697/2024, per la quale, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse (Cass. Sez. I, 4 agosto 2017, n. 19613). Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione sono a carico del ricorrente.
A i sensi dell’art.13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 1.500,00, per compenso, più euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.
Dichiara che, a i sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione