Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10557 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10557 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 24224/2020) proposto da:
DI NOME, DI NOME, DI NOME e DI NOME NOME, rappresentati e difesi dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso gli indirizzi PEC dei difensori;
-ricorrenti –
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio digitale eletto presso l’indirizzo PEC del difensore;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila n. 2089/2019, pubblicata il 18 dicembre 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4 aprile 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
R.G.N. 24224/20
C.C. 4/04/2025
Vendita
viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, secondo periodo, c.p.c., che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., primo comma, terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto ingiuntivo n. 96/2012, notificato il 15 febbraio 2012, il Tribunale di Pescara intimava, a carico di COGNOME NOME COGNOME e in favore di COGNOME NOME, il pagamento della somma di euro 56.802,88, oltre interessi, a titolo di regresso delle somme richieste al venditore d all’Agenzia delle entrate per differenza di imposte catastali, ipotecarie e di registro, oltre interessi e sanzioni, in relazione al contratto di vendita stipulato per atto pubblico del 26 settembre 2001, rep. n. 56.055, racc. n. 15.220, registrato il 15 ottobre 2001, serie IV, al n. 004653, alla stregua della dichiarata natura agricola, anziché edificabile, dei terreni alienati, con clausola di provvisoria esecuzione.
Proponeva opposizione NOME COGNOME il quale deduceva l’inconferenza del richiamo all’art. 1475 c.c. -attinente all’imputazione al solo acquirente delle spese contrattuali, laddove la somma riportata dalle cartelle esattoriali trovava causale in sanzioni comminate dall’erario ad entrambi i contraenti per violazioni tributarie -, nonché la necessità di ripartizione del debito solidale nei rapporti interni, con specifico riguardo all’obbligo gravante sull’ingiungente, quantomeno pro quota .
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale contestava la fondatezza dell’opposizione avversaria, in ragione del fatto che la relativa spesa, conseguente alla rettifica dell’imposta di registro dovuta, gravava sull’acquirente, come previsto anche dall’art. 6 del contratto di vendita.
Nel corso del giudizio l’opposto proponeva ricorso atto ad ottenere l’autorizzazione del sequestro conservativo dei crediti dell’opponente, che era respinto con ordinanza del 28 dicembre 2016.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 1606/2018, depositata l’8 novembre 2018, notificata il 13 novembre 2018, in accoglimento dell’opposizione proposta, revocava il decreto ingiuntivo opposto, escludendo che alcunché fosse dovuto dall’acquirente per il titolo dedotto in causa.
2. -Con atto di citazione notificato il 13 dicembre 2018, COGNOME NOME proponeva appello avverso la pronuncia di prime cure, lamentando: 1) la violazione delle previsioni di legge, come recepite nel contratto di vendita, che ponevano ad esclusivo carico della parte acquirente le spese scaturenti dal contratto, ivi compresi gli oneri fiscali; 2) l’indebito richiamo al concordato tributario, poiché il pagamento avvenuto nelle more riguardava un credito certo ed esigibile, accertato con efficacia di giudicato anche nei confronti dell’acquirente.
Si costituivano nel giudizio d’appello NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME Vanessa e NOME COGNOME quali eredi di COGNOME COGNOME i quali chiedevano che l’appello fosse rigettato, con la conferma della sentenza impugnata, contestando che i maggiori oneri fiscali rientrassero nella nozione di spese
contrattuali e rilevando che di tali oneri avrebbero dovuto rispondere l’acquirente, il venditore e il notaio rogante.
Inoltre, eccepivano l’indebita mutatio libelli , consistente nella richiesta di regresso dell’avvenuto pagamento della minor somma derivante dalla rottamazione delle cartelle, e la tardività della produzione all’uopo avvenuta.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di L’Aquila, con la sentenza di cui in epigrafe, in accoglimento dell’appello e in riforma della pronuncia impugnata, condannava COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME Vanessa e COGNOME NOME COGNOME ciascuno in ragione della propria quota ereditaria, al pagamento, in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 20.335,58, oltre interessi legali dal 31 luglio 2017 sino al soddisfo, e della somma di euro 8.508,26, oltre interessi legali dal 28 settembre 2017 sino al saldo, compensando le spese processuali nei limiti di un terzo e ponendo i residui due terzi a carico degli appellati.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che non era pertinente il richiamo all’istituto del concordato tributario, consistente in una transazione tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria, conclusa prima dell’avvio del giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento, con la conseguente rottura del vincolo solidale per la contrazione di un’autonoma obbligazione nei confronti dell’amministrazione, poiché, nella fattispecie, il venditore aveva aderito alla definizione agevolata dei debiti tributari (c.d. rottamazione delle cartelle) , ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 193/2016, convertito in legge n. 225/2016, dopo ben due giudizi
nei quali il ricorso proposto dinanzi alla commissione tributaria, avverso l’avviso di rettifica e la conseguente cartella esattoriale, era stato rigettato, con la partecipazione dell’acquirente chiamato in causa dal venditore, cui conseguentemente tali pronunce erano opponibili; b ) che non vi era stata mutatio libelli a seguito della rottamazione delle cartelle, giacché il venditore aveva pagato la somma che era stata oggetto di accertamento nel giudizio tributario, di cui aveva chiesto il rimborso agli eredi della parte acquirente ai sensi dell’art. 1475 c.c.; c ) che, pertanto, il venditore -che aveva effettuato il pagamento delle maggiori imposte pretese dall’erario come obbligato solidale aveva agito nell’esclusivo interesse dell’acquirente ed era, quindi, legittimato ad esercitare l’azione di regresso nei confronti del compratore per l’intera somma corrisposta, come ribadito nel corpo dello stesso contratto di vendita; d ) che la produzione delle ricevute dei due versamenti effettuati era ammissibile, trattandosi di documenti formatisi successivamente alla scadenza dei termini di deposito documentale.
-Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, NOME COGNOME, COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME e Di NOME COGNOME
Ha resistito, con controricorso, l’intimato COGNOME NOME.
Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni scritte insistendo per il rigetto del ricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 183, sesto comma, n. 2, e 153, secondo comma, c.p.c., per avere la Corte di merito ritenuto ammissibile la domanda di regresso proposta in via subordinata con la memoria integrativa del thema decidendum e accolto tale domanda, pur avendo l’ingiungente depositato la prova documentale dell’avvenuto pagamento, a seguito della presentazione dell’istanza di rottamazione, successivamente alla maturazione dei termini perentori per la cristallizzazione del thema probandum .
Obiettano gli istanti che la ritenuta ammissibilità della produzione dei documenti formatisi successivamente alla maturazione delle preclusioni istruttorie si sarebbe scontrata con il rilievo che i documenti attestanti il pagamento non si erano oggettivamente formati ex post , ma si erano formati dopo la scadenza dei termini in virtù di una scelta temporale assolutamente discrezionale e di convenienza riconducibile all’ingiungente -opposto, il che avrebbe impedito il ripristino delle sue facoltà probatorie, ormai già consumatesi.
1.1. -Il motivo è infondato.
E ciò perché, come si evince dall’art. 345, terzo comma, c.p.c., le preclusioni istruttorie non operano per i documenti sopravvenuti -qualsiasi sia la causa oggettiva della loro sopravvenienza -che per definizione non potevano essere prodotti prima della maturazione delle barriere preclusive.
È immanente al nostro sistema processuale, infatti, che i documenti che si siano formati successivamente alla maturazione
delle preclusioni istruttorie non ricadono nel divieto di produzione, purché essa avvenga nella prima difesa utile successiva a tale formazione.
Principio desumibile dal fatto che l’art. 345, terzo comma, c.p.c. consente anche la produzione in appello dei documenti, ove non sia stato possibile provvedere al tempestivo deposito nel giudizio di primo grado, per causa non imputabile alla parte (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 16289 del 12/06/2024; Sez. 2, Sentenza n. 29506 del 24/10/2023; Sez. L, Sentenza n. 1484 del 24/01/2014; Sez. U, Sentenza n. 8203 del 20/04/2005).
Cosicché per le medesime ragioni -e a fortiori -la parte che abbia la disponibilità di un documento formatosi dopo la cristallizzazione delle barriere preclusive può provvedere al deposito nel giudizio di primo grado all’esito di tale formazione.
In questo caso, per definizione, non era esigibile che il documento fosse prodotto entro i termini perentori assegnati (per causa non imputabile alla parte), stante tale formazione postuma.
Nella fattispecie solo in corso di causa è avvenuta la rottamazione delle cartelle esattoriali con il relativo pagamento agevolato, di cui il venditore ha prodotto prontamente le ricevute di pagamento del 31 luglio 2017 e del 28 settembre 2017, all’esito dell’accettazione di Equitalia in ordine all’istanza di adesione della definizione agevolata.
Né può imputarsi al venditore alcun addebito per tale produzione sopravvenuta, posto che, all’esito del pagamento conseguente alla definizione agevolata, la produzione è immediatamente avvenuta.
2. -Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 131/1986 e degli artt. 1298, 1299 e 1475 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che le somme sborsate dal venditore all’esito della definizione agevolata per la rettifica dell’imposta di registro fossero addebitabili all’acquirente quali spese accessorie alla vendita.
Osservano gli istanti che gli oneri costituiti dalla maggiore imposta accertata dal fisco, con le correlative addizionali a titolo di sanzioni e interessi, in quanto conseguenti ad un procedimento di natura sanzionatoria volto a reprimere la condotta di entrambi i contraenti -ed anche del notaio rogante -per la perpetrata elusione fiscale, non avrebbero potuto qualificarsi come spese contrattuali, in quanto inerenti alla patologia del contratto e non alla sua regolare esecuzione.
2.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, al venditore che abbia pagato l’imposta di registro spetta, nei confronti dell’acquirente, l’azione di regresso nella misura determinata dai rapporti interni, qualora egli abbia sostenuto il pagamento di somme certe il cui obbligo di pagamento gravava su tutti, ed in relazione alle quali l’amministrazione finanziaria abbia liberamente scelto di rivolgersi all’uno invece che all’altro obbligato solidale (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 32834 del 16/12/2024; Sez. 2, Sentenza n. 26874 del 22/10/2019).
Si rientra, pertanto, tra le spese accessorie alla vendita ricadenti sull’acquirente, ai sensi dell’art. 1475 c.c., salva diversa previsione tra le parti (per converso, nella fattispecie, l’art. 6 del
contratto confermava l’aggravio delle spese a carico del compratore).
Ed invero, il venditore e l’acquirente sono tenuti, in solido, nei confronti dell’amministrazione finanziaria al pagamento dell’imposta di registro, ivi comprese l’eventuale sopratassa e le penalità dovute per il ritardo nella registrazione, fermo restando l’obbligo del compratore di rivalere il venditore a norma dell’art. 1475 c.c., ove l’amministrazione finanziaria abbia ottenuto da quest’ultimo il pagamento (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 5871 del 20/04/2001; Sez. 2, Sentenza n. 5106 del 22/05/1998; Sez. 2, Sentenza n. 195 del 05/01/1995; Sez. 2, Sentenza n. 9354 del 04/09/1991; Sez. 2, Sentenza n. 4714 del 05/11/1977; Sez. 3, Sentenza n. 1127 del 29/03/1976; Sez. 1, Sentenza n. 170 del 22/01/1972; Sez. 1, Sentenza n. 962 del 11/05/1967; Sez. 3, Sentenza n. 1500 del 15/06/1964).
La definizione agevolata ha, in proposito, costituito l’epilogo dell’accertata rettifica dell’imposta di registro dovuta, all’esito dei giudizi intrapresi, in cui è stato coinvolto anche l’acquirente (che, costituendosi, avrebbe, dunque, potuto incidere sull’ an e sul quantum della pretesa erariale).
Sicché non può trovare applicazione l’orientamento a mente del quale il venditore che abbia pagato l’imposta integrativa di registro a seguito di concordato fiscale concluso con l’Amministrazione, senza coinvolgere nel procedimento di accertamento con adesione l’acquirente, non ha azione di regresso verso quest’ultimo, il cui diritto postula, ai sensi degli art. 1299 e 1203, n. 3, c.c., l’adempimento di un’obbligazione del terzo, la cui esistenza ed entità siano divenute certe per fatti o
atti giuridici opponibili a questi (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 551 del 15/01/2020; Sez. 3, Sentenza n. 9859 del 07/05/2014).
3. -Con il terzo motivo i ricorrenti contestano, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’inapplicabilità dell’art. 1475 c.c., per avere la Corte distrettuale reputato applicabile il regime sulle spese accessorie nella vendita, con imputazione all’acquirente del relativo onere fiscale, con tono puramente apodittico e, quindi, con motivazione apparente.
3.1. -Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame rilevante ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. deve, infatti, riferirsi ad accadimenti storico-naturalistici e non già al difetto di sussunzione della fattispecie concreta rispetto alla norma evocata.
Al riguardo, questa Corte ha precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83/2012, conv. dalla legge n. 143/2012, prevede l’ ‘omesso esame’ come riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’, ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (Cass. Sez. 6-1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022; Sez. 6-1, Ordinanza n. 22397 del 06/09/2019; Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018; Sez. 2, Sentenza n. 14802 del 14/06/2017; Sez. 5, Sentenza n. 21152 del 08/10/2014; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4. -Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per l’omessa statuizione sulle spese della fase cautelare con esito sfavorevole per l’istante.
4.1. -Il motivo è inammissibile.
Infatti, la doglianza è nuova, poiché la relativa questione non è stata fatta valere in sede di gravame, né risolta dal giudice d’appello.
Ebbene, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1474 del 23/01/2007; Sez. L, Sentenza n. 5620 del 15/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 4486 del 08/07/1981; Sez. 2, Sentenza n. 402 del 19/01/1979; Sez. L, Sentenza n. 1170 del 08/03/1978; Sez. 2, Sentenza n. 2315 del 15/07/1971; Sez. 3, Sentenza n. 3862 del 03/12/1969; Sez. 3, Sentenza n. 2309 del 29/10/1965).
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 4.000,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda