Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1510 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1510 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24518/2022 R.G . proposto da:
AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 -già AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA E a sua volta succeduta alla RAGIONE_SOCIALE SAN NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4287/2022 depositata il 22.6.2022.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26.10.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE o RAGIONE_SOCIALE) ha ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo 2291/2010 nei confronti della Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE San Filippo Neri) per il pagamento di € 3.400.000,00, oltre interessi ( € 1.700.000,00 di cui alla fattura 9/2009 per il periodo gennaio e febbraio 2009; € 850.000,000 di cui alla fattura 19/2009 per il mese di marzo 2009; € 850.000,000 di cui alla fattura n. 20/2009 per il mese di aprile 2009).
A tal fine la Valle Fiorita ha fatto valere la Convenzione stipulata tra le parti il 16.3.2005 ed, in particolare, l’art. 3, a mente del quale « le parti convengono di disciplinare il periodo transitorio decorrente dall’1.05.2005 al 30.07.2005 con il riconoscimento alla Casa di Cura dell’aumento dell’importo dell’acconto mensile sui DRG prodotti dalla Casa di Cura previsto dall’art. 9 della Convenzione come modificato dall’art. 4 dell’accordo del 31.03.1999 che viene rideterminato con effetto dall’1.01.2005 e fino alla stipula della nuova convenzione in Euro 1.000.000,00 », importo successivamente ridotto a € 850.000,00.
Avverso il decreto ingiuntivo ha spiegato opposizione l’ACO San Filippo Neri, eccependo l’assenza di titolo dal 1.7.2008 al 30.4.2009, periodo per il quale erano state emesse le fatture oggetto di causa. In particolare, la ACO San Filippo Neri ha rappresentato che il termine di efficacia della Convenzione del 2005, inizialmente fissato al 30.7.2005, data entro la quale le parti
avevano concordato di addivenire alla stipula della nuova convenzione (art. 2, 3 e 4 della Convenzione), era stato nel tempo oggetto di varie proroghe di cui l’ultima era scaduta in data 30.6.2008. A seguire, e fino al 1° maggio del 2009, data di stipula della nuova convenzione denominata Protocollo di Intesa, non era più intervenuta alcuna altra convenzione tra le parti.
Il predetto giudizio di opposizione è stato rubricato al numero di r.g.19737/2010.
Con atto di citazione notificato il 20.1.2012, in pendenza del giudizio di opposizione di cui sopra, la RAGIONE_SOCIALE ha introdotto altro giudizio, recante il n.r.g. 6080/2012, nel quale ha chiesto la condanna dell’ACO San Filippo Neri al pagamento della somma di € 3.400.000,00, oltre interessi per indebito arricchimento, previa riunione con il giudizio n.r.g.19737/10, eventualmente in via sussidiaria e subordinata rispetto alle domande formulate nel predetto giudizio.
Si è costituita in giudizio la RAGIONE_SOCIALE San Filippo Neri, contestando l’assenza dei requisiti per l’accoglimento dell’azione ex art. 2041 c.c. nonché la mancanza di prova circa il quantum richiesto a titolo di indennizzo e opponendosi alla riunione.
I due giudizi sono stati riuniti e decisi con la sentenza n. 17821/2014, con la quale il Tribunale di Roma ha accolto l’eccezione dell’Ente di assenza di titolo per difetto di forma scritta e contestualmente ha accolto la domanda di indebito arricchimento proposta da Valle Fiorita, condannando l’ACO San Filippo Neri a pagare l’importo di € 3.400.000,00 oltre interessi.
La sentenza di primo grado è stata separatamente appellata da entrambe le parti e i relativi procedimenti sono stati riuniti.
Con la sentenza del 22.6.2022 la Corte di appello di Roma ha riformato la decisione di primo grado e per l’effetto ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo, a spese compensate.
La Corte di appello: a) ha escluso la nullità della Convenzione del 2005, riconducibile a modelli organizzativi e alle forme di sperimentazione gestionale legittimati dalla legge regionale del Lazio n.55 del 1993 e allo schema dell’affitto di azienda; b) ha ritenuto la sussistenza della necessaria forma scritta; c) ha dato rilievo alla scrittura privata di proroga del marzo 2005; d) ha individuato il corrispettivo mensile rideterminato in € 850.000,00; e) ha considerato preclusa per difetto di residualità l’azione di ingiusto arricchimento.
Avverso la predetta sentenza del 22.6.2022, notificata in data 6.7.2022, con atto notificato il 5.10.2022 ha proposto ricorso per cassazione ASL Roma 1, già AUSL Roma E, succeduta alla ACO San Filippo Neri, svolgendo quattro motivi.
Con atto notificato il 14.11.2022 ha proposto controricorso Valle Fiorita, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
In data 21.9.2023 la controricorrente ha presentato istanza di abbinamento ad altri ricorsi afferenti alla stessa questione giuridica e pendenti fra le stesse parti in Cassazione.
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Non vi è ragione, innanzitutto, di ritardare, in accoglimento dell’istanza di abbinamento proposta da Valle Fiorita, la decisione della presente controversia, giunta all’epilogo decisorio e del resto trattata nella stessa camera di consiglio con numerosi altri ricorsi relativi allo stesso contenzioso.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n. 4, cod.proc.civ., la ricorrente ASL Roma 1 denuncia violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod.proc.civ.
Secondo la ricorrente la questione di nullità atteneva alla verifica sotto il profilo formale della sussistenza o meno del requisito della forma scritta della Convenzione del 2005 con riferimento al periodo relativo alle fatture oggetto di lite.
Pertanto il giudice di merito avrebbe prima dovuto verificare se il periodo per il quale era insorta la lite fosse o meno coperto dal titolo sotto il profilo della forma scritta e poi, eventualmente, porsi il problema del suo inquadramento giuridico.
Non si comprendeva quindi, rispetto all’oggetto della lite, il motivo per cui la Corte ha ritenuto di dover partire dal contesto normativo della vicenda e arrivare così alle sperimentazioni gestionali.
Inoltre la Corte di merito, nel ritenere configurabile il modello di sperimentazione gestionale, avrebbe dovuto quanto meno argomentare in ordine alla sussistenza dei requisiti previsti dalla normativa richiamata, posto che l’art. 13 della legge regionale del Lazio n.55 del 1993 parla solo di una forma possibile di gestione, l’art. 9 bis del d.lgs 502/1992 pone dei passaggi ben precisi affinché si possa parlare di sperimentazioni gestionali e lo stesso art. 13 l.r. 55/1993 prevede che « la Giunta Regionale individua le modalità …b) per la gestione della struttura privata nello svolgimento della attività ospedaliere pubbliche ricorrendo anche alle forme di sperimentazione gestionale previste dal decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502 .»
Anche a tale riguardo, secondo la ricorrente, la motivazione sarebbe stata omessa: la sussistenza delle sperimentazioni gestionali è infatti stata desunta solo dall’art. 13 citato senza alcun procedimento di sussunzione del caso concreto nella fattispecie astratta; la conclusione in ordine alle sperimentazioni gestionali appare altresì ancora più incomprensibile laddove subito dopo la Corte, nell’affrontare la questione dell’accreditamento istituzionale, ha affermato a pag. 8 e 9 che « le convenzioni tra le parti (del 1.05.1998 e 16.03.2005 … omissis …sono piuttosto riconducibili al
paradigma dell’affitto d’azienda », stante l’assenza di prestazione sanitaria in capo alla Casa di Cura in quanto difetta in capo a quest’ultima il connotato essenziale della effettuazione di cure mediche e chirurgiche rimaste a carico della ASL.
Sarebbe così evidente l’auto-confutazione in cui è caduta la Corte di appello laddove ha ricondotto contemporaneamente (ed erroneamente) lo stesso accordo a due istituti completamente diversi ed inconciliabili: le sperimentazioni gestionali, che presuppongono che l’Ente affidi al privato l’esercizio di attività di cura e di assistenza alla persona, e l’affitto di azienda, che invece presuppone proprio l’assenza in capo al privato Valle Fiorita della prestazione di cura.
Inoltre la motivazione appare incomprensibile alla ricorrente, anche perché né la sentenza 6098/2015, né la sentenza della Corte di Cassazione n. 25844/2017, concludono con l’inquadramento del rapporto inter partes nell’affitto di azienda.
Il motivo è manifestamente infondato e si risolve in una critica di merito al decisum e financo alla struttura e all’ordine logico delle questioni esaminate dalla Corte di appello.
L’art.132, comma 2, n.4, cod.proc.civ. include nel contenuto della sentenza la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, in attuazione del principio costituzionale della necessaria motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (art.111, comma 6, Cost.).
La ricorrente si duole del fatto che la motivazione della sentenza impugnata presenterebbe affermazioni apodittiche e contraddittorie nonché del tutto avulse rispetto al thema decidendum delineato dai motivi di gravame.
La stessa ricorrente ammette quindi – e non avrebbe potuto far diversamente a fronte dell’evidenza dei fatti che la sentenza impugnata è corredata da una motivazione, oltretutto piuttosto ampia.
È quindi da escludere che possa ravvisarsi il vizio di difetto assoluto di motivazione.
Neppure può ravvisarsi nella fattispecie il vizio, pure riconducibile alla violazione dell’art.132, comma 2, n.4, cod.proc.civ., della mera apparenza della motivazione.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Sez. 1, n. 7090 del 3.3.2022).
In particolare, ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture. (Sez. 6 – 1, n. 6758 del 1.3.2022; Sez. 1, n. 13248 del 30.6.2020; Sez. L, n. 3819 del 14.2.2020).
Nulla di tutto ciò è ravvisabile nella sentenza 4287/2022, che ha indicato chiaramente le ragioni della sua decisione: riconducibilità della convenzione inter partes ai modelli organizzativi previsti dalla
legge e alle forme di sperimentazione gestionale; previsione esplicita di tale modello ad opera della legge regionale 55 del 1993; utilizzo della struttura privata per l’allocazione dei servizi ospedalieri pubblici; esclusione della necessità dell’accreditamento della Casa di cura, che non annoverava medici fra i propri dipendenti, ma si limitava a mettere a disposizione edificio, impianti, personale paramedico e a erogare il vitto ai ricoverati; assunzione delle obbligazioni di contenuto sanitario nei confronti dei pazienti da parte della ACO San Filippo Neri; esclusione della riconduzione del rapporto al contratto di spedalità secondo l’insegnamento di Cass.25844/2017; esclusione di divieti di legge nei confronti di Convenzioni quale quella intercorsa fra le partii; esistenza di una scrittura privata di regolamentazione del periodo transitorio dopo la scadenza della Convenzione del 2005 sino alla stipula della nuova Convenzione del 2009; determinazione del quantum dovuto su queste basi in € 850.000,00 mensili.
11. Per concludere, non può riconoscersi alla ricorrente neppure la contraddittorietà attribuita alla sentenza per la compresenza di affermazioni inconciliabili, allorché la ASL Roma 1 assume che sarebbe evidente l’auto-confutazione derivante dalla riconduzione contemporanea (ed erronea) dello stesso accordo a due istituti completamente diversi ed inconciliabili: le sperimentazioni gestionali, che presuppongono che l’Ente affidi al privato l’esercizio di attività di cura e di assistenza alla persona, e l’affitto di azienda, che invece presuppone proprio l’assenza in capo al privato Valle Fiorita della prestazione di cura.
L’affermazione che le sperimentazioni gestionali esigano necessariamente l’affidamento al privato dell’esercizio di attività di cura e di assistenza alla persona non appartiene alla sentenza, che invece vi ha ricondotto la previsione contenuta nell’art.13 della legge regionale 55 del 1993 e il ricorso ad uno schema negoziale assimilabile all’affitto di azienda, peraltro riconosciuto da plurimi
interventi in sede di regolamento di giurisdizione da parte delle Sezioni Unite di questa Corte.
In ogni caso, nulla esclude che possano essere ricondotte alle ipotesi di «sperimentazione gestionale» previste dall’art.9 bis d.lgs. 502 del 1992 delle forme di integrazione di attività fra pubblico e privato per l’erogazione del servizio pubblico in ambito sanitario che non comportino, come nel caso in esame, l’effettuazione della prestazione sanitaria tipica da parte del privato, riservata invece alla «mano pubblica», mentre il privato mette a disposizione strutture, attrezzature, personale subalterno e servizi accessori. Si noti poi che la costituzione di società miste pubblico-private è solo uno degli strumenti operativi alternativamente previsti dal primo comma del citato art.9bis.
12. È pur vero che le decisioni emesse dalle Sezioni Unite in sede di regolamento di giurisdizione non vincolano nel merito della questione, avendo valore di giudicato solo sulla giurisdizione e sui presupposti fattuali della sua attribuzione, ma esse costituiscono, nondimeno, precedenti di assoluta autorevolezza, che ben possono essere condivisi, come ha fatto la Corte territoriale.
Ed allora, occorre tener presente che nella ordinanza n.9191 del 7.6.2012 le Sezioni Unite hanno affermato che il Protocollo di intesa tra l’attrice e l’Azienda convenuta era un accordo nel quale ricorrevano gli elementi propri del contratto di affitto di azienda.
L’ordinanza n.19062 del 12.11.2012 ha poi affermato « Il Protocollo di intesa costituente l’accordo a base del chiesto pagamento prevede alcuni obblighi con prestazioni fisse o forfetarie della Azienda concedente nei confronti della casa di cura concessionaria, il cui adempimento è comunque da eseguire e non è quindi collegabile immediatamente e soltanto con i servizi sanitari, essendo i corrispettivi dovuti anche per il godimento della struttura costituente la sede della casa di cura e per la fruizione dai pazienti di prestazioni erogate dalla concessionaria in luogo della
concedente.
La somma dovuta, calcolata nel Protocollo di intesa in via forfetaria e a titolo di acconto, non determina la qualificazione delle prestazioni pecuniarie rimaste inadempiute come strumento necessario per la erogazione delle prestazioni del servizio pubblico di assistenza sanitaria e quindi non qualifica l’oggetto del giudizio come strettamente connesso alla materia dei servizi riservata alla giurisdizione esclusiva del G.A., perché le somme di danaro che si pretendono in pagamento sono oggetto di una obbligazione pecuniaria non qualificabile come strumentale al servizio di cui deve conoscere eventualmente il G.A., potendo su tali obblighi avere cognizione il giudice ordinario e quindi il Tribunale di Roma nella fattispecie concreta (così, con le sentenze citate, cfr. pure S. U. 27 dicembre 2011 n. 28809 e 23 febbraio 2010 n. 5029). In quanto non è connaturato alle obbligazioni di cui si chiede l’adempimento il servizio sanitario pubblico e quindi gli obblighi inadempiuti non costituiscono situazioni soggettive strumentali all’espletamento di prestazioni assistenziali o oneri per tale espletamento, ma mero corrispettivo dell’uso delle strutture e del personale e dei servizi della casa di cura, la giurisdizione deve riconoscersi al G.C. …»
Infine l’ordinanza delle Sezioni Unite n.3273 del 12.2.2013 ha affermato che « La controversia del giudizio principale di pagamento attiene a diritti e obblighi sorti dal protocollo di intesa tra le parti, atto integrativo della concessione da inquadrare per la istante nel D.Lgs.7 agosto 1990, n. 241, art. 11, nel quale vi sono elementi del contratto di affitto di azienda in ordine al pagamento degli acconti dovuti per prestazioni erogate dalla Casa di cura con proprio personale senza che su tali attività incidano poteri autoritativi della concedente.»
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n. 3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione del giudicato ex art. 2909 c.c.
Secondo la ricorrente, la Corte territoriale non avrebbe potuto parlare né di sperimentazioni gestionali, né di affitto di azienda perché avrebbe dovuto conformarsi, quanto all’inquadramento giuridico della Convenzione, esattamente al contenuto della sentenza di Cassazione n. 25844/2017, che riguarda proprio la Convenzione del 2005 intercorsa tra le medesime parti del presente giudizio e oggetto di lite con medesima causa petendi (pagamento fatture), con conseguente effetto di giudicato nella presente controversia, come era stato rilevato dall’Ente in sede di memoria di replica nel giudizio di appello.
La predetta sentenza della Cassazione aveva confermato la sentenza di appello della Corte capitolina n.6098/2015, definendo il rapporto tra le parti come prestazione di fornitura di servizi di varia natura e dunque come appalto pubblico.
Ciò avrebbe comportato il confrontarsi della Corte con l’eccezione sollevata all’Ente di nullità del contratto per la violazione delle regole di scelta del contraente, ratione temporis applicabili (tra le quali le direttive CE in materie di appalti, l’art. 37 del r.d. 23.5.1924 n. 827, il d.lgs. n.157/1995 e il d.lgs. 12.4.2006, n. 163), anche sotto il profilo delle continue proroghe della Convenzione con chiara elusione dei principi di eguaglianza, concorrenza, imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione.
Il motivo assume che il giudicato risalente alla sentenza n.25844 del 2017 della Cassazione imponesse la configurazione del rapporto come appalto pubblico di servizi.
Tale assunto non può essere condiviso.
La decisione in questione di questa Corte si è limitata ad escludere che il rapporto instaurato dai pazienti con la Casa di cura
configurasse un contratto di spedalità e che fosse necessario l’accreditamento della struttura da parte del SSN, ma non ha formulato alcuna affermazione circa la configurazione del rapporto, tantomeno in termini di appalto di servizi.
Al contrario, come osserva esattamente la controricorrente, alla sentenza richiamata si deve ascrivere il riconoscimento della piena validità della Convenzione del 16.3.2005, questo sì vincolante inter partes .
15. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, n. 4, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. Secondo ASL Roma 1, il giudice di secondo grado avrebbe omesso di pronunciarsi sull’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione di Valle Fiorita per carenza di interesse, ritualmente sollevata dalla ASL in occasione della costituzione in giudizio nel procedimento 1645/2015.
La ASL aveva rappresentato che Valle Fiorita aveva ottenuto, sia pure a titolo di indebito arricchimento, lo stesso importo richiesto in via contrattuale, sicché nessuna utilità concreta le sarebbe potuta derivare dall’eventuale accoglimento del gravame basato sul riconoscimento dell’azione contrattuale, né la Casa di Cura aveva esplicitato quale fosse il suo concreto interesse ad ottenere una pronuncia diversa.
La ASL rammenta inoltre di aver dedotto anche un ulteriore profilo di mancanza di interesse a impugnare in capo a Valle Fiorita, perché la RAGIONE_SOCIALE aveva proposto la domanda di indebito arricchimento in via autonoma, introducendo il giudizio r.g. 6080/2012, il che significava che l’azione di indebito arricchimento era sorretta da un altrettanto autonomo interesse. Pertanto non potrebbe ravvisarsi quella gradazione di interesse idoneo a configurare l’interesse ad impugnare anche a seguito dell’accoglimento della domanda subordinata, sussistendo tra le due azioni una mera subordinazione logica, mentre l’intervenuta
riunione avrebbe potuto modificare tale aspetto posto che tale strumento processuale lascia intatta l’autonomia di ciascuna causa.
Il motivo denuncia un error in procedendo per omissione di pronuncia con riferimento al mancato esame di una eccezione processuale e appare perciò solo inammissibile.
Secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, che sussiste esclusivamente nel caso di mancato esame di domande o eccezioni di merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte (Sez. 6 – 2, n. 321 del 12.1.2016; Sez. 6 – 2, n. 6174 del 14.3.2018; Sez. 1, n. 22952 del 10.11.2015, Sez. 3, n. 24808 del 24.11.2005).
Quand’anche si volesse scrutinare il motivo come volto a denunciare l’erroneità del decisum in punto apprezzamento dell’interesse ad impugnare in capo alla Casa di cura, e non già l’omissione di pronuncia, l’interesse a impugnare, inteso come « possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole » (Sez. 2, n. 21230 del 19.7.2023) in capo a Valle Fiorita era innegabile.
Ciò, innanzitutto, alla luce della natura logicamente e giuridicamente subordinata della domanda di indennizzo dell’ingiustificato arricchimento , rispetto alla domanda di adempimento contrattuale che era stata rigettata dalla sentenza di primo grado nei giudizi riuniti.
In secondo luogo, va tenuto conto, almeno in via subordinata e condizionale, della possibile utilità della decisione in presenza dell’appello proposto dalla ASL avverso il riconoscimento dell’
indennizzo per ingiustificato arricchimento ad opera della sentenza di primo grado.
Infine sussisteva un evidente interesse della Casa di cura al riconoscimento della (contestata) validità della Convenzione inter partes, suscettibile di una pluralità di conseguenze giuridiche nei rapporti fra le parti.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, n. 5, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.
In tale prospettiva la ricorrente ASL ricorda che nel giudizio di appello r.g. 1645/2015, al fine di ribadire che il periodo in questione fosse scoperto da valido titolo, aveva contestato la tesi dell’ultrattività della Convenzione del 2005 sostenuta da Valle Fiorita nel suo atto di appello, con riferimento ad una serie di elementi probatori che essa aveva rappresentato, aventi carattere decisivo e che dimostravano inequivocabilmente che il rapporto tra le parti era terminato il 30.6.2008, in quanto la successiva delibera 976/2008, che avrebbe prorogato ulteriormente il termine di efficacia della scrittura, non era stata volutamente sottoscritta dalla Casa di Cura.
Più in dettaglio, secondo la ASL Roma 1, la deliberazione n. 1 dell’8.1.2008 aveva prorogato i rapporti sino al 30.6.2008 ed essa era stata l’ultima proroga della scrittura del 16.3.2005; le proroghe rispondevano al preciso volere delle parti che, consapevoli della temporaneità della scrittura, avevano avvertito di volta in volta, in prossimità di ciascuna scadenza, la necessità di prorogare il rapporto negoziale; l’interruzione delle proroghe, ovvero la mancanza di intesa con riferimento alla proroga dal 30.6.2008 al 31.12.2008, aveva determinato l’assenza del titolo dal 1.7.2008 al 1.5.2009 per il mancato accordo in ordine all’assetto patrimoniale della convenzione.
Il motivo è inammissibile per carenza dell’imprescindibile requisito della decisività dei fatti di cui viene lamentato l’omesso esame e, per altro verso, per mancanza di pertinenza e specificità rispetto alla ratio decidendi.
La Corte di appello, infatti, a pag.10, sub § 6, ha conferito decisivo rilievo, ai fini della regolazione del periodo transitorio successivo alla scadenza dell’efficacia della prima convenzione , alla scrittura privata per la regolamentazione del periodo transitorio del 16.3.2005 e in particolare al suo art.3, ove era stato stabilito che l’acconto mensile sui D.R.G. prodotti dalla Casa di cura era rideterminato con effetto dall’1.1.2005 « e fino alla stipula della nuova convenzione » (poi intervenuta con decorrenza 1.5.2009) in € 1.000,000,00, poi unilateralmente ridotto dalla ASL a € 850.000,00 con comunicazione del 23.12.2008 n.3418, e al quale era stata limitata la richiesta di adempimento da parte di Valle Fiorita.
Le circostanze rappresentate non sono quindi decisive rispetto alla motivazione della decisione, fondata sull’impegno assunto dalla ASL con la scrittura di proroga, valido sino alla stipula della nuova convenzione e implicitamente, ma inequivocabilmente, riconosciuto con la determinazione di riduzione del corrispettivo a € 850.000,00 mensili, a cui la Casa di cura ha prestato sostanziale acquiescenza.
Per i motivi esposti occorre rigettare complessivamente il ricorso e condannare la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate nella somma di € 23.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione