Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27123 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28562/2020 R.G. proposto da: POSTE ITALIANE SPA, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 949/2020 depositata il 06/02/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/06/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.- RAGIONE_SOCIALE ha convenuto avanti al Tribunale di Roma RAGIONE_SOCIALE per chiederne la condanna al risarcimento del danno derivante dall’illegittima negoziazione di un assegno di traenza, non trasferibile, tratto sul proprio conto aperto presso Banca SAI di importo pari a euro 75.000,00, emesso a favore di NOME COGNOME, spedito a mezzo posta ordinari e riscosso da soggetto non legittimato.
2.Con sentenza depositata nell’aprile 2016, il Tribunale ha accolto la domanda e condannato la convenuta al pagamento della somma predetta oltre rivalutazione ed interessi.
3.- RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello censurando la sentenza di primo grado poiché aveva errato nel valutare la diligenza professionale impiegata al momento della negoziazione del titolo e quindi nel ritenere l’imputabilità dell’errore identificativo del soggetto beneficiario nonché nell’escludere il concorso dell’attrice nella determinazione del danno in ragione delle modalità utilizzate per la spedizione dell’assegno al beneficiario. La Corte d’Appello di Roma ha respinto l’appello, confermando la sentenza di primo grado e condannato RAGIONE_SOCIALE a rifondere all’appellata UnipolSAI (già RAGIONE_SOCIALE) le spese di lite.
4.- In proposito la Corte territoriale ha rilevato, in fatto, che il soggetto cui era stato pagato l’assegno « di traenza » non trasferibile, era stato identificato tramite un solo documento identificativo dotato di fotografia (la patente di guida) con l’aggiunta non del codice fiscale, bensì del solo « foglio di
attribuzione del codice fiscale », documenti sulla base dei quali, due giorni prima, era stata altresì consentita l’apertura da parte del medesimo soggetto di un conto postale su cui il considerevole importo di 75.000,00 euro era stato poi versato, nonostante la circolare ABI richieda, per l’identificazione, due documenti muniti di fotografia (mentre il certificato di attribuzione di numero di codice fiscale non solo è privo di fotografia ma neppure è considerabile «documento»). In diritto ha osservato che, pur dovendosi qualificare la responsabilità dedotta nella specie da RAGIONE_SOCIALE quale responsabilità latu sensu contrattuale, ciò non esclude la necessità dell’accertamento del requisito soggettivo della condotta colpevole, ancorché sulla base del parametro più rigoroso degli obblighi dell’accorto banchiere, in funzione dell’imputabilità soggettiva dell’errore identificativo; inoltre ha osservato che, nella specie, in conformità al condivisibile giudizio in fatto del Tribunale, la convenuta non aveva fornito prova, com’era suo specifico onere ex articolo 1218 c.c., che l’inadempimento sia stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa ad essa non imputabile, risultando, per contro, proprio una sua colpa per non aver adottato le specifiche misure suggerite per il compimento della specifica attività oggetto della fattispecie in esame».
5.- Compiute le riportate considerazioni, la Corte territoriale ha, poi, osservato che nella specie non era ravvisabile alcuna responsabilità, esclusiva o concorrente della UnipolSAI per aver spedito l’assegno con posta ordinaria, poiché l’eventuale condotta colposa del danneggiato non riveste efficacia causale concorrente nella determinazione del danno « quando questo è conseguenza di un comportamento colposo dell’istituto di credito che ha posto all’incasso il titolo, effettuando il pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare. Ne è ipotizzabile un concorso di colpa ai sensi dell’articolo 1127c.c. comma 1 del traente, non rivestendo in ogni
caso l’eventuale fatto colposo del danneggiato efficacia causale concorrente nella determinazione del danno ».
6.- Avverso detta sentenza, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha presentato ricorso, affidandolo a tre motivi di cassazione. Ha resistito, con controricorso, UnipolSAI che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis n.1 c.p.c., e, comunque, dei singoli motivi illustrati di cui ha argomentato, altresì, l’infondatezza; ha, inoltre, richiesto la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c. per la colpa grave di aver richiesto un terzo grado di giudizio teso, in effetti, ad una diversa valutazione di merito circa la diligenza impiegata nella negoziazione del titolo di traenza non trasferibile, già esclusa nei due gradi di giudizio di merito.
RAGIONE_SOCIALE ha ribadito i propri motivi e replicato alla controricorrente con memora tempestivamente depositata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Preliminarmente si osserva che lo scrutinio della eccepita inammissibilità del ricorso ex art. 360bis , n. 1, c.p.c. deve svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, alla luce della funzione di filtro della disposizione che consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi « inconsistenti »; ed invero detta inammissibilità attiene al merito degli argomenti svolti nel motivo e ricorre nel caso in cui tali argomenti risultino manifestamente infondati (cfr Cass. S.U. n. 7155/2017). Ciò tanto più nella specie ove RAGIONE_SOCIALE non censura la sentenza gravata quanto alle ragioni di diritto richiamate dal giudice di merito e conformi al consolidato orientamento della Corte, ma svolge altri e diversi profili di cassazione.
2.Il primo motivo di ricorso assume violazione e falsa applicazione dell’art. 43 R.D. 1376/1933 (c.d. legge assegni) in riferimento agli artt. 1218, 1176 comma 2, 1992 c.c. artt. 1 e 35 DPR 445/2000, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo che ha formato oggetto di discussione tra le parti e dell’art. 115 c.p.c. per non corretta applicazione dei criteri di accertamento della colpa nonché erroneo riferimento alla comunicazione ABI in relazione all’articolo 360 comma 1 n. 3 c.p.c..
2.1- Il motivo è inammissibile in ragione del principio per cui la articolazione di un singolo motivo in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, è inammissibile quando non consente o rende difficoltosa l’individuazione delle questioni prospettate (Cass. 17 marzo 2017, n. 7009) o non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse (Cass. 23 ottobre 2018, n. 26790).
2.2 -Per quanto riesce ad intendersi dalla congerie delle censure cumulativamente spiegate, certo è che è inammissibile la prima di dette articolazioni, con cui la ricorrente sembra dedurre che la Corte di Appello di Roma, oltre a non inquadrare correttamente il fatto, avrebbe disatteso quanto espresso nelle sentenze delle Sezioni Unite n. 12477 e 12478 del 2018, laddove è detto che la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato da errore nell’identificazione del legittimo portatore del titolo è ammessa a provare di aver adempiuto la propria obbligazione con la diligenza richiesta dell’articolo 1176 comma 2° c.c., e ciò in
quanto avrebbe censurato il comportamento di RAGIONE_SOCIALE « sulla base di indici di valutazione che al di là dell’enunciazione di principio ne oggettivizzano di fatto la responsabilità ». Sostiene la ricorrente, invece, che la diligenza di RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata provata da documenti che dimostrano che l’operatore di sportello aveva effettuato il versamento dopo attente verifiche sul titolo e sui documenti d’identità della persona del prenditore, cui la somma era stata resa disponibile solo dopo aver ricevuto l’autorizzazione della banca trattaria; dunque in assenza di condizioni che rendessero esigibili non meglio specificate ulteriori verifiche.
Tuttavia la ricorrente, oltre a non indicare lo specifico passaggio motivazionale cui tale censura si riferisce, si duole, in effetti, del convincimento del giudice di merito all’esito dell’esame delle risultanze probatorie, dunque pretende una rilettura delle stesse preclusa in sede di legittimità, a mente del consolidato principio secondo il quale tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass., n. 16499/2009; Cass., n. 13485; Cass., n. 16467; Cass., n. 11511).
Inoltre, quanto alla violazione dell’art. 115 c.p.c., la censura si infrange contro il principio, affermato tra le tantissime da Cass., Sez. Un., 30 settembre 2020, n. 20867, secondo cui, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove
proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.. Sicché la censura mossa dalla ricorrente non è neppure attinente al richiamato articolo 115 c.p.c. e al principio di disponibilità delle prove, ma è volta a contestare alla Corte d’appello la valutazione complessiva di tutte le prove offerte dalle parti.
2.3- Con la seconda articolazione del motivo deduce in modo inammissibile la violazione delle norme in materia di identificazione (l’art. 1 lett. d) e 35 del D.P.R.445/2000, l’art. 13 D.L. n. 625/1979, l’art.6 D.M. 142/2006 e l’art. 1 comma a) D.Lgs n. 231/2007) senza specificare quale sia il passaggio motivazionale censurato e i termini della violazione di cui chiede il vaglio, ed, addirittura, richiamando l’idoneità di un documento di identificazione (la tessera sanitaria) che neppure risulta esibito nella fattispecie dal prenditore, limitandosi ad osservare che « un valido documento di identità non può non dare garanzia di identificazione ».
2.4 -Con la terza articolazione, infine, invoca l’erroneo riferimento alla circolare dell’ABI in quanto non avente valore normativo senza indicare in che termini la motivazione del giudice di merito -che l’ha considerata solo onde trarne indici di valutazione della diligenza della condotta della negoziatrice del titolo – ne avrebbe disatteso la valenza non precettiva; perciò è inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi effettiva della pronuncia .
3.- Il secondo motivo riguarda la violazione e falsa applicazione degli articoli 83 DPR 156/73, e del D.M. 26/2/2004 (Carta della qualità del servizio pubblico postale) in riferimento all’art. 1227 comma 1 c.c. e all’art. 43 L.A. e, dunque, l’erronea esclusione della rilevanza causale della incauta scelta di UnipolSAI (già RAGIONE_SOCIALE SAI) di spedire l’assegno di traenza tramite posta ordinaria, in
violazione altresì delle norme che vietano la spedizione nelle corrispondenze ordinarie e in quelle raccomandate «di denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore» che può avvenire solo con posta assicurata. La ricorrente censura, in particolare, l’affermazione contenuta nell’impugnata sentenza circa l’irrilevanza causale delle modalità prescelte dal traente per la spedizione e, comunque, per la consegna del titolo rispetto all’evento produttivo del danno quando questo è conseguenza di un comportamento colposo dell’istituto di credito che ha posto all’incasso il titolo effettuando il pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare, poiché detto pagamento non recide il nesso di causalità tra la spedizione inosservante degli obblighi in materia e il danno, che il creditore ha così, quantomeno, concorso a determinare.
Ha invocato in proposito le sentenze delle S.U. 9769/2020 e 9770/2020, intervenute nel maggio del 2020.
3.1- Il motivo è fondato.
Esso riguarda profili diversi della medesima questione: a) l’obbiettiva configurabilità di un rapporto di causalità tra la riscossione dell’assegno non trasferibile da parte di un soggetto non legittimato e la spedizione del titolo mediante servizio postale; b) l’individuazione delle regole d’imputazione giuridica dell’evento al mittente, e la compatibilità della responsabilità di quest’ultimo con quella della banca trattaria o negoziatrice per l’omissione della dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore del titolo. Benché si tratti dell’accertamento del nesso causale, il cui riscontro si risolve in un apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito, la questione non può ritenersi estranea all’ambito del giudizio di legittimità, in quanto, « coinvolgendo l’individuazione del criterio da adottare per la selezione, tra tutte le possibili concause dell’illecito, degli antecedenti in concreto rilevanti per la produzione del danno, ed in particolare la verifica della conformità della scelta
operata dal giudice di merito alle norme sostanziali che disciplinano la fattispecie accertata, attiene alla sussunzione di quest’ultima nell’ipotesi normativa, aspetto il cui controllo rientra nei poteri di questa Corte, ferma restando la spettanza, poi, al giudice di merito della valutazione delle conseguenze derivanti dall’adozione del predetto criterio di selezione » (cfr. Cass., S.U. n, 9769/2020, Sez. III, 10/04/2019, n. 9985; 25/02/2014, n. 4439; 7/12/ 2005, n. 26997).
3.2- Ciò detto si osserva che sul punto le Sezioni Unite di questa Corte, con le sentenze richiamate dalla stessa ricorrente (a) hanno richiamato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità civile, secondo cui tale materia è regolata dai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen., in virtù dei quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.d. teoria della condicio sine qua non ), nonché dal criterio della c.d. causalità adeguata, sulla base del quale, all’interno di una serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiano, ad una valutazione ex ante , del tutto inverosimili; (b) hanno specificato che « la scelta di avvalersi della posta ordinaria per la trasmissione dell’assegno al beneficiario, pur in presenza di altre forme di spedizione (posta raccomandata o assicurata) o di strumenti di pagamento ben più moderni e sicuri (quali il bonifico bancario o il pagamento elettronico), si traduce nella consapevole assunzione di un rischio da parte del mittente, che non può non costituire oggetto di valutazione ai fini dell’individuazione della causa dell’evento dannoso »; (c) hanno confermato che le norme che disciplinano il servizio postale, le quali, in quanto operanti esclusivamente nei rapporti tra il gestore del predetto servizio ed i soggetti che se ne avvalgono per la spedizione della propria corrispondenza, non possono costituire un riferimento normativo utile ai fini della
disciplina dei rapporti con i terzi, onde la mera inosservanza del divieto, posto dall’art. 83 del D.P.R. n. 156 del 1973, d’includere denaro, oggetti preziosi e carte di valore esigibili al portatore nella corrispondenza ordinaria o in quella raccomandata, così come quella dell’art. 84 del medesimo D.P.R., il quale impone di assicurare le lettere ed i pacchi contenenti i predetti beni, non costituisce una ragione sufficiente a fondare l’affermazione del concorso di colpa del mittente; e che, parimenti, non è pertinente il richiamo alle analoghe disposizioni dettate, a seguito della privatizzazione dell’RAGIONE_SOCIALE, dalla Carta della qualità del servizio pubblico postale (nelle diverse versioni, susseguitesi nel tempo, emanate con D.M. 9 aprile 2001 e con D.M. 26 febbraio 2004); (d) hanno affermato che occorre prendere, invece, in esame le modalità di prestazione del servizio postale in modo da verificare se, in relazione all’oggetto della spedizione ed alle garanzie di sicurezza previste per ciascuna modalità di trasmissione, possa ritenersi giustificata l’affermazione che la scelta effettuata dal mittente ne abbia comportato l’esposizione ad un margine di rischio superiore a quello ritenuto accettabile alla stregua delle regole di comune prudenza; (e) hanno, quindi, concluso, per quel che qui interessa, che, le particolari cautele apprestate dalla normativa per la spedizione, la trasmissione e la consegna della posta raccomandata ed assicurata, « consentono di seguire in tempo reale lo stato di lavorazione del plico ed il percorso dallo stesso compiuto dal momento della spedizione a quello della consegna, nonché la previsione che quest’ultima abbia luogo a mani del destinatario o di persona di famiglia o addetta al suo servizio, anziché mediante la semplice immissione nella cassetta, se non possono considerarsi di per sé sufficienti ad impedire la sottrazione del plico, consentono però al mittente, in caso di ritardo prolungato nella consegna, di attivarsi tempestivamente per evitarne il pagamento o quanto meno per segnalare l’anomalia alla banca trattaria, affinché adotti
le necessarie precauzioni »; mentre così non è per la posta ordinaria, la cui utilizzazione implica la perdita di ogni controllo della fase della trasmissione e della possibilità di verificarne l’esito, almeno fino a quando il destinatario del plico non ne segnali la mancata ricezione; (f) hanno, infine, affermato il principio di diritto per cui « la spedizione per posta ordinaria di un assegno, ancorché munito di clausola d’intrasferibilità, costituisce, in caso di sottrazione del titolo e riscossione da parte di un soggetto non legittimato, condotta idonea a giustificare l’affermazione del concorso di colpa del mittente, comportando, in relazione alle modalità di trasmissione e consegna previste dalla disciplina del servizio postale, l’esposizione volontaria del mittente ad un rischio superiore a quello consentito dal rispetto delle regole di comune prudenza e del dovere di agire per preservare gl’interessi degli altri soggetti coinvolti nella vicenda, e configurandosi dunque come un antecedente necessario dell’evento dannoso, concorrente con il comportamento colposo eventualmente tenuto dalla banca nell’identificazione del presentatore ».
3.3- Alla luce dei suddetti principi, nella specie reputa il Collegio che il giudice di merito non abbia correttamente applicato il principio che precede, limitandosi ad escludere il concorso di colpa di UnipolSAI nella causazione del danno lamentato sul rilievo che « comunque la modalità con cui il titolo è stato spedito al legittimo beneficiario non ha alcuna rilevanza, dovendo, peraltro proprio RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE garantire le buon esito della spedizione » e che « in ogni caso l’eventuale condotta colposa del traente nell’aver inserito l’assegno non trasferibile in una corrispondenza ordinaria non ha alcun rilievo causale con riferimento all’evento produttivo del danno quando questo è conseguenza di un comportamento colposo dell’istituto di credito che ha posto all’incasso il titolo effettuando il pagamento a soggetto estraneo al rapporto cartolare. Né è ipotizzabile un concorso di colpa ai sensi dell’articolo 1227 c.c.
comma 1 del traente, non rivestendo in ogni caso l’eventuale fatto colposo del danneggiato efficacia causale concorrente nella determinazione del danno ». Dunque ha escluso la configurabilità del nesso causale tra la condotta del mittente e l’evento pregiudizievole subito dal legittimo beneficiario del titolo senza prendere in esame le circostanze specifiche della fattispecie per verificare se, in relazione all’oggetto della spedizione (un assegno c.d. di traenza dell’importo considerevole di 75.000) ed alle garanzie di sicurezza previste per la modalità di trasmissione prescelta, potesse affermarsi o dovesse escludersi che la scelta effettuata dal mittente « ne abbia comportato l’esposizione ad un margine di rischio superiore a quello ritenuto accettabile alla stregua delle regole di comune prudenza », in funzione della decisione richiesta sul concorso di colpa dell’attrice.
Pertanto sul punto la sentenza va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.
4.- Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’ 1227 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. per erroneo riconoscimento della rivalutazione monetaria sulla somma portata dal titolo di euro 75.000,00, considerato che trattasi di debito di valuta e che alcuna prova è stata offerta del maggior danno.
Il motivo è infondato. Come affermato dalle S.U. sent. n. 9769/2020 in caso di pagamento dell’assegno non trasferibile in favore di un soggetto diverso da quello effettivamente legittimato, la domanda di rimborso del relativo importo proposta dal traente o dal richiedente nei confronti della banca trattaria o negoziatrice non ha natura cambiaria, ma risarcitoria, in quanto trova fondamento non già nell’inadempimento del debito incorporato nel titolo, al cui pagamento la banca è tenuta esclusivamente nei confronti del prenditore, ma nella violazione dell’obbligo di procedere all’identificazione di colui che ha presentato il titolo all’incasso,
previsto dall’art. 43 del r.d. n. 1736 del 1933 a tutela di tutti i soggetti interessati alla regolare circolazione del titolo (cfr. Cass., Sez. Un., 26/06/2007, n. 14712; Cass., Sez. III, 22/05/2015, n. 10534). Ne consegue che il danno che ne deriva – nel caso dell’assegno di traenza potendo lo stesso essere ravvisato nella mera perdita dell’importo versato o addebitato, a causa dell’ indebito pagamento del titolo (cfr. Cass., Sez. III, 10/03/2008, n. 6291) -è un debito di valore rispetto al quale al creditore spetta, oltre agli interessi, la rivalutazione monetaria. Infatti nelle obbligazioni di valore il danaro non costituisce oggetto dell’obbligazione di dare, ma solo il metro di commisurazione del valore che occorre corrispondere al creditore perché questi sia reintegrato nella stessa situazione patrimoniale nella quale si sarebbe trovato se il danno non fosse stato prodotto. Perciò -secondo orientamento costante di questa Corte – in tali obbligazioni la rivalutazione monetaria non rappresenta il possibile strumento di risarcimento dell’eventuale maggior danno da mora indotto dalla svalutazione monetaria rispetto a quello già coperto dagli interessi legali, come accade nelle obbligazioni pecuniarie ai sensi dell’art. 1224, secondo comma, cod. civ., ma costituisce il necessario mezzo di commisurazione all’attualità del valore perduto dal creditore in termini monetari attuali, anche in difetto di esplicita richiesta di rivalutazione; sicché il giudice deve tener conto comunque della svalutazione monetaria intervenuta tra la data del fatto e quella della liquidazione, senza che al riguardo occorra da parte del danneggiato dimostrazione alcuna che la svalutazione sia stata per lui cagione di pregiudizio (principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte: Cass., n. 1884/2002; Cass., n. 4753/2001; Cass., n. 14743/2000).
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo; rigetta i motivi primo e terzo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione,