Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18377 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 18377 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/07/2025
Oggetto
Responsabilità civile P.A. -Inadempimento direttive comunitarie -Dirigenti medici -Artt. 3 (riposo ogni 24 ore) e 6 (48 ore settimanali) della Direttiva 2003/88
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30219/2022 R.G. proposto da COGNOME Salvatore, Ammirati NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME Chiama Marina, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME AngelaCOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME nton ιο, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME, COGNOME NOME e NOMECOGNOME tutti rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege ;
-ricorrenti –
contro
Presidenza del Consiglio dei ministri e Ministero della Salute, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati digitalmente ex lege ;
-controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 3307/2022, pubblicata il 17 maggio 2022.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito l’Avvocato dello Stato NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Numerosi dirigenti medici, tra i quali gli odierni ricorrenti, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero della Salute chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per la violazione delle direttive europee 93/104/CE e 2003/88/CE nella parte in cui obbligavano gli Stati membri ad adottare normative interne che garantissero ai lavoratori un periodo minimo di riposo di 11 ore consecutive nel corso di ogni periodo di 24 ore (riposo giornaliero) e una durata media dell’orario superiore alle 48 ore, per ogni periodo di 7 giorni (durata massima settimanale del lavoro).
Con sentenza n. 10833 del 2019 il Tribunale rigettò la domanda rilevando, tra l’altro, che, nel caso dei dirigenti medici, i l superamento dell’orario normale di lavoro di norma è conseguenza dell’attività svolta nella finalità di raggiungere l’obiettivo assegnato in base alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare, alle attitudini e capacità professionali del singolo dirigente, accertate con
apposite procedure valutative di verifica, e formalizzato in un incarico con l’indicazione dell’incentivo economico connesso (art. 15 d.lgs. n. 502 del 1992).
Con sentenza n. 3307/2022, resa pubblica il 17 maggio 2022, la Corte d’appello di Roma ha dichiarato inammissibile il gravame interposto dagli istanti, per avere questi omesso, in violazione dell’art. 342 c.p.c., « qualsiasi riferimento alla pronuncia del Tribunale, senza quindi dare conto delle ragioni giustificative della pretesa e, di converso, le ragioni del proprio dissenso ».
Per la cassazione di tale sentenza NOME COGNOME e gli altri dirigenti medici indicati in epigrafe propongono ricorso con unico mezzo, cui resistono le Amministrazioni intimate depositando controricorso.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri dirigenti medici nei cui confronti il ricorso non è stato notificato.
Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.
Con l’unico motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., « violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 342 c.p.c. », sostenendo che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il motivo di appello era più che esplicito e idoneo a contrastare specificatamente le argomentazioni del Tribunale e lamentando, di conseguenza, l’omessa pronuncia sui motivi dedotti.
Il ricorso rispetta i requisiti dettati a pena di inammissibilità
dall’art. 366 n. 6 c.p.c. e dall’art. 369 n. 2 c.p.c. avendo i ricorrenti trascritto il contenuto della sentenza di primo grado e dell’atto di appello nelle parti rilevanti e indicato la loro collocazione nel fascicolo di causa.
Nel merito la censura è fondata nella parte in cui deduce l’erronea applicazione della norma processuale di cui all’art. 342 c.p.c. sui requisiti di ammissibilità dell’appello (essendo appena il caso di rilevare che proprio in tale valutazione si identifica la pronuncia della Corte, non potendosi pertanto configurare la violazione dell’art. 112 c.p.c. contestualmente dedotta) .
La ratio decidendi posta a fondamento della decisione di primo grado, sopra riassunta, risulta invero specificamente attinta, in chiave sufficientemente critica ─ pur nel contesto di più diffuse argomentazioni eccentriche e inconferenti rispetto alle reali motivazioni della sentenza appellata ─ dalle seguenti considerazioni leggibili a pag. 14 dell’atto di appello:
« la tematica della durata massima dell’orario di lavoro è profondamente diversa da quella del trattamento retributivo dovuto per le ore eccedenti quelle dell’orario normale. La violazione della direttiva, infatti, non è esclusa dal fatto che le ore di lavoro oltre la durata massima siano state retribuite come straordinario ….
Per le considerazioni sopra espresse non possono essere condivise le affermazioni della sentenza impugnata secondo cui:
─ da un lato, ha dato rilievo al fatto che «il superamento dell’orario normale di lavoro è … solo eccezionalmente legato ad attività imposte per esigenze del servizio ordinario, mentre di norma è conseguenza dell’attività svolta nella finalità di raggiungere l’obiettivo assegnato in base alla natura e alle caratteristiche dei programmi da realizzare» (pag. 13);
─ dall’altro, ha tratto argomento per l’applicazione della deroga dal riferito orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo
cui, ai fini del trattamento retributivo come lavoro straordinario, ‘ non è possibile la distinzione … tra il superamento dell’orario di lavoro preordinato al raggiungimento dei risultati assegnati e quello imposto da esigenze del servizio ordinario, poiché la complessiva prestazione del dirigente deve essere svolta al fine di conseguire gli obiettivi propri e immancabili dell’incarico affidatogli ‘ » .
Indipendentemente dalla fondatezza di tale argomentazione -che è questione di merito e condiziona l’accoglimento dell’appello, non la sua ammissibilità ─ essa indubbiamente vale a soddisfare l’onere di specificità del gravame imposto all’art. 342 c.p.c., occorrendo al riguardo rammentare che, come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte, « gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata » (Cass. Sez. U., 16/11/2017, n. 27199, Rv. 645991 – 01).
5. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata e la causa rinviata, per nuovo esame, al giudice a quo , al quale va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa