Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23415 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23415 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 32021/2020 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente,
dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura speciale rilasciata con foglio separato, i quali dichiarano di voler ricevere le comunicazioni e le notificazioni relative al presente procedimento agli indirizzi di posta elettronica certificata indicati, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4934/2020, depositata in data 9 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/6/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE, (ora in amministrazione straordinaria) si aggiudicava il contratto d’appalto con RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la realizzazione del nuovo scalo merci pericolose della stazione di Ravenna, oltre che la bonifica da ordigni bellici inesplosi.
Tale attività veniva svolta sotto il controllo e le autorizzazioni dell’autorità militare.
L’Autorità militare, a seguito della richiesta dell’appaltatore del nullaosta per la bonifica degli ordigni bellici, in data 24/5/2002 trasmetteva i capitolati e le prescrizioni necessarie per il lavoro oggetto dell’appalto, con l’estensione degli interventi di bonifica fino a 5 m di profondità in tutte le aree su cui erano destinate ed inserite opere a carattere permanenti e fino a 7 metri ove vi fossero scavi superiore a 7 metri.
Con ordine di servizio n. 29 del 6/6/2002 il direttore dei lavori comunicava che la prestazione relativa alla bonifica da ordigni bellici sarebbe stata pagata come variante.
Con successivo ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002 si prevedeva che «con riferimento alla bonifica da ordigni bellici, si è ordinato a
codesta Impresa, anche ai sensi dell’art. 22 del contratto, di eseguire i relativi interventi in aderenza alle prescrizioni dell’Autorità Militare, limitatamente alle aree interessate dai lavori di prima fase, impartite con nota n. 3085/06 del 24/5/2002».
La RAGIONE_SOCIALE, quindi, affidava i lavori alla RAGIONE_SOCIALE
Successivamente, però, veniva negata la perizia in variante predisposta dalla direzione dei lavori.
Per la RFI si trattava di lavori a corpo ex art. 22 del contratto.
Pertanto, con riferimento all’ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002 la società iscriveva la riserva in data 18/7/2002, avendo ricevuto la comunicazione dell’ordine di servizio il 3/7/2002.
Nella riserva si chiariva che «e precisazioni dell’Autorità Militare relative alla Bonifica da ordigni bellici non rientrano nelle prescrizioni di cui all’art. 22 del Contratto di Appalto. Le stesse infatti non integrano le previsioni progettuali ma, al contrario, le stravolgono completamente, imponendo all’impresa l’esecuzione dei lavori extra contrattuali che, come tali, debbono trovare un loro autonomo corrispettivo. In estremo subordine ove Codesta Società non convenisse con quanto argomentato e ritenesse applicabile il citato art. 22, si evidenzia che comunque le prescrizioni dell’Autorità Militare squilibrano fortemente il sinallagma contrattuale rendendo la prestazione dell’appaltatore notevolmente più onerosa del previsto».
La RAGIONE_SOCIALE, con tale riserva, non indicava il danno subito nel suo ammontare specifico.
Successivamente la società inviava la bozza dell’atto integrativo per la maggiore bonifica da ordigni bellici.
Con lettera del 22/7/2002 il direttore dei lavori assicurava la prossima approvazione del primo atto integrativo modificativo relativo ai citati maggiori lavori.
La società predisponeva la bozza della perizia differenziale dei maggiori oneri per la bonifica da ordigni bellici.
In data 2/2/2004 veniva redatto il verbale di constatazione dei lavori, dal quale emergeva la volontà della società committente di non riconoscere all’impresa alcun compenso aggiuntivo, sconfessando di fatto l’operato del direttore dei lavori (in tal senso CTU).
Il verbale di constatazione dei lavori veniva firmato con riserva in data 10/5/2004, con la precisazione che «codesta stazione appaltante ha omesso di contabilizzare l’attività svolta dall’Impresa per i lavori di bonifica da ordigni bellici richiesti dall’Autorità Militare come da atto firmato in schema dall’appaltatore per un importo di euro 792.876,42».
La RAGIONE_SOCIALE agiva in giudizio nei confronti della RFI chiedendo di dichiararsi il diritto al pagamento del corrispettivo per i lavori di bonifica da ordigni bellici eseguiti, per la somma di euro 792.876,42.
Si costituiva RFI eccependo preliminarmente la decadenza dell’appaltatore dal diritto di far valere le proprie pretese per violazione dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto e chiedendo, comunque, nel merito il rigetto della domanda.
Il tribunale, con sentenza n. 8919 del 24/4/2013, rigettava la domanda.
Per il giudice di prime cure nella riserva in data 18/7/2002 era stata indicata soltanto in modo superficiale la contestazione, senza la necessaria specificazione dell’importo richiesto.
Per il tribunale, infatti, «secondo l’interpretazione che emergeva dall’ordine il riferimento dell’art. 22 all’art. 10 doveva intendersi nel senso che il compenso per le opere di bonifica, in esso quantificato e confluito poi nel corrispettivo globale a corpo
dell’appalto, era l’unico dovuto all’appaltatore, comprendendo già anche il rischio ed il costo di un eventuale necessaria estensione degli interventi programmati, a seguito di ordine della competente Autorità Militare».
Pertanto – ad avviso del tribunale – la società avrebbe dovuto percepire la potenzialità dannosa dell’ordine n. 39 del 2002, mentre si era limitata solo a sottoscrivere la riserva generica lire 3/7/2002, senza quantificarla.
Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello la società appaltatrice.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4934/2020 del 9/10/2020, rigettava l’appello.
Richiamava la motivazione della sentenza del tribunale per il quale il dies a quo per il computo della decadenza con riferimento alla riserva doveva individuarsi nell’ordine di servizio del 2/7/2002, n. 39.
L’appaltatrice aveva provveduto tempestivamente ad iscrivere la riserva in data 18/7/2002, avendo ricevuto la comunicazione dell’ordine in data 3/7/2002.
Tuttavia, era assente il requisito di specificità richiesto dall’art. 44 delle condizioni generali di contratto per gli appalti di opere, lavori e forniture dell’Ente Ferrovie dello Stato.
L’appaltatrice, ad avviso del tribunale, era in grado già dal 24/5/2002 di conoscere quale fosse l’incremento di lavoro necessario per eseguire l’opera di estensione degli interventi di bonifica.
A questo punto la Corte d’appello chiariva che «indipendentemente dalla circostanza che la riserva è stata iscritta dall’odierna appellante che ora ne nega la necessità, quand’anche la domanda di pagamento in esame non dovesse essere fatta oggetto di riserva, ciò nondimeno avrebbe dovuto avere i requisiti di
specificità prescritti dell’art. 44 del contratto per qualunque tipo di domanda e contestazione dell’appaltatrice».
La società però già disponeva, all’epoca della riserva, dei dati oggettivi relativi al contenuto dell’estensione della bonifica oltre che al costo di quest’ultima ed all’eventuale ulteriore corrispettivo.
Ben poteva dunque articolare una riserva specifica, con la quantificazione della pretesa.
Sul difetto di specificità la società appaltatrice si era limitata a dedurre che, avendo indicato l’importo richiesto a titolo di corrispettivo nel verbale di constatazione lavori del 2/2/2004, «aveva così ottemperato al dettato dell’art. 44».
Tuttavia, per la Corte territoriale «appare appena il caso di osservare che una indicazione del corrispettivo richiesto formulata due anni dopo l’iscrizione della riserva (risalente al 2002) non può che ritenersi tardiva».
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE in amministrazione straordinaria, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE depositando anche memoria scritta.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo di impugnazione la ricorrente deduce la «violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.».
La Corte d’appello ha ritenuto la società appaltatrice decaduta dal diritto in quanto, indipendentemente dalla circostanza che la riserva fosse stata iscritta dalla società, nell’ipotesi in cui la domanda di pagamento non dovesse essere fatta oggetto di riserva, tuttavia tale domanda avrebbe dovuto avere i requisiti di specificità prescritti dall’art. 44 del contratto.
Per la ricorrente, dunque, la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo ritenuto la appaltatrice decaduta dalla domanda di pagamento dei maggiori oneri di bonifica «per una ragione sostanzialmente diversa da quella che RFI ha posto a fondamento dell’eccezione di decadenza sollevata in atti».
RFI ha sostenuto che l’eccezione di decadenza era fondata sulla circostanza che la riserva, per quanto tempestivamente formulata, non era però specifica ai sensi dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto.
Anche in grado di d’appello, nella comparsa di costituzione, RFI aveva affermato che vi sarebbe stata decadenza della Cooperativa per il mancato rispetto della disciplina contenuta nell’art. 44 delle condizioni generali di contratto.
La RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto indicare dettagliatamente le ragioni a fondamento della richiesta.
RFI, allora, ha sostenuto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto formulare la riserva avverso l’ordine di servizio del 2002, mentre tale riserva non sarebbe stata formulata nei modi dovuti.
La Corte d’appello, invece, con la pronuncia richiamata e con la motivazione sottostante, avrebbe accolto «un’eccezione di decadenza che, non essendo più riferita alla necessità di apporre riserva, è sostanzialmente diversa da quella sollevata da RFI».
Il motivo è inammissibile.
2.1. In sostanza, la ricorrente, pur deducendo formalmente la violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, in realtà chiede una nuova valutazione degli elementi istruttori, già compiutamente effettuata dalla Corte territoriale, non consentita in questa sede.
In realtà, la committente, sia in primo grado che nel giudizio d’appello, ha mantenuto ferma l’eccezione di decadenza dalla
riserva, nei confronti della società appaltatrice, in quanto quest’ultima, pur avendo iscritto la riserva il 18/7/2002, con riferimento all’ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002, comunicata alla società il 3/7/2002, e quindi entro il termine di 15 giorni, con conseguente tempestività, tuttavia non aveva adempiuto all’obbligo di specificare la quantificazione del danno.
Nel giudizio di prime cure RFI «si è costituita eccependo preliminarmente la decadenza dell’appaltatore dal diritto di far valere le proprie pretese per violazione del disposto dell’art. 44 della Condizioni Generali di Contratto» (cfr. pagina 5 del controricorso).
Nel giudizio d’appello la RFI ha chiesto di «confermare l’intervenuta decadenza della RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, in entrambi i gradi del giudizio di merito la società committente ha eccepito la decadenza dalla riserva, con riferimento all’assenza di specificità del suo contenuto, carente nel quantum risarcitorio.
La Corte d’appello ha confermato la sentenza di prime cure, che aveva riconosciuto il deficit di quantificazione nella domanda presentata dalla società appaltatrice con la riserva.
Ha solo chiarito che «indipendentemente dalla circostanza che la riserva è stata iscritta quand’anche la domanda di pagamento in esame non dovesse essere fatta oggetto di riserva, ciò nondimeno avrebbe dovuto avere i requisiti di specificità prescritti dell’art. 44 del contratto per qualunque tipo di domanda e contestazione dell’appaltatrice».
Si ribadisce, dunque, il deficit di quantificazione del danno.
Con ulteriore precisazione che «sul difetto di specificità l’appellante si limita a dedurre che, avendo indicato l’importo richiesto a titolo di corrispettivo nel verbale di constatazione lavori del 2/2/2004, aveva così ottemperato al dettato dell’art. 44. Appare
invece il caso di osservare che una indicazione del corrispettivo richiesto formulata due anni dopo l’iscrizione della riserva (risalente al 2002) non può che ritenersi tardiva».
Non v’è stata, dunque, alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.
Va rammentato che nel giudizio di legittimità va tenuta distinta l’ipotesi in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne ha dato il giudice del merito. Nel primo caso, si verte in tema di violazione dell’art. 112 c.p.c. e si pone un problema di natura processuale, per la soluzione del quale la S.C. ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta. Nel secondo caso, invece, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, in sede di legittimità va solo effettuato il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass., sez. 6-5, 21/12/2017, n. 30684).
Nella specie, come osservato in precedenza, ciò che lamenta in realtà la società non è tanto l’omesso esame di una domanda o di un’eccezione da parte della Corte d’appello, con la violazione dell’art. 112 c.p.c., ma un’errata interpretazione della domanda, che resta nelle valutazioni del giudice di merito, ove correttamente motivata.
Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente si duole della «violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363, 1366, 1369 e 1370 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
La Corte d’appello avrebbe dunque erroneamente interpretato l’art. 44 delle Condizioni Generali di Contratto, la cui disciplina doveva estendersi, non solo alle riserve in senso stretto, ma anche a tutte le altre domande dell’appaltatore.
Per la ricorrente, in realtà, dalla CTU espletata in corso di causa, sarebbe emerso che la riserva apposta dall’appaltatrice non era in realtà necessaria, «stante il carattere non pregiudizievole dell’ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002 che, anzi, se correttamente interpretato nella sua reale portata, importava riconoscimento delle ragioni dell’appaltatrice».
L’ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002 prevedeva, con riferimento alla bonifica da ordigni bellici, il richiamo all’art. 22 del contratto.
L’art. 22 del contratto d’appalto stabiliva che l’appaltatore doveva procedere alla bonifica da ordigni esplosivi e che il compenso sarebbe stato calcolato «a misura» in base a quanto previsto dall’art. 10.
Per tale ragione, ad avviso della ricorrente, l’ordine di servizio n. 39 del 2002 non poteva in alcun modo pregiudicare le ragioni dell’appaltatrice, trattandosi di lavori da contabilizzare a misura in base ai prezzi di gara.
La medesima interpretazione era stata fornita anche dal CTU, per il quale l’ordine di servizio n. 39 del 2002, al più poteva apparire come meramente cautelativo, in quanto già l’art. 22 del contratto sanciva che le maggiori opere dovevano essere compensate a misura.
Peraltro, sempre a giudizio della ricorrente, tutta la corrispondenza tra le parti era imperniata sulla futura variante che doveva essere predisposta per tener conto delle maggiori somme dovute alla società appaltatrice (si richiamano, a questo riguardo, il documento n. 37 in ordine alla bozza dell’atto integrativo per la maggiore bonifica; il documento n. 38, ossia la lettera del direttore dei lavori in data 22/7/2002, che assicurava la prossima approvazione del primo atto integrativo modificativo; e il documento n. 12, ossia la bozza della perizia differenziale dei maggiori oneri).
Per la ricorrente non v’era stata alcuna decadenza ai sensi dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto, non essendo tenuta la società appaltatrice ad iscrivere alcuna riserva avverso l’ordine di servizio n. 39 del 2002.
Al contrario la Corte d’appello ha ritenuto applicarsi l’art. 44 sopra richiamato «a qualunque tipo di domanda», quindi anche alle domande che non rientravano tra le riserve.
Di qui la violazione delle regole di ermeneutica contrattuale.
Per la ricorrente, dunque, il termine «domande» contenuto nell’art. 44 delle condizioni generali di contratto si affianca alle parole «contestazioni e riserve», che invece evocano una situazione di conflitto o contrasto tra l’appaltatore la stazione appaltante.
La stessa rubrica dell’art. 44 fa riferimento a «contestazioni e riserve dell’appaltatore nel corso dell’esecuzione del lavoro».
Ciò a significare che, in realtà, in assenza di riserve o contestazioni, la domanda esulava dalla specifica disciplina dell’art. 44.
Di qui la violazione dell’art. 1362, primo comma, c.c., che invece impone di tenere conto del profilo letterale delle espressioni utilizzate.
Sarebbe violato anche l’art. 1362, secondo comma, c.c., non essendo stata valutata la condotta complessiva anche posteriore delle parti.
La stessa RFI aveva invocato l’applicazione dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto con riferimento all’istituto della riserva, quindi in modo specifico.
L’interpretazione della Corte di merito si profilava anche in contrasto con l’art. 1363 c.c., dovendosi interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risultava dal complesso dell’atto.
L’art. 44 delle condizioni generali del contratto doveva trovare applicazione esclusivamente nelle ipotesi di contestazioni e doglianze dell’appaltatore, mentre nella specie l’ordine di servizio n. 39 del 2002 aveva una portata ben diversa, avendo previsto il compenso a misura e non a corpo.
La violazione atterrebbe anche al contrasto con l’art. 1369 c.c. (espressione con più sensi) e con l’art. 1366 c.c., in relazione alla interpretazione secondo buona fede.
L’art. 44 riguardava dunque esclusivamente le ipotesi in cui vi fosse un conflitto tra le parti durante l’esecuzione dei lavori.
Il motivo è inammissibile.
5.1. La ricorrente chiede a questa Corte di valutare diversamente il contenuto dell’ordine di servizio n. 39 del 2002 del 2/7/2002, oltre che dell’art. 44 delle condizioni generali di contratto, in modo differente da quanto affermato dalla Corte territoriale con la sentenza impugnata, con una interpretazione dei documenti del tutto plausibile.
Ed infatti, la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli articoli 1362 e seguenti c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito,
dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., 1/3/2019, n. 6156; Cass., n. 5647 del 2019; Cass. n. 6125 del 2014; Cass. n. 16254 del 2012; Cass. n. 24539 del 2009; Cass., sez. 3, 17/7/2003, n. 11193).
5.2. Inoltre, deve osservarsi che, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (Cass., 15/11/2017, n. 27136; Cass., sez. 1, 20/1/2021, n 995).
Tale onere di allegazione dei corretti criteri legali di maieutica è stato in qualche misura adempiuto dalla ricorrente, ma, nella sostanza, si chiede di sovrapporre una diversa interpretazione rispetto a quella, del tutto plausibile, fornita dalla Corte d’appello.
6. Ed infatti, la Corte territoriale, con valutazione di pieno merito, si è soffermata soprattutto sull’obbligo della società appaltatrice di non limitarsi all’iscrizione della riserva nel termine di decadenza previsto dalla normativa e dal contratto, ma anche di indicare in modo preciso il quantum risarcitorio richiesto.
Ha peraltro osservato che, anche ove la domanda della società appaltatrice non dovesse essere inquadrata nell’ambito delle riserve in senso stretto, tuttavia la stessa rientrava nel genus onnicomprensivo rappresentato dall’art. 44 delle condizioni generali di contratto (contestazioni, domande e riserve).
Riportava quindi il contenuto stesso dell’art. 44 citato ove la disciplina specifica che disegnava le modalità con cui la società appaltatrice doveva presentare le proprie richieste alla società committente riguardava «le contestazioni, domande o riserve dell’appaltatore».
Pertanto, per tutte e tre le categorie di richieste o domande dell’appaltatrice era necessaria la formulazione in modo specifico, con l’indicazione dettagliata delle ragioni sulle quali si fondavano, con la precisazione delle conseguenze, soprattutto a livello economico e/o di corrispettivi ed indennizzi che ne derivavano, oltre all’invio per lettera raccomandata entro 15 giorni dal momento in cui i fatti e le circostanze su cui si fondavano erano conoscibili dall’appaltatore.
Tale speciale disciplina di cui all’art. 44 delle condizioni generali di contratto (formulazione in modo specifico; conseguenze economiche; tempestività) riguardava, in modo onnicomprensivo, «le contestazioni, domande o riserve dell’appaltatore».
Muovendo da questa interpretazione della clausola contrattuale di cui all’art. 44, la Corte di merito ha rilevato che la domanda presentata avverso l’ordine di servizio n. 39 del 2/7/2002, era in realtà non munita della necessaria specificità, mancando l’indicazione del quantum risarcitorio, a prescindere che si trattasse o meno di riserva in senso tecnico.
Si è affermato, allora, che «quand’anche la domanda di pagamento in esame non dovesse essere fatta oggetto di riserva, ciò nondimeno avrebbe dovuto avere i requisiti di specificità prescritti dall’art. 44».
In questa frase, dunque, si racchiude interpretazione fornita dalla Corte di merito.
Ha inoltre osservato il giudice di secondo grado che la società appaltatrice, all’epoca della riserva, aveva i dati oggettivi relativi al contenuto dell’estensione della bonifica, al costo di quest’ultima ed all’eventuale ulteriore corrispettivo, citando in tal senso la motivazione della sentenza del tribunale.
La Corte territoriale, poi, si è soffermata sul difetto di specificità della domanda dell’appaltatrice, in quanto «una indicazione del corrispettivo richiesto formulata due anni dopo l’iscrizione della riserva (risalente al 2002) non può che essere tardiva».
Circostanze, queste, che rientrano nell’arco delle valutazioni riservate in via esclusiva al giudice di merito e che non sono qui, perciò, censurabili.
Le spese del giudizio di legittimità, per il principio della soccombenza, vanno poste a carico della ricorrente si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare in favore della controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 12.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione