Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 30435 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 30435 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 18/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23955/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME, con elezione di domicilio digitale presso l’indirizzo PEC del difensore;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 171/2020 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 06/03/2020;
lette le conclusioni scritte depositate dal Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale AVV_NOTAIO;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Cagliari, con sentenza n. 970/2018, ha dichiarato risolto per inadempimento di COGNOME NOME, promissario acquirente, il contratto preliminare di compravendita ad effetti anticipati di un immobile in Iglesias, località Montefigus, stipulato in data 10.08.2007 tra NOME e il suddetto NOME, condannando quest’ultimo al rilascio del bene; ha invece respinto la domanda della promittente venditrice volta ad ottenere il risarcimento dei danni patiti, che ha ritenuto solo genericamente allegati.
La Corte d’Appello di Cagliari, con la sentenza n. 171/2020 qui impugnata, in parziale riforma della decisione di prime cure, ha riconosciuto a NOME il risarcimento del danno richiesto, che ha liquidato in via equitativa nella complessiva somma di euro 50.800,00, sulla base di un valore locativo stimato in euro 400,00 mensili, per l’indisponibilità dell’immobile dalla data di consegna al promissario acquirente alla data della pronuncia di risoluzione del contratto.
La Corte distrettuale ha osservato, a fondamento della propria decisione, che il danno patito dalla NOME doveva ritenersi in re ipsa , sulla scorta del costante orientamento di legittimità secondo cui, in caso di inadempimento del promissario acquirente, al promittente venditore spetta il risarcimento del danno anche se non dimostri di aver perduto concrete possibilità di vendita dell’immobile compromesso, potendo il giudice ricorrere alla liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c., tenuto conto dell’interesse negativo.
Contro tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, illustrato da memoria, cui NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Il Pubblico Ministero ha depositato memoria, concludendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico, articolato, motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., nonché dell’art. 2697 c.c.; deduce che la Corte territoriale, nell’accordare alla RAGIONE_SOCIALE l’invocata tutela risarcitoria, avrebbe finito per confondere l’assenza di prova del danno, ritenuto in re ipsa , con l’assenza di allegazione del fatto produttivo dello stesso; osserva che la promittente venditrice si era limitata in prime cure alla generica richiesta di risarcimento dei danni subiti e subendi, senza in alcun modo allegare i fatti costitutivi della propria pretesa, mentre solo in appello aveva dedotto che i danni subiti erano derivati dalla mancata disponibilità dell’immobile, incorrendo però nel divieto di ius novorum ; dal canto suo, il giudice di seconde cure, anziché pronunciarsi sulle domande e conclusioni delle parti come cristallizzate all’esito delle preclusioni maturate in primo grado, aveva preso in considerazione le nuove ed inammissibili allegazioni articolate dall’appellante nell’atto di gravame, così incorrendo a sua volta nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. L’assenza di allegazioni a sostegno della pretesa risarcitoria si sarebbe inoltre tradotta nella violazione dell’art. 2697 c.c. ed avrebbe comportato l’impossibilità per il COGNOME di contrastare la domanda avversaria approntando le opportune difese.
La censura è inammissibile per difetto di specificità.
Il ricorrente si è infatti limitato a trascrivere nel corpo del ricorso le sole conclusioni rassegnate in primo grado dalla RAGIONE_SOCIALE, deducendo che la medesima non aveva allegato alcunché in ordine al danno di cui aveva genericamente domandato il risarcimento.
Sarebbe stato tuttavia onere del COGNOME riportare, quantomeno nelle parti essenziali, il contenuto espositivo dell’atto di primo ingresso dell’odierna controricorrente, al fine di dimostrare che la richiesta di risarcimento del danno formulata nelle conclusioni non era
stata effettivamente accompagnata da alcuna allegazione dei relativi fatti costitutivi. Questa Corte ha invero costantemente affermato che il contenuto della domanda non va individuato esclusivamente in base alla formulazione letterale delle conclusioni, ma alla luce della sostanza della pretesa come risultante dall’intero complesso dell’atto, senza che sia necessario l’uso di formule sacramentali per l’allegazione di un fatto costitutivo o di altra circostanza rilevante ai fini del decidere, assumendo peraltro rilievo, in proposito, non solo le deduzioni articolate negli atti introduttivi, ma anche la condotta processuale delle parti, nonché le precisazioni e le specificazioni intervenute in corso di causa (cfr, ex plurimis , Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18653 del 16/09/2004, Rv. 57713; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 15802 del 28/07/2005, Rv. 583224; Cass., Sez. 3 Sentenza n. 75 del 08/01/2010, Rv. 611055; cfr. Cass. Sez. L., Sentenza n. 17991 del 09/07/2018).
Il ricorrente, quindi, avrebbe dovuto anche indicare e specificare in quali termini la RAGIONE_SOCIALE aveva articolato le proprie difese nei successivi scritti difensivi del primo grado, e in particolare in quelli compiuti prima del maturare delle preclusioni assertive.
In difetto di tali indicazioni, ancorché sia stato denunciato un error in procedendo , il Collegio non è posto in condizione di valutare la fondatezza della censura, dovendosi ribadire che ‘ L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale ‘ (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 19410 del 30/09/2015,
Rv. 636606; conf. Cass. Sez. L., Sentenza n. 11738 del 08/06/2016; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 23834 del 25/09/2019, Rv. 655419).
L’ineludibile requisito dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione, deve essere infatti sempre soddisfatto – anche quando venga denunciato un error in procedendo -secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (cfr. Cass. Sez. L., Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 6769 del 01/03/2022, Rv. 664103).
D’altra parte, nella fattispecie, la pronuncia della Corte d’Appello, che ha liquidato alla promittente venditrice il danno per la perdita della disponibilità dell’immobile, risulta resa sulla base di un fatto storico che risulta nel suo nucleo essenziale ritualmente allegato e provato sin dal primo grado del giudizio, essendo incontroverso che la NOME abbia dedotto nel proprio atto di primo ingresso di aver consegnato il bene al promissario acquirente contestualmente alla stipula del preliminare, poi naufragato a causa dell’inadempimento del COGNOME, concludendo per la risoluzione del contratto, per il risarcimento del danno e per il rilascio del cespite, del quale ha peraltro richiesto al Tribunale -ed ottenuto -il sequestro giudiziario (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).
In tale contesto, il COGNOME avrebbe dovuto assolvere il requisito di specificità della censura dimostrando, mediante la trascrizione essenziale degli atti processuali di interesse, che la perdita della
disponibilità dell’immobile da parte della promittente venditrice, ancorché allegata e provata sin dal primo grado, non costituiva una tematica già acquisita al giudizio ai fini del vaglio della domanda di risarcimento del danno, né avrebbe potuto essere interpretata in tal senso dalla Corte d’Appello, ma era stata prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE solamente nell’atto di gravame come causa petendi del pregiudizio lamentato, con introduzione di un nuovo tema di indagine in violazione del divieto dello ius novorum .
In conclusione, in mancanza di compiuta e specifica indicazione da parte del ricorrente degli elementi necessari allo scrutinio della censura, e non essendo questa Corte legittimata a procedere ad una loro autonoma ricerca, il ricorso va dichiarato inammissibile (cfr. Cass. Sez. L., Sentenza n. 20924 del 05/08/2019, Rv. 654799).
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi euro 6.000,00 per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, disponendone il pagamento in favore dell’Erario, essendo stata la controricorrente NOME ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile in data 18 settembre 2025
Il Presidente NOME COGNOME