Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11496 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11496 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3562/2022 R.G. proposto da :
STUDIO COGNOME, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro RAGIONE_SOCIALE
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME;
-ricorrente incidentale- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 4542/2021 depositata il 22/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2011, RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, per brevità, ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘) conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la società RAGIONE_SOCIALE al fine di sentirla condannare, previo accertamento del suo inadempimento, al risarcimento dei danni subiti.
A fondamento della propria pretesa, parte attrice deduceva: a) di aver svolto, in esecuzione dei contratti conclusi con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (poi fuse nella società RAGIONE_SOCIALE), e per conto delle stesse, attività di appalto, servizi ed outsourcing; b) che RAGIONE_SOCIALE non adempieva l’obbligo di pagamento degli importi maturati e fatturati dal Consorzio Libero dal luglio 2010; c) che, in data 28/10/2010, RAGIONE_SOCIALE comunicava la risoluzione dei contratti a far data dal 31/10/2010 per preteso inadempimento del Consorzio, a causa del mancato pagamento delle retribuzioni e della
contribuzione del personale impiegato nell’appalto ; d) che il Consorzio, ritenendo di avere esattamente adempiuto le obbligazioni contributive e retributive, aveva diritto al risarcimento di tutti i danni derivanti dalla risoluzione dei contratti, che riteneva essere stata illegittimamente intimata dalla RAGIONE_SOCIALE
1.1. Con la sentenza n. 14941/2015, il Tribunale di Roma, dichiarava l’illegittimità della risoluzione contrattuale intimata dalla RAGIONE_SOCIALE condannava la convenuta al pagamento, in favore del Consorzio, di Euro 166.052,82, oltre interessi dalla data di deposito della sentenza al saldo, a titolo di risarcimento del danno, nonché al pagamento delle spese processuali.
1.2. Nello stesso periodo, con la sentenza n. 410/2015, il Tribunale di Roma, dichiarava il fallimento del RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello la RAGIONE_SOCIALE
2.1. Il Fallimento RAGIONE_SOCIALE rimaneva contumace, nonostante la regolarità della notificazione.
2.2. Con comparsa di intervento volontario, interveniva nel giudizio di appello lo Studio COGNOME, n.q. di cessionario del credito vantato dal Consorzio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE Panorama S.p.A., instando per il rigetto dell’appello.
2.3. Con la sentenza n. 4542/2021, la Corte d’appello di Roma, dichiarava la nullità della sentenza n. 14941/2015 del Tribunale di Roma, poiché la dichiarazione di fallimento del Consorzio interveniva dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, ma prima del deposito delle memorie ex art. 190 c.p.c., determinando automaticamente l’interruzione del processo, anche se il Giudice di prime cure e la parte convenuta non ne avevano avuto conoscenza, non occorrendo nel caso de quo, per il perfezionamento della fattispecie interruttiva, la dichiarazione o la notificazione dell’evento. Nondimeno, su richiesta delle parti, decideva la causa nel merito, così provvedendo: a) dichiarava l’illegittimità della
risoluzione dei contratti di appalto tra il RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; b) rigettava la domanda, proposta dallo Studio COGNOME, per la condanna di RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno, per mancato deposito della documentazione depositata dal RAGIONE_SOCIALE in primo grado; c) compensava le spese di lite.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito lo RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
3.1. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso, e spiega ricorso incidentale, fondato su un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 76 disp. att. c.p.c., anche in relazione agli artt. 73 e 74 disp. att. c.p.c. e all’art. 356 c.p.c.
Osserva che, secondo la Corte territoriale, la domanda di risarcimento non poteva essere accolta in quanto non sarebbero stati provati elementi di fatto utili alla quantificazione, perché l’interventore Studio COGNOME non si sarebbe curato di produrre la documentazione depositata dal suo dante causa in primo grado.
In proposito, si duole del fatto che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della impossibilità, per lo Studio COGNOME, di avvalersi della documentazione comprovante il danno attraverso le modalità di cui all’art. 76 disp. att. c.p.c. Tale impossibilità sarebbe dovuta al fatto che la documentazione era solo in possesso del Consorzio Libero, poi fallito, e quindi del Fallimento, che, rimanendo contumace, aveva evidentemente ritirato il proprio fascicolo.
Sostiene, in ogni caso, che, trattandosi di documenti e non di atti processuali, i giudici d’appello avrebbero violato l’art. 76 disp. att. c.p.c. anche in relazione agli artt. 73 e 74, che fanno obbligo di produrre copia degli atti processuali e non di documenti.
Deduce che la Corte territoriale non avrebbe dovuto rigettare la domanda per difetto di prova, dopo averla ritenuta peraltro fondata nell’ an , poiché ben poteva avvalersi ‘nel caso’ – dei suoi poteri istruttori previsti dall’art. 356 c.p.c., non trattandosi, nella specie, di nuove produzioni documentali, in quanto già prodotte in primo grado.
4.2. Con il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c., anche in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Censura la sentenza d’appello per avere la Corte territoriale riconosciuto l’esistenza del danno per l’illegittima risoluzione dei contratti e, al tempo stesso, dichiarato che non fosse possibile procedere alla relativa liquidazione, anche in via equitativa, per mancanza di elementi di fatto utili alla quantificazione.
Deduce, di contro, che dagli atti del giudizio risulta indicato, dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, l’ammontare (almeno in parte) dell’importo dell’appalto, per il valore di Euro 606.446,09, dal quale la Corte romana avrebbe potuto trarre elementi per la valutazione del danno, considerando anche la sentenza di primo grado, sebbene dichiarata nulla.
5.2. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono inammissibili
Le censure risultano formulate in violazione del requisito a pena d’inammissibilità della specificità prescritto all’art. 366, 1° comma n. 4, c.p.c., stante la loro obiettiva genericità.
L’onere di specificità dei motivi -come precisato dalle Sezioni Unite con la Sentenza n. 23745 del 28/10/2020- impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura, di indicare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le
affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa.
Nel caso che ci occupa non risulta che il ricorrente abbia invero assolto tale onere, denunciando la violazione delle disposizioni evocate in rubrica, senza tuttavia confrontarsi con l’effettivo ‘ decisum ‘ che sorregge la sentenza gravata con l’indicazione delle specifiche affermazioni in essa contenute che si pongano in contrasto con le stesse norme evocate; di contro, tale doglianza è affidata alla esclusiva esposizione della critica svolta, mai citandosi neppure la sede topologica in cui si collocano le statuizioni ritenute viziate.
5.3. Quanto al secondo argomento di critica, proposto ex art. 360, 1 comma nn. 3 e 5, c.p.c., esso è volto è inammissibilmente volto ad accreditare una ricostruzione della vicenda e, soprattutto, un apprezzamento delle prove raccolte del tutto divergente da quello compiuto dai giudici di merito.
La censura sollevata non si traduce, dunque, nella doglianza di un error in procedendo ; sicché, questa Corte (neppure quale giudice del fatto processuale) non può direttamente espletare un siffatto accertamento.
Al riguardo, vale sottolineare che la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 – secondo i principi generali enunciati dalle Sezioni Unite della Cassazione (Sentenza n. 8053 del 07/04/2014) – deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle Preleggi, come riduzione al ‘minimo costituzionale’ del sindacato di legittimità
sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione.
Ne discende che la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie resta riservata al solo giudice del merito.
A ciò si aggiunga che la censura in esame, nella parte in cui è denunciata la violazione da parte della Corte territoriale dell’art. 1226 c.c., è inammissibile per violazione dell’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c., non avendo il ricorrente debitamente riportato le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che ritiene essere in contrasto col precetto normativo del quale lamenta la violazione (Sez. U, Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Occorre passare, quindi, all’esame del ricorso incidentale proposto da RAGIONE_SOCIALE con il quale è denunciata la insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
La ricorrente incidentale censura la sentenza impugnata per avere il giudice d’appello, nell’esercizio del suo potere discrezionale della scelta e della valutazione degli elementi probatori, omesso di valutare risultanze decisive, costituite dai documenti dimessi e rappresentati dalle decine di contenziosi emersi a seguito del mancato pagamento delle retribuzioni e della contribuzione relativa al personale impiegato nell’appalto.
A tal riguardo, sostiene che le ingiunzioni di pagamento e le diffide rivolte dai lavoratori contro la RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE. non possono che essere successive ad un inadempimento, per la qualcosa l’invio di tali richieste, sia giudiziali che stragiudiziali, costituisce la prova effettiva, e non valutata correttamente dalla Corte, che il Consorzio Libero era inadempiente ai suoi obblighi. Asserisce, inoltre, che il Consorzio non ha mai contestato la sussistenza dei detti ricorsi per decreto ingiuntivo e delle lettere stragiudiziali, ciò provando che il Consorzio medesimo versasse effettivamente in una situazione di debenza nei confronti dei lavoratori e che la documentazione fornita fosse inidonea a provare il suo adempimento.
6.1. Il motivo è inammissibile, poiché esso risulta formulato in violazione del requisito prescritto, a pena di inammissibilità, all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., stante l’inosservanza dell’onere di specifica indicazione, nel ricorso, degli atti processuali e dei documenti posti a base delle doglianze mosse, che sono invece affidate a un motivo privo, nel suo complesso, di specificità e chiarezza. Piuttosto, la ricorrente incidentale ha fatto mera allusione alla esistenza di ingiunzioni di pagamento e diffide rivolte alla stessa dai dipendenti delle società cooperative facenti parte del Consorzio; documenti che, secondo la sua prospettazione, comproverebbero l’inadempimento dell’odierno ricorrente e il suo evidente carattere di gravità ex art. 1453 c.c.
In proposito, è pacifico in giurisprudenza il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero
ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (in tal senso, ex multis , Sez. 3, Ordinanza n. 28753 del 07/11/2024; Sez. 3, Ordinanza n. 28586 del 06/11/2024; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18695 del 01/07/2021; Sez. U, Sentenza n. 34469 del 27/12/2019).
Del resto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata (o comunque implicanti un accertamento di fatto ovvero non trattato nella sentenza impugnata), come lamentato dal ricorrente, non è sufficiente, in osservanza del principio di specificità dei motivi, la sola allegazione dell’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, essendo peraltro necessario che il ricorrente riporti dettagliatamente, all’interno del ricorso, gli esatti termini in cui la questione sia stata posta da lui in primo e secondo grado, indicando in quali atti del giudizio precedente lo abbia fatto, a pena di inammissibilità del motivo (Sez. 3, Sentenza n. 9765 del 10/05/2005 e, similmente, Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25909 del 23/09/2021; Sez. 3, Ordinanza n. 5131 del 17/02/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 20669 del 24/07/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 30375 del 25/11/2024).
La reciproca soccombenza giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi, principale e incidentale. Compensa tra i ricorrenti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e da parte della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza