Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2063 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2063 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19281-2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 104/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/01/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; Lette le memorie delle parti;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO
Con atto di citazione del 26.11.1998 NOME COGNOME convenne in giudizio presso il Tribunale di Catanzaro la germana, NOME, affinché si procedesse alla divisione dei beni ereditati ab intestato dal padre, siti in Catanzaro Lido.
Chiese che tale divisione fosse effettuata, in parte, ex art. 2932 c.c., tenendo luogo di un contratto preliminare di divisione avente ad oggetto solo una parte dei beni relitti, e rimasto inadempiuto dalla sorella convenuta; in altra parte, previa l’individuazione e la formazione di due quote uguali, aventi ad oggetto i beni rimasti esclusi dal preliminare.
Con sentenza n. 1884/2014 il Tribunale, accogliendo la domanda attorea, provvide, per ciò che in questa sede rileva, alla divisione dei beni relitti, affermando – a conferma di quanto già statuito con l’ordinanza del 17.12.2013 – come non potessero essere accolte le censure che l’attrice mosse alla relazione peritale (depositata in cancelleria il 21.1.2013 a firma del geom. COGNOME) in ordine ai valori attribuiti ai terreni oggetto di divisione.
Al riguardo, il Tribunale evidenziò che, da un lato, il geometra, convocato dopo il deposito della perizia, aveva chiarito che i valori contestati dall’attrice erano stati il frutto di apposite indagini svolte presso agenzie immobiliari e imprese edili; dall’altro, che i diversi valori indicati dall’attrice non trovavano riscontro in nessuna documentazione presente in atti.
L’attrice NOME COGNOME propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro lamentando il rigetto delle censure sollevate riguardo alla stima dei terreni oggetto di divisione; la mancata assegnazione di due particelle (n. 787 e 790); l’erronea assegnazione in capo alla controparte di un’altra particella (n. 785), in violazione del contratto preliminare di divisione.
La Corte di appello, con sentenza n. 104/2020, ha accolto tali ultimi due motivi di gravame, assegnando all’appellante la particella (n. 785) erroneamente attribuita alla controparte dal giudice di primo grado ed assegnando quelle omesse (n. 787 e 790) alla controparte.
Il primo motivo, invece, è stato dichiarato inammissibile, per difetto di specificità ex art. 342 c.p.c., per non avere l’appellante indicato specificatamente i beni immobili di cui lamentava un’erronea stima e per non avere dimostrato, in riferimento ad essi, l’esistenza di un valore diverso rispetto a quello quantificato in primo grado sulla scorta della C.T.U.
Dal giudizio di inammissibilità la Corte d’appello ha escluso l’esame della doglianza circa la stima dell’arenile, che è stata accolta, con conseguente nuova quantificazione.
Attesa la variazione dei valori delle quote spettanti alle due sorelle, dovuta all’accoglimento dell’appello, il Collegio ha altresì rimodulato il conguaglio spettante a NOME COGNOME.
NOME COGNOME propone ricorso, sulla scorta di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 104/2020 della Corte di appello di Catanzaro.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., si lamenta la violazione dell’art. 342 c.p.c. per avere la Corte d’appello dichiarato inammissibile l’appello laddove lamentava l’errata stima dei beni immobili operata dal giudice di primo grado.
Afferma la ricorrente che con l’atto d’appello ed il rinvio in esso contenuto alle consulenze tecniche di parte redatte in primo grado in controdeduzione alla relazione del CTU depositate il 22.04.2013 ed il 21.01.2014 -aveva specificamente individuato i beni di cui veniva dedotta l’erronea stima nonché il diverso valore che reputava corretto.
Specifica, inoltre, che non sarebbe necessaria l’indicazione dell”esatto valore’, come statuito dalla Corte d’Appello, poiché, invece, sarebbe sufficiente la doglianza circa l’inadeguatezza del valore assegnato dal primo giudice.
Col secondo motivo, riferito all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 789 c.p.c. nonché, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 101 c.p.c.
La ricorrente sostiene che, poiché la Corte d’Appello ha integrato, in forza dell’accoglimento dei motivi di gravame, il progetto divisionale del giudice di primo grado senza tenere conto del progetto del CTU nominato d’ufficio nel giudizio, sul quale le parti ebbero modo di confrontarsi, avrebbe violato l’art. 789 c.p.c. nonché il diritto al contraddittorio, ex art. 101 c.p.c.
Col terzo motivo, riferito all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., la ricorrente censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La ricorrente contesta la sentenza di appello per avere disatteso i progetti divisionali redatti dal CTU senza averne indicato le ragioni.
4. Il ricorso è infondato.
4.1 Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
L’interpretazione di ‘motivo specifico’ di appello propugnata dalla ricorrente non può essere seguita.
La costante interpretazione data da questa Corte all’art. 342 c.p.c. è nel senso che, oltre alla parte cd. volitiva, il motivo di appello si concretizza anche in una parte cd. argomentativa, in cui l’appellante illustra chiaramente e precisamente al giudice superiore le ragioni del proprio gravame (Cass. civ., S.U. sent. n. 27199/2017).
Applicando tale orientamento al caso di specie, risulta evidente che non era sufficiente la mera doglianza circa l’erronea stima da parte del CTU, fatta poi propria dal giudice, in quanto era invece essenziale l’indicazione con l’atto di appello, di un diverso valore dei beni di cui l’appellante -ricorrente lamentava la corretta stima.
Appare a tal fine incensurabile la valutazione compiuta dal giudice di appello che, in relazione alle censure ritenute generiche, ha sottolineato come, a fronte della compiuta motivazione del Tribunale, la critica non si peritava di indicare a quali particelle si riferisse specificamente la doglianza, omettendo anche di indicare quale invece dovesse essere il valore invece ritenuto corretto.
Soprattutto non appare contrastata l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui i rilievi critici alla CTU svolta in primo grado apparivano generici, in quanto privi di adeguata
documentazione di supporto, rilievo questo che è appunto rimasto senza contestazione nei motivi di appello.
Da ciò non può non conseguire, come correttamente statuito dalla Corte d’Appello, l’inammissibilità del motivo di impugnazione.
4.2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Il mancato contraddittorio sul progetto divisionale non ha comportato alcuna violazione dell’art. 789 c.p.c.
Questa Corte ha già affermato, a tal proposito, che ‘ nel procedimento per lo scioglimento di una comunione, non occorre una formale osservanza delle disposizioni previste dall’art. 789 cod. proc. civ. – ovvero la predisposizione di un progetto di divisione da parte del giudice istruttore, il suo deposito in cancelleria e la fissazione dell’udienza di discussione dello stesso essendo sufficiente che il medesimo giudice istruttore faccia proprio, sia pure implicitamente, il progetto approntato e depositato dal c.t.u., così come non è necessaria la fissazione dell’apposita udienza di discussione del progetto quando le parti abbiano già escluso, con il loro comportamento processuale (nella specie, richiedendo concordemente di differire la causa all’udienza di precisazione delle conclusioni), la possibilità di una chiusura del procedimento mediante accettazione consensuale della proposta divisione, in tal modo giustificandosi la diretta rimessione del giudizio alla fase decisoria ‘ (Cass. civ., sez. II, sent. n. 242/2010; Cass civ., sez. II, sent. n. 27405/2013; Cass. civ., sez. II, sent. n. 13621/2017).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha integrato il progetto di divisione del giudice di prime cure in conseguenza
dell’accoglimento dei motivi d’appello proposti dall’appellante stesso.
È evidente, quindi, come il procedimento seguito dalla Corte d’Appello di Catanzaro sia esente da qualsiasi censura, dal momento che il diritto al contraddittorio si è comunque potuto esplicare nelle forme ordinarie del giudizio a cognizione piena, come previste per la fase di appello (i.e. udienza di precisazione delle conclusioni e successive comparse conclusionali e memorie di replica ex art. 190 c.p.c.).
4.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di specificità.
Questa Corte insegna come ‘ l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui ambito non è inquadrabile la consulenza tecnica d’ufficio – atto processuale che svolge funzione di ausilio del giudice nella valutazione dei fatti e degli elementi acquisiti (consulenza c.d. deducente) ovvero, in determinati casi (come in ambito di responsabilità sanitaria), fonte di prova per l’accertamento dei fatti (consulenza c.d. percipiente) – in quanto essa costituisce mero elemento istruttorio da cui è possibile trarre il “fatto storico”, rilevato e/o accertato dal consulente’ (Cass. civ., sez. VI-3, ord. 12387/2020, Cass. civ., sent. n. 18391/2017).
La ricorrente non indica quale sia il fatto storico omesso e perché esso sia rilevante ai fini del giudizio, ma si lamenta, invece, tout court , della mancata presa in considerazione, da
parte del giudice di appello, dei progetti divisionali redatti dal CTU.
Attesa l’infondatezza del ricorso, la ricorrente è condannata alle spese del presente giudizio, da liquidarsi secondo dispositivo.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio in favore della controricorrente che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater , del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore somma pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda